Fonte: La stampa
Di Cesare, Balzerani e un paese infelice che scorda i maestri da Croce a Gramsci
Donatella Di Cesare è una filosofa di rilievo internazionale, formatasi in scuole di assoluto rigore scientifico ed etico in Italia e all’estero. Da questo dato di fatto si dovrebbe partire, se si intendesse davvero comprendere e non fraintendere e strumentalizzare la sua estemporanea nota sulla morte della Balzerani. Ma si sa, ormai nulla viene contestualizzato, storicizzato, vige solo la regola dell’agguato contro l’avversario politico, in ansiosa attesa della sua gaffe, del suo inciampo, della sua battuta infelice. Non siamo tutti pre-preoccupati prima di aprir bocca di non ledere qualche non scritta norma del politically correct, della cancel culture, imperanti ogni giorno di più?
Tutti gli scritti e i comportamenti della Di Cesare dimostrano la sua radicale avversità a ciò che ha significato e comportato l’azione del terrorismo degli anni di piombo. Questa azione ha bloccato non solo il “riformismo” dei partiti della sinistra storica e del sindacato unitario, ma anche quei movimenti nella scuola e nelle fabbriche in polemica con questi ultimi, ma assolutamente contrari alla linea della lotta armata. Il terrorismo ha agito da potente fattore reazionario nella politica italiana, esattamente nel senso di chi metteva le bombe a Piazza Fontana, a Brescia, sui treni. Può la Di Cesare pensare che costituisse una speranza rivoluzionaria? Via, siamo seri. Che intendeva dire – anche se certo non lo ha espresso con chiarezza? Esattamente ciò che allora, in quegli anni tragici che hanno segnato in negativo tutta la nostra storia fino a oggi, disse Rossana Rossanda: anche il terrorismo rosso, piaccia o no, nasce da un humus comune, da un confusissimo ma reale crogiuolo di lotte, speranze, illusioni che ha segnato gli anni tra i ’60 e i ’70. Anche il terrorismo, che ha agito potentemente nel disintegrare quelle speranze di riforma della scuola, delle istituzioni, della cultura tutta di questa nazione, nasceva dagli anni della contestazione, dal ’68 italiano e europeo. Non era necessario finisse così. Non c’è nulla di necessario e razionale nella storia. E allora è giusto, è buono anche, riconoscendo colpe e fallimenti, e anzitutto i propri, avere misericordia anche dell’avversario, trovare una parola di pietà anche per lo sconfitto, anche per quello sconfitto che più di altri ha favorito la tua stessa sconfitta.
Diceva un grande liberale, e in situazioni ben più drammatiche di quelle in cui oggi viviamo: a volte è necessario entrare in guerra e combattere il nemico, ma nient’affatto necessario “farsi l’animo della guerra”. Non è necessario portare nella guerra “l’animo del bestione” che la concepisce come “distruzione del nemico”. E aggiungeva questo liberale non credente: bisogna essere in grado di vedere nello stesso nemico il fratello. Questo Paese ha dimenticato tutti i suoi maestri, siano liberali o cristiani, siano i Croce o i Gramsci. Sta diventando il Paese dell’intolleranza e della chiacchiera, delle facili demonizzazioni e delle censure. Spetta ai suoi intellettuali, di ogni parte, reagire a questa deriva, protestare contro canee come quella scatenata sul “caso” della Di Cesare e contro gli inauditi provvedimenti che si accingono a prendere a suo carico (ma mi auguro non sia vero) i suoi stessi colleghi, gli organi di direzione della sua stessa università! Dobbiamo attenderci commissari del popolo presenti alle nostre lezioni per controllare la nostra “linea di condotta”? Si è così ciechi e sordi da non vedere la deriva che collega le gogne per chi criticava le politiche sanitarie durante il covid, le liste di proscrizione per i presunti filo-putiniani con casi anche apparentemente solo personali come questo della Di Cesare? Le valanghe vanno fermate sul nascere. Quanto manca un Pasolini! Quanta nostalgia di corsari (e dei giornali che ne pubblicavano gli scritti)!