Destra, sinistra e spirito di fazione

per Gian Franco Ferraris

di Alfredo Morganti   da Facebook

Anche una ‘pellaccia’ come la mia, alla fine, è costretta ad ammettere che qualcosa è avvenuto, che accanto al trionfo del PD (perché trionfo è stato) sia mutato uno scenario, vi sia stato uno sfondamento (come scrive anche Polito, oggi, sul Corsera) tra le due Italie, tra la destra e la sinistra insomma, un travaso, una rottura di argini che ha consentito appunto a Renzi di dilagare. Ad ammettere che un partito di sinistra in senso forte (oppure in senso meno forte, come nel caso del PD) questo ‘sconfinamento’ non l’avrebbe mai intercettato, e sarebbe rimasto un ‘vecchio’ partito di sinistra capace, sì, di parlare a un elettorato soprattutto di sinistra o progressista, ma mai ad altre categorie socio-elettorali. Ad ammettere, cioè, che effettivamente (almeno nella politica quotidiana, spicciola e un po’ frettolosa del premier) le categorie ‘destra’ – ‘sinistra’ da un po’ funzionano poco, e funziona altro invece, per esempio il ‘nuovismo’, la ‘rottamazione’ e una sorta di parafrasi mariniana: ‘non è politica è l’Italia’. In politica sono un realista (e, prima ancora, un disciplinatissimo uomo di sinistra, uno che ha fatto tutti i traslochi possibili dal PCI al PD senza battere ciglio) e prendere atto dei mutamenti di scenario, adattandovi positivamente pensieri e azione, è il mio pane quotidiano. Per questo sono propenso a credere (a prendere atto) che il conflitto politico oggi si allinei lungo altri assi, non quello (ormai sfondato) tra destra e sinistra. Tale da dedurne che c’è sinistra anche nel grillismo, per dire, e destra anche nel PD. In una sorta di mix categoriale capace di far tremare i polsi anche al più navigato dei politologi.

Detto ciò, se scompaiono destra e sinistra (o meglio si mischiano con effetti di ‘entropia’ difficili da contenere!) non è che finisce soltanto l’idea di un posizionamento ‘topografico’ o spaziale della politica. No. Se finisce la destra, finisce pure la considerazione attuale di alcune bandiere della destra (intendo ovviamente quella costituzionale, liberale, legalitaria), ossia l’individuo, la libertà, l’iniziativa di mercato. E se viene a mancare la sinistra, scompaiono alcuni capisaldi del suo pensiero e della sua azione come l’uguaglianza, l’equità, la solidarietà verso i disagiati, la ridistribuzione (non a pioggia, ma ponderata) delle ricchezze e delle risorse, l’attenzione sociale verso gli ultimi e, soprattutto, il cambiamento concepito come trasformazione effettiva, superamento di questo stato di cose a vantaggio di uno diverso e si suppone migliore. La spazialità del destra-sinistra, insomma, è anche una spazialità delle categorie che le due parti assumono come bandiere, capisaldi, alfieri della loro iniziativa. Se il PD pesca a destra e galleggia trionfalmente sugli argini rotti, sul fiume che dilaga e sommerge tutto, diventa partito interclassista, né di destra né di sinistra (ma degli ‘italiani’), si posiziona al centro (clintonianamente, blairianamente) e diventa un magnete fondamentale capace di intercettare tutto, ma proprio tutto.

A me non piace l’idea che tutte le vacche divengano grigie. Che l’entropia si prenda quel che resta delle nostre differenze e diversità, che per vincere si debbano rompere gli argini o profittare di questa rottura. Ma i miei gusti personali contano poco, mi sembra. Contano i fatti, conta l’analisi reale della situazione reale. E questa ci dice che siamo in un paesaggio allagato, privo di argini o quasi, e qui bisogna navigare, non altrove. Dunque bene Renzi, che ha vinto. Bravo per aver saputo cogliere la fine di una fase, il superamento (almeno presunto) di certe categorie politiche. Ma si sappia che la fine di quelle categorie è anche la fine dei loro predicati (libertà, iniziativa economica per la destra; equità e solidarietà per la sinistra), come dicevo. Anche questi predicati annegano nel mare magnum su cui il PD galleggia. E dovrà essere molto bravo Renzi a lasciare intatte il più possibile le differenze, dopo averle comunque negate. A fare in modo che il PD resti partito plurale, pur avendolo trasformato in un ‘contenitore’ dove tutto diventa (necessariamente) una macedonia tritatissima. E dovrà pure stare attento che improvvisamente l’acqua non ritorni negli argini, e le identità (ideali, personali, categoriali) si ribellino all’entropia storico-politica, invocando infine i loro diritti. Si chiamano dure repliche della storia. Perché le categorie possono morire, ma la libertà (da una parte) e le disuguaglianze (dall’altra) no, quelle non muoiono mai.

[Ad alcuni i miei post più recenti sono apparsi “sconclusionati”. Forse perché cerco di ragionare in libertà, con un certo spirito di autonomia, pur appartenendo (anche con orgoglio) a uno schieramento precisissimo (tutta la linea che va da d’Alema a Bersani sino a Cuperlo, per dire, proveniente dal vecchio PCI). Facebook consente commenti e dibattito, anche aspro se servisse. Io sono qui, mi vedete e leggete. Sto qui a discutere di politica da quarant’anni (ero un ragazzino, era il 1974). E invece cambia tutto (come dicevamo) meno lo spirito di bottega, di fazione e di apparato. Quello no, quello non cambia mai. Quello andrebbe invece ‘rottamato’, come dice appunto il nostro Giovane Leader.]

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