Democrazia. I diritti umani non bastano più

per Luca Billi
Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
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di Luca Billi, 10 dicembre 2018

Cosa distingue una democrazia da una dittatura? Qualcuno potrebbe rispondere che il regolare svolgimento di elezioni sia un indicatore per operare questa distinzione, ma francamente non mi pare sufficiente: sono molti, troppi, i dittatori “eletti”. La presenza di una costituzione è un altro indice importante, ma – anche in questo caso è piuttosto evidente – ci sono splendide costituzioni che rimangono scritte sulla carta. Il riconoscimento degli altri paesi è un argomento ancora più fallace: la Russia viene riconosciuta dagli altri paesi come una democrazia, nonostante sia notoriamente un regime autocratico. Gli interessi economici prevalgono molto spesso su ogni altra considerazione di carattere politico o ideologico, basti pensare a come le democrazie occidentali si rapportano alla Cina.
Ci sono grandi differenze tra le democrazie. E ci sono grandi differenze nell’idea che ciascuno di noi si fa della democrazia in cui vive. Per molti cittadini che vivono in regimi democratici la democrazia è il semplice esercizio del voto, che si esercita ogni quattro o cinque anni, delegando del tutto, in questo periodo tra un’elezione e l’altra, la gestione della cosa pubblica alle persone che più o meno consapevolmente, più o meno convintamente, hanno votato. Per altri la democrazia si esercita non soltanto con il proprio voto, ma con un controllo continuo sull’attività degli eletti e in forme di vera e propria partecipazione alle scelte.
Di fatto molte democrazie sono molto più simili all’oligarchia descritta da Megabizo nel cosiddetto logos tripolitikos di Erodoto – uno dei testi fondamentali della teoria politica dell’antichità – che alla forma di governo che “ha il nome più bello di tutti, l’uguaglianza dinanzi alla legge”, descritta da Otane. La politica è sempre più il campo specialistico di una categoria di persone professionalmente preparate allo scopo. In questi anni, nelle democrazie, anche di lunga tradizione, assistiamo a una vera e propria tendenza dinastica.
Proviamo a definire “democrazie elettorali” questi regimi che sono tali soltanto un giorno ogni quattro anni. Ci sono paesi democratici in cui non sono rispettati i diritti umani o il principio di uguaglianza di fronte alla legge: proviamo a definire questi altri paesi “democrazie illiberali”. Ci sono altre democrazie, come quella israeliana o – fino all’inizio degli anni Novanta – quella sudafricana, che prevedono che ci siano cittadini a pieno diritto e cittadini con un minor grado di diritti e garanzie costituzionali. Poi c’è la questione del ruolo delle donne: c’è una grande differenza tra i paesi scandinavi e, ad esempio, una democrazia come l’Italia, tanto da far nascere ciclicamente nel nostro paese dei movimenti che intrecciano questioni di genere a critiche più generali al sistema della rappresentanza.
Noi su tutto questo riflettiamo poco, con il paradosso che una parte importante delle vicende storiche di questi anni è ruotato intorno al concetto di insegnare o di “esportare” la democrazia. Ma quale democrazia?
Non c’è vera democrazia in un paese in cui le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini, in cui le bambine e i bambini non vanno a scuola, in cui la maggioranza della popolazione vive sotto il livello di povertà. E su questo punto Norberto Bobbio ha scritto delle parole che sono ancora un faro.
“Diritti dell’uomo, democrazia, pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico. Senza diritti dell’uomo riconosciuti ed effettivamente protetti non c’è democrazia. Senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti che sorgono tra individui, tra gruppi, e tra quei grandi gruppi che sono gli Stati, tradizionalmente indocili e tendenzialmente critici rispetto agli altri Stati, anche quando sono democratici al proprio interno.”
Eppure anche questo non basta. Dice Karl Marx:
“L’emancipazione politica è certamente un grande passo in avanti, non è, bensì, la forma ultima dell’emancipazione umana in generale, ma è l’ultima forma dell’emancipazione umana entro l’ordine mondiale attuale.”
In sostanza il tema della libertà non può essere riferito esclusivamente alla sfera politica, ossia a principi fondamentali, come il rispetto dei diritti umani, le libere elezioni, l’indipendenza della magistratura, la libertà di stampa; questioni comunque fondamentali per gran parte delle donne e degli uomini del pianeta, che non hanno raggiunto neppure questi obiettivi, ma non sufficienti, perché il rischio che si torni consapevolmente indietro è sempre più evidente.
Per queste ragioni Marx dice che la vera libertà sta nel cambiamento radicale dei rapporti sociali di produzione. Proviamo allora a pensare a una democrazia diversa, in cui le trasformazioni necessarie per promuovere i miglioramenti della condizione delle donne e degli uomini non passino soltanto attraverso le riforme politiche, ma coinvolgano anche gli stessi rapporti economici.
Le persone che si rendono conto che solo un 1% prende le decisioni che interessano direttamente anche il restante 99%, ormai non si fidano più. E non li convinceremo dicendo che aumentando quella ridicola percentuale si possano risolvere i loro problemi. Anzi rischiamo che preferiscano rinunciare anche a quel po’ di potere che hanno e decidano di cederlo a chi promette loro una soluzione più semplice.
Per questo c’è bisogno di rivoluzione, c’è bisogno di stravolgere i rapporti di forza economici, c’è bisogno di dire che la democrazia sarà effettiva solo in un sistema socialista.

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