Democrazia, solidarietà e la crisi europea

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Jurgen Habermas
Fonte: tempo fertile
Url fonte: http://tempofertile.blogspot.it/2013/07/democrazia-solidarieta-e-la-crisi_11.html

12 luglio 2013

Nel breve intervento di Habermas, estratto da una lezione pronunciata in Leuven il 26 aprile 2013, viene tentata una ricostruzione della situazione nel quale versa il progetto europeo nel quale il filosofo e sociologo tedesco (come è noto tra i più importanti intellettuali contemporanei) ha investito nel corso del suo lavoro notevoli aspettative e critiche. Il filosofo inzia la sua analisi dal fatto che l’Unione Europea (secondo un consolidato topos di critica al deficit di democrazia) deve la sua stessa esistenza agli sforzi interessati di elité politiche anziché al consenso delle popolazioni che, al contrario, si tengono su una posizione abbastanza indifferente e generalmente meramente utilitarista. La legittimazione della costruzione europea promana, in altre parole, più dalla percezione della sua utilità nella promozione dei propri interessi economici che dal compimento della volontà popolare (cioè dall’essere espressione di legittima autodeterminazione).
La spiegazione di questo fatto è ricondotta da Habermas sia alla storia delle origini dell’istituzione sia dalla stessa costituzione giuridica, imperniata su BCE, Commissione e Corte di Giustizia, invece che sul Parlamento. L’altra istituzione chiave, il Consiglio Europeo, formato dai capi di Stato e che ha preso fortemente l’iniziativa in questa crisi è percepito come il luogo della sintesi e dello scontro degli interessi nazionali e non della formazione di volontà comune da parte un demos europeo espresso tramite pubblico dibattito e legittima formazione di volontà. Il Parlamento Europeo (che potrebbe essere il ponte tra conflitti politici di opinioni nelle arene nazionali e decisioni prese a Bruxelles) è inefficace.

In questo modo resta nella pratica una notevole distanza tra il parere dei cittadini e le politiche adottate. Le stesse opinioni strutturate sulla Unione Europea sono praticamente monopolio dei politici e di elité economiche e studiosi con interessi rilevanti. Focalizzando l’attenzione sull’umore dei cittadini si registra ovunque la crescita, anche se per motivi diversi nei diversi paesi, dell’euroscetticismo che, però, non riesce a trasmettersi verso i decisori perchè, per Habermas, questi si riferiscono ed agiscono in arene decisionali impermeabili disgiunte dalle arene nazionali. Ne consegue che “il corso reale della crisi è sospinto e implementato in primo luogo dal grande set dei politici pragmatici che persegue un programma incrementale e manca di una prospettiva globale”. Questo cluster decisionale resta orientato verso “più” Europa, soprattutto per evitare l’alternativa, percepita come molto più drammatica e costosa, di abbandonare l’euro.

L’analisi di Habermas passa attraverso la lettura del documento UE del dicembre 2012 (COM/2012/777/FINAL/2), finalmente focalizzato oltre la contingenza alle problematiche strutturali di istitutional building; prima di affrontarlo l’autore sottolinea come il Patto di Stabilità e Crescita, istituito durante gli anni novanta intorno ad un assetto culturale “ordoliberale” concepisca l’Unione Monetaria come il pilastro portante di una costituzione economica capace di stimolare la concorrenza tra operatori di mercato, prescindendo dai confini nazionali, mettendo fuori gioco strumenti come la svalutazione competitiva della moneta e appiattendo (per così dire) le condizioni di gioco. Un presupposto (quello che una concorrenza sfrenata con norme eque porterebbe a costi di manodopera simili e uguali livelli di prosperità) si è manifestato falso. Gli squilibri strutturali esistenti sin dall’inizio sono addirittura diventati più acuti e non potranno che peggiorare fino a che il modello non romperà con il principio implicito che ogni stato membro vede gli altri (e si comporta di conseguenza) solo dal proprio punto di vista nazionale. Fino ad ora il Governo Federale ha aderito fermamente a questo dogma.

E’, in altre parole, l’autocompresione dell’impresa come alleanza tra stati sovrani ad essere il problema per Habermas.

In questo contesto il documento cita tre soluzioni: primo arrivare a delle linee guida integrate in materia fiscale, di budget e di politiche economiche (“joint political decision-making at the EU level on “integrated guidelines” for coordinating the fiscal, budget, and economic policies of the individual states”); secondo arrivare ad un vero bilancio europeo con specifiche tasse dirette; terzo introdurre obbligazioni in euro ed il fondo di solidarietà.
Si tratta sostanzialmente di superare le limitazioni dei Trattati di Lisbona. Il focus è di allargare la base di legittimazione diretta nell’arco di cinque anni. Arrivando però alla democrazia sovranazionale, ed alla modifica dei Trattati solo alla fine.

L’obiezione di Habermas è che rinviare la democrazia è un rischio (“postponing democracy is a rather dangerous move”) l’incontro “felice” dei vincoli economici indotti dai mercati con una tecnocrazia bisognosa di “galleggiare” (diciamo di barcamenarsi) potrebbe fermare riforme fatte per il popolo anzichè dal popolo troppo presto e lasciare realizzare in modo inadeguato. Disgiunta da leggi emanate democraticamente e senza la pressione di una sfera pubblica mobilitata e da una corrispondente società civile alla gestione politica non può che mancare, infatti, la forza e l’impulso per contrastare e controllare gli imperativi orientati al profitto di capitali di investimento in direzioni socialmente compatibili (“to contain and redirect the profit-oriented imperatives of investment capital into socially compatible channels”). Il punto è centrale, per Habermas, una tecnocrazia senza radici democratiche non avrebbe nè la motivazione nè il peso sufficiente (in accordo alle richieste dell’elettorato) per imporre una giusta distribuzione del reddito e della proprietà, per la sicurezza dello stato, servizi pubblici e beni collettivi quando questi sono o diventano in conflitto con le esigenze sistemiche del capitale fondamentali per la competitività e la crescita economica (“A technocracy without democratic roots would not have the motivation to accord sufficient weight to the demands of the electorate for a just distribution of income and property, for status security, public services, and collective goods when these conflicted with the systemic demands for competitiveness and economic growth”).

L’alternativa è attraversare la linea rossa della comprensione tradizionale della sovranità. Cioè superare l‘idea che gli Stati nazione sono “i soggetti sovrani dei trattati”.

In altre parole non bisogna pensare, per Habermas, la democrazia sovranazionale come gli “Stati Uniti d’Europa”. Non dobbiamo scegliere tra Confederazione e Federazione. Ma trovare uno spazio, come amministrazione di attuazione e custode finale delle libertà civili, allo Stato nazione all’interno di una democrazia sovranazionale. Occorre cioè detronizzare il Consiglio Europeo, che è il luogo nel quale si svolgono opachi negoziati che determinano, nella percezione dei cittadini nazionali, il proprio destino politico per opera di governi stranieri che rappresentano gli interessi delle altre nazioni, piuttosto che da un governo che è connesso solo con il proprio voto democratico.
Ciò che bisogna evitare, insomma, è di continuare a cadere nella trappola della tecnocrazia, riportando al centro il Parlamento Europeo nel quale già inizia a formarsi una generalizzazione di interessi oltre i confini nazionali, rappresentata dalla formazione dei partiti e gruppi europei.

Purtroppo il primo passo (la Convenzione per la revisione dei Trattati) deve essere fatto dal Consiglio Europeo. I suoi membri potrebbero avere paura delle conseguenze elettorali e non hanno interesse ad una riduzione di potere. Ma si avvicina il momento delle scelte dolorose.
Per ora il Governo tedesco insiste sulla stabilizzazione dei bilanci al costo dei sistemi di sicurezza sociale, dei servizi pubblici e dei beni collettivi, ponendo il veto alla richiesta di programmi mirati alla crescita ed a forme di responsabilità finanziaria congiunta. Chiaramente ha le chiavi del destino dell’UE nelle sue mani.
Quindi la domanda principale che pone Habermas è: se Germania non solo è in grado di prendere l’iniziativa, ma anche se potrebbe avere un interesse nel farlo.
Un interesse propriamente tedesco, non comune o condiviso. In questo contesto Habermas ricorda come le radici delle ragioni per aderire al progetto europeo affondavano nella sconfitta del 1945 e nelle condizioni dell’immediato dopoguerra. E nel superamento del dilemma dello status “semiegemonico” assunto dopo il 1871 dalla Germania.
È precisamente, per Habermas, nell’interesse della Germania evitare un revival di questo dilemma che è stato superato solo grazie all’unificazione europea. Si tratta di una sfida politica fondamentale per i tedeschi. Si apre, in altre parole, il bivio se ricadere nelle tentazioni di fantasia di potenza (una “Europa tedesca”) o andare verso una «Germania in Europa». Solo questa seconda strada può evitare conflitti catastrofici.
Habermas, in definitiva, propone che la Germania riconosca di avere un interesse per una politica di solidarietà ed anche un obbligo normativo in tal senso. Infatti gli Stati europei assunsero la loro attuale forma di “stati del benessere” solo dopo le catastrofi delle due guerre mondiali. Ma nel corso della globalizzazione economica, questi stessi Stati si trovano a loro volta singolarmente esposti alla pressione esplosiva delle interdipendenze economiche che ora “tacitamente” permeano confini nazionali. Sono questi vincoli sistemici apparentemente invincibili a richiedere di stabilire nuovamente rapporti di solidarietà andati in frantumi e costringerci a ricostruire le forme di integrazione politica dello stato-nazione esposte a sfide mortali. Questa volta però nel contesto della crisi, per Habermas, sono proprio le contingenze sistemiche incontrollate di una nuova forma di capitalismo guidato da mercati finanziari sfrenati che si trasformano in tensioni tra gli Stati membri dell’Unione monetaria europea esponendola al rischio del fallimento.
Dunque, se si vuole preservare l’Unione monetaria, non è più sufficiente, dati gli squilibri strutturali tra le economie nazionali, fornire semplici prestiti agli stati gravemente indebitati in modo che poi ciascuno possa poi da solo migliorare la sua competitività. Ciò che è invece necessario è la solidarietà; un sforzo cooperativo congiunto da una prospettiva politica condivisa per promuovere la crescita e la competitività della zona euro nel suo complesso.
Un tale sforzo richiederebbe alla Germania e a diversi altri paesi ad accettare nel breve e medio termine negativi effetti di redistribuzione nel proprio interesse personale a lungo termine — un classico esempio di solidarietà.

Dall’articolo di Habermas resta aperta la domanda, alla quale solo la storia risponderà, se la Germania avrà la forza politica di fare questo passo o retrocederà ancora in una politica di egoismo e potenza, manifestatamente inadeguata e nel lungo periodo sicuramente fallimentare. L’autore tedesco, però, indica anche il meccanismo fondamentale che può determinare l’esito: l’allargamento dell’arena decisionale e la sua democratizzazione. Per questo resta cruciale il sostegno ad un franco ed aperto dibattito nella sfera pubblica dei diversi stati e in prospettiva la formazione di una sfera pubblica europea di cui si sente acutamente la mancanza. In considerazione del poco tempo a disposizione la situazione non sembra avere, in definitiva, molte probabilità di un esito favorevole.

hab

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