De Masi: “In Italia c’è un approccio demenziale verso il lavoro. I tedeschi sono più produttivi di noi del 20% pur lavorando il 20% in meno”

per Gian Franco Ferraris

De Masi: “In Italia c’è un approccio demenziale verso il lavoro. I tedeschi sono più produttivi di noi del 20% pur lavorando il 20% in meno”

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“Il fenomeno delle grandi dimissioni durante la pandemiaÈ destinato a continuare e a crescere sempre più. È sempre maggiore la percentuale di persone che, pur prendendo atto del fatto che il lavoro sia importante, sanno che non è tutto, anche dal punto di vista quantitativo: il lavoro, cioè, è fondamentale ma non tanto da dover assorbire tutto il resto della vita. Questo va ricordato soprattutto in Italia, perché i paesi latini e cattolici, come Italia, Spagna e Portogallo, hanno un approccio veramente demenziale verso il lavoro”. Sono le parole pronunciate ai microfoni della trasmissione Società anno zero (Radio Cusano Campus) dal sociologo Domenico De Masi, che spiega e analizza le profonde differenze tra il nostro modello lavorativo e societario e quello tedesco.

De Masi descrive quello che lui definisce ‘un malcostume’ tutto italiano, ovvero quello dello ‘stakanovismo’ finalizzato ad avere aumenti di stipendio o promozioni di carriera: “Mentre un tedesco, che sia presidente di un’azienda o usciere, alle 17.00 esce dall’ufficio, da noi invece soprattutto i manager e i quadri restano al lavoro per altre 2 o 3 ore non retribuite magari nella speranza di avere una promozione o un aumento di stipendio. E intanto così tolgono lavoro ai giovani, visto che almeno 350mila posti di lavoro vengono assorbiti da queste persone che restano oltre l’orario di lavoro, senza peraltro avere una retribuzione superiore. Quindi, considerano la propria prestazione come un qualcosa che non vale nulla”.

De Masi sottolinea: “Non è il decisore politico a dover orientare i comportamenti dei lavoratori, ma la famiglia, la scuola e i media. Non possiamo scaricare su 600 persone la colpa di milioni di lavoratori che si negano la famiglia, gli amici e anche se stessi, perché passare in ufficio centinaia di ore in più all’anno significa trascurare il cinema, il teatro, la letteratura, la crescita personale, l’auto-formazione, gli amori, gli affetti. Insomma, praticamente una vita sconquassata dalla mania di restare in ufficio. È una follia totale”.

Circa la situazione dei giovani, il sociologo è tranchant: “I giovani si meritano quello che hanno, sono di una pigrizia politica inaudita. Molti di loro non vanno neppure a votare. In altre epoche i giovani hanno lottato enormemente per il riconoscimento dei loro diritti, oggi le lotte giovanili sono pressocché inesistenti. Gli studenti non lottano assolutamente per i loro diritti e di conseguenza i governi si disinteressano di loro. E infatti in Italia il 23% dei giovani, dopo aver studiato, resta disoccupato. Ci vuole una spinta che parta direttamente dai giovani che devono chiedere alla politica che si interessi di loro”.

E menziona il modello tedesco: “In Germania, invece, man mano che si sono accavallate le ondate del progresso tecnologico, parallelamente è stato ridotto l’orario del lavoro. Attualmente si lavora 32 ore alla settimana e 28 ore per i metalmeccanici. In media un tedesco lavora 1400 ore all’anno, noi invece siamo rimasti a 40 ore settimanali, quindi 1800 ore all’anno, cioè 400 ore in più rispetto a quelle lavorate in Germania – chiosa – Il 79% della popolazione tedesca attiva ha un lavoro, da noi solo il 60% in qualche modo può contare su un lavoro, che molto spesso è precario. Il problema, insomma, riguarda il modo in cui si organizza la società: o si tiene conto dei progressi tecnologici e organizzativi oppure si finge di nulla, così ricchi diventano sempre più ricchi, gli occupati lavorano sempre più e i poveri diventano sempre più poveri“.

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