di Pina Fasciani – 26 giugno 2018
Quando le sconfitte si susseguono una dietro l’altra, quando perdi anche i baluardi più sicuri, significa che rischi l”estinzione, non riesci più a respirare e resti tramortito.
Trovo singolare e stupefacente chi, come Calenda ieri sera a ottoemezzo, difronte a una bocciatura politica così profonda ripropone le stesse formule già fallite.
Alleanze, fronti, formule che restano confinate nel circuito del ceto politico, che non parlano al popolo, o ne parlano per opporre, alle paure strumentali di Salvini sulle invasioni degli immigrati, le paure del pericolo fascista. A paure si risponde con le paure, senza pensare che le prime fanno più presa delle seconde. La paura di perdere le certezze acquisite è più forte della paura percepita come lontana dalla condizione di vita. La paura della materialità della vita è più forte della paura della perdita’ degli spazi democratici. Di fame si muore, alla mancanza di democrazia si può sopravvivere.
Due facce della stessa medaglia laddove la politica è giocata sul filo dell’emotività e non della lucida analisi di fase che l’Italia sta vivendo e sulla necessità di disegnare un nuovo destino per essa.
Il fallimento del PD segna la fine, non dell’unione dei riformismi di varia radice, che non si è mai avverato, segna la fine di una epoca politica, quella del compromesso tra capitale e lavoro, laddove il welfare, sanità, scuola, previdenza, e la contrattazione sindacale facevano da perni riequilibratori. In questo equilibrio la sinistra è riuscita a governare grandi territori, regioni, città, conquistando all’iniziale base operaia, il ceto medio.
Le roccaforti sembravano inespugnabili e intorno al loro mantenimento sono cresciuti interi gruppi dirigenti, amministratori.
Tutta l’attenzione era rivolta lì, al mantenimento di quella forza serbatoio sicuro per arrivare al potere anche nazionale. Le regioni rosse erano il simbolo del buon vivere e il loro modello influenzava altre realtà, erano le regioni più ricche.
Lì ci siamo fermati. Non abbiamo visto il cambiamento del mondo, non abbiamo visto che il capitale si stava riorganizzando e che quel compromesso andava ridisegnato .
Non lo abbiamo visto impegnati come eravamo a gestire il potere e a conservare ciò che avevamo.
Senza accorgerci dei nuovi fenomeni che si affacciavano all’orizzonte, finanziarizzazione dell’economia, immigrazione, nuove tecnologie, globalizzazione, abbiamo vissuto di rendita oppure abbiamo pensato di poter giocare la stessa partita di prima, senza vedere che gli attori erano cambiati.
Gli operai espulsi, il ceto medio impoverito, i giovani precarizzati, il sindacato sempre meno rappresentativo, un walfare dismesso.
L’Europa monetaria ha fatto il resto. Il sogno dell’Europa dei diritti, delle politiche sociali e fiscali uniformi, l’Europa politica si è fermata all’euro.
A tutto ciò abbiamo risposto con vacue promesse future, con sogni illusori di crescita, con “riforme” non riforme che hanno solo assecondato gli eventi. In molti casi, facendoci complici e paladini di quel “nuovo” che era vecchio come il mondo. Mantenere il potere, senza pensare al come, anzi abbandonando gli spazi delle diseguaglianze per occupare gli spazi di chi era ” più uguale degli altri”. Abbiamo spostato lo sguardo dai più deboli e abbiamo abbracciato i più forti.
Tutto ciò lo ha capito Salvini, non perché avversa i nuovi capitalisti, non perché avversa il lavoro precario, i giovani che emigrano, un sud abbandonato a se stesso, le periferie senza strade e servizi, ma perché pensa di poter raccogliere il vuoto lasciato dalla sinistra. Farsi portatore della perdita di sicurezze non per proporre un modello, ma uno stato d’animo. Raccoglie insoddisfazione, insicurezza, paura, sete di vendetta, frustrazione. L’onda sarà tanto lunga quanto la paura.
Salvini gioca sulla prospettiva breve, quella delle elezioni europee, per incassare il più possibile e tornare al voto per proporsi unico leader.
Ma anche le paure hanno bisogno di risposte. Innanzitutto sulle condizioni materiali di vita delle persone. E questo tema costa risorse , risorse che non ci sono.
Salvini lo sa, per questo lascia il terreno ai 5stelle, sperando di logorarli.
Un gioco al massacro, sulla pelle degli italiani, confidando sulla loro paura.
La sinistra deve rialzarsi.
Torni a fare il suo mestiere.
Dismetta la smania di potere, dismetta linguaggi, simboli, proposte da ceto politico. Faccia un bagno nel corpo vivo di questa società sfibrata, strada per strada, quartiere per quartiere, e torni a sognare un Paese felice, protetto, sicuro. Si dia un disegno, una visione, una nuova frontiera di lotta al fianco di chi non ce la fa.
Lo faccia, solo così finirà la pacchia, innanzitutto per Salvini.