Fonte: idiavoli.com, l'Espresso
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I DEBOLI SONO DESTINATI A SOFFRIRE? – di YANIS VAROUFAKIS – ed. LA NAVE DI TESEO
Un estratto de “I deboli sono destinati a soffrire?” (La Nave di Teseo), l’ultimo libro di Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze greco. La cronaca di un fallimento, la crisi europea vista rispetto ai tentativi degli Stati Uniti di controllare il capitalismo globale.
«A mia madre Eleni che avrebbe massacrato con la massima eleganza e affetto chiunque avesse anche solo concepito l’idea che debbano essere i più deboli a soffrire»: è la dedica di Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze del governo greco guidato da Alexis Tsipras e autore de “Il Minotauro Globale”, in testa al suo ultimo libro “I deboli sono destinati a soffrire? L’Europa, l’austerità e la minaccia alla stabilità globale”, uscito il 27 ottobre per La Nave di Teseo.
Un saggio che smonta gli stereotipi, percorre a ritroso la storia d’Europa e va alle radici del collasso economico. L’intenzione è quella di «spiegare la crisi europea nel contesto dei tentativi dell’America di controllare il capitalismo globale» — scrive Varoufakis — perché «la crisi è troppo importante per gli Stati Uniti per lasciarne la regia all’Europa, e men che meno per ignorarla».
Eccone un estratto, in anteprima su “I Diavoli”:
Quando mi restituisci i soldi?
Venne il crollo di Wall Street del 2008 e la catastrofe finanziaria globale che ne seguì. Nulla sarebbe stato più come prima.
Quando il sistema finanziario dell’Occidente diventò più grande del pianeta Terra, il collasso delle sue banche e la stretta sul credito misero in ginocchio i paesi dell’Europa, in particolare le economie basate sull’euro. La Northern Rock Bank inglese fu la prima banca europea a crollare, la Grecia fu invece la prima nazione. Tutta l’Europa fu stretta in un abbraccio mortale fra banche insolventi e governi alla bancarotta. C’era però una grossa differenza fra l’Inghilterra e paesi come la Grecia: mentre Gordon Brown (primo ministro del governo inglese dal giugno 2007 al 2010) poteva contare sulla Banca di Inghilterra per pompare nell’economia inglese la liquidità necessaria a salvare la City, i governi dell’eurozona avevano una Banca centrale che per regolamento non poteva fare altrettanto. L’onere di salvare i banchieri incapaci ricadde così sulle spalle dei cittadini più deboli.
Alla fine del 2009 la bancarotta della Grecia e il collasso della Lehman Brothers misero a rischio le banche tedesche e francesi. Nello stesso tempo l’insolvibilità delle banche irlandesi mise in ginocchio il governo dell’Irlanda appesantendo ulteriormente la situazione delle banche francesi e tedesche. Politici in preda al panico intervennero frettolosamente con salvataggi giganteschi, finanziati da tasse imposte ai contribuenti più poveri, mentre Google, Facebook e gli oligarchi greci godevano di immunità fiscale. Incredibilmente i finanziamenti di salvataggio venivano concessi insieme e condizionati da misure di austerità economica che aggredivano ulteriormente i redditi degli stremati contribuenti sui quali si reggeva tutto l’edificio macroeconomico. Nulla si diffonde rapidamente come il panico, specialmente quando è giustificato: il Portogallo, la Spagna, l’Italia e Cipro sarebbero stati i successivi pezzi del domino a cadere. In difetto di una risposta credibile alla inevitabile crisi dell’euro i governi europei, in preda all’atteggiamento evasivo che aveva caratterizzato l’Europa negli anni Trenta, cominciarono a rivoltarsi gli uni contro gli altri accusando tutti di tutto.
Con il 2010 la solidarietà europea era stata distrutta dall’interno, lasciando solo lo scheletro di quella che una volta era stata una solida amicizia.
Qual è stata la causa della crisi dell’euro? I giornali e i politici prediligono spiegazioni semplici e dal 2010 in poi l’interpretazione che circolava in Germania e nei paesi protestanti del Nord era più o meno la seguente.
Le cicale greche non hanno fatto i compiti e la ricca estate basata sui debiti un bel giorno è finita. Si chiamarono allora le formichine calviniste per salvarle, insieme ad altre cicale sparse per l’Europa. Poi, così si raccontava, le cicale greche non vollero pagare il loro debito; volevano un altro giro di vita facile per divertirsi al sole e un altro salvataggio per finanziarlo. Avevano anche eletto una banda di socialisti e radicali sinistrorsi che andassero a mordere la mano di quelli che gli avevano dato da mangiare. Era quindi necessario dare una lezione a queste cicale per evitare che altri europei, meno solidi delle formichine, venissero tentati dai piaceri della vita facile.
Una storia convincente, una storia che giustifica l’atteggiamento duro che molti invocano contro la Grecia e contro il governo del quale facevo parte.
“Quando mi restituisci i miei soldi?” mi chiese con tono giocoso, nelle more di quel primo incontro con il ministro Schäuble, un sottosegretario del governo tedesco, un tono che peraltro non nascondeva una vena di condiscendenza spregiativa. Mi morsi la lingua e sorrisi educatamente.
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L’ex ministro greco torna sulle scene e nel suo ultimo libro spiega il perché del fallimento della valuta unica. Partendo da Bretton Woods e facendo nomi e cognomi dei responsabili
di Alessandro Gilioli
Da quando non è più ministro dell’Economia, Yanis Varoufakis si è preso diverse amare soddisfazioni. La prima è quella di aver visto confermare le sue previsioni sulla Grecia: la sottomissione di Tsipras alla Troika, avvenuta un anno e mezzo fa, non ha fatto che peggiorare le condizioni di vita dei cittadini, fino al nuovo taglio delle pensioni e al rischio di una crisi immobiliare nei prossimi mesi, con migliaia di senzatetto.
Ma più in generale Varoufakis aveva messo in guardia dal possibile processo di dissoluzione della Ue, denunciando gli effetti delle regole di Bruxelles e dell’architettura della sua moneta. Lasciato il governo, Varoufakis si è impegnato nella creazione di un movimento di sinistra europeo (Diem25) e nella stesura di un robusto saggio di geopolitica monetaria in uscita il 27 ottobre con il titolo “I deboli sono destinati a soffrire?” (La nave di Teseo, 338 pagine, 20 euro).
La tesi del libro è che gli squilibri sociali (e tra Paesi) che oggi dilaniano l’Europa hanno radici che risalgono almeno al 1971: l’anno in cui Nixon pose fine agli accordi di Bretton Woods, che dal 1944 regolavano l’ordine valutario mondiale imperniandolo sul dollaro e sulla sua convertibilità in oro.
La fine di quel sistema, scrive Varoufakis, portò i paesi europei a successivi tentativi di concatenazione tra le loro valute (il serpente monetario, lo Sme e infine l’euro) in cui finirono tuttavia per intrecciarsi errori tecnici, rigidità ideologiche e conflitti nazionali (in particolare, la competizione tra Francia e Germania).
Il risultato è il paradosso attuale: la moneta che doveva unire l’Europa l’ha invece divisa ancora di più, sia per ceti sociali all’interno di ogni Paese sia tra Stati, i cui interessi divergono e nei quali la valuta unica ha creato effetti diversi, compresa la svalutazione del lavoro come unico modo per salvare l’export non potendo più svalutare la moneta. Il saggio di Varoufakis non va alla ricerca di “poteri forti” nascosti dietro le tende, anzi fa nomi e cognomi dei politici (vivi o defunti) che secondo lui hanno causato il tracollo.
Non mancano pagine sull’Italia, in particolare sulla crisi del 2011, sulla caduta del governo Berlusconi, sul ruolo di Mario Monti e su quello successivo di Mario Draghi. Nell’appendice del saggio, le proposte politiche ed economiche dell’ex ministro, nonostante tutto un europeista convinto.