Desolation land

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 25 giugno 2018

Era tutto previsto, e per chi scrive con largo anticipo, ma lo schianto della zona rossa fa comunque impressione. La fine ingloriosa dell’etruria rossa sancisce il de profundis della sinistra italiana, e dato il ruolo esplicato nella storia italiana, anche dell’architrave territoriale nazionale della repubblica. L’implosione è cominciata nelle periferie, un tempo regno del felice equilibrio fra industria diffusa, capitalismo sociale-cooperativo e una politica capace di mediare le radici folk del mondo agrario con la modernità industriale. Garantendo alti standard di servizi e benessere collettivo. Poi è dilagata nella rete urbana diffusa.

Dopo Prato e Pistoia cadono Pisa, Massa, Siena, Terni, Imola. Reggono i capoluoghi regionali e le loro corone suburbane ma ormai l’accerchiamento è completato. Nella provincia di Bologna sono transitati ad altra sponda larga parte dei comuni montani e della pianura. Territori abbandonati o percorsi da trasformazioni non governate. Con elementi crscenti di eterogeneità antropica. In montagna non c’è più in vita alcun segmento delle storiche filiere della meccanica e della carta mentre le altre attività, come il turismo e il termalismo versano in una crisi senza fine. Nella pianura l’infrastrutturazione metropolitana si è risolta in un municipalismo irrelato e senza prospettive. Emblematico il destino di San Giovanni e Imola, centri ordinatori funzionali e politici di porzioni significative di territorio, nonchè custodi di rango dell’identità socialista padana. Terre rosse, gloriosi municipi, talvolta, come a Marzabotto, sedi di culto, pietre miliari della narrazione del ‘900. Ora entrati nel regno anonimo del qualunque.

Ovunque crolla, o si sclerotizza, la rete di capitale sociale che sorreggeva la politica e la sua funzione integratrice istituzionale. Imola era una specie di repubblica socialista comprensoriale evoluta come un maso chiuso, ovvero un sistema di potere localista sorretto da un minuzioso controllo sociale del gruppo di potere, impermeabile verso l’esterno e senza smagliature. Cerca di rispondere ai sintomi di crisi adeguandosi come una salmeria del renzismo, confidando in ulteriori possibilità di autoconservazione, e conosce la sua fine. La patria di Andrea Costa affossata da un’alleanza di fatto grillo-leghista, mentre gran parte dell’elettorato scivola nell’indifferenza. Una mutazione antropologica. una perdita di connessione culturale e di identità politica. Un vacuum che il leghismo in salsa sovranista neo-nazionalista colma naturaliter senza bisogno di sforzo. Basta frequentare i bar vieppiù squallidi delle case del popolo (per noi di Leu sarebbe sufficiente scendere dal primo piano del Candilejas) e ascoltare i discorsi che li si fanno per rendersene conto. Non solo è andata persa la dignità orgogliosa del mondo popolare delle origini, ma non c’è neppure traccia di quell’empatia ludica e dissacrante, da ‘amici miei’, che era un tratto della bonomia del nostro mondo regionale.
Capitale sociale sfrangiato o burocraticamente ossificato (come nel caso del sindacato), politiche pubbliche incapaci di integrazione orizzontale e di progetto, classe amministrante mediocre e ormai priva di una cultura politica che la tenga in forma salvaguardandola dalla libidine dergli incarichi e dal cretinismo, partito esangue e piagato dalla pseudo-modernizzazione renziana sul calco caduco del centro-sinistra veltro-prodiano….
Le dinamiche oggettive che hanno eroso e poi sgretolato il ‘sistema’ sono state imponenti. E incredibilmente arduo il loro governo. Tutto questo è vero. Ma le responsabilità della classe politica, specie di estrazione post-comunista (tralasciando quella di estrazione cattolico-moderata…. essendo essa portatrice di ritrasformazioni quasi sempre negative) sono enormi. Molte delle trasformazioni in corso nei territori erano evidenti a più di un analista, ma la classe politica era interessata ad altro tipo di posizionamento. E’ mancata ogni attività di manutenzione politica dei territori, lo stesso scrupolo di fare analisi, di conoscere e progettare rimedi. Di proteggersi da mutazioni politiche avventurose. Aspetti che sono l’essenza del ‘fare organizzazione’. E le regioni rosse erano essenzialmente questo: società organizzata. Oggi il luogo della più ordinaria desolazione politica e culturale. Ma io se Dio vuole, almeno io non ne ho nessuna colpa.

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