di Alfredo D’Attorre – 11 marzo 2018
In questi giorni ho preferito rimanere in silenzio e avviare quella lunga riflessione che un voto come quello del 4 marzo richiede.
Confesso di aver ascoltato molte, forse troppe, reazioni a caldo, e non tutte mi sono sembrate adeguate a cogliere la portata di quello che è successo.
È una sconfitta pesantissima, quasi senza precedenti nelle dimensioni, per l’intero arco delle forze di centro-sinistra: per il Pd e, in maniera diversa ma non meno severa, per Liberi e Uguali.
Se la sconfitta del progetto renziano per me non è stata una sorpresa, devo ammettere che non mi aspettavo un risultato così negativo per Liberi e Uguali.
Sul piano personale, avevo messo nel conto la mancata elezione, avendo consapevolmente accettato di candidarmi in una circoscrizione, quella di Lazio 2, tradizionalmente difficile per la sinistra, con l’aggravante di una legge elettorale assurda che affida a un casuale gioco dei resti l’elezione di parte dei parlamentari.
Quel che non mi aspettavo è un dato nazionale ampiamente sotto la soglia minima del 5%.
È questo l’esito che vivo come la vera sconfitta.
Nel gruppo parlamentare uscente sono stato uno dei primi, diciamo dei uno dei più impazienti, a uscire dal Pd, ormai quasi due anni e mezzo fa, nell’autunno del 2015.
L’ho fatto per affrontare con più libertà la battaglia per me decisiva, quella per la difesa della Costituzione, ma anche perché ero profondamente convinto della possibilità e della necessità di costruire un nuovo e largo soggetto della sinistra, in grado di offrire un’alternativa credibile alla crisi ideale e politica del Pd renziano.
Per questo obiettivo mi sono battuto con ogni energia negli ultimi due anni e mezzo, certo anche commettendo errori, ma con tenacia e fiducia nell’esito finale.
Il 4 marzo questo progetto ha subito una pesante bocciatura. Qualsiasi tentativo di minimizzare il messaggio degli elettori, o di non fare fino in fondo i conti con la richiesta di cambiamento che si è espressa nel voto per M5S e Lega, rischia di portare a disastri ancora peggiori.
Si è chiuso un intero ciclo politico della sinistra e una fase della storia italiana.
Ora serve tempo per pensare, studiare, ascoltare e poi capire in che modo riprendere il cammino.
Sono dispiaciuto sopra ogni altra cosa per i nostri militanti, che si sono battuti con straordinaria dedizione in una campagna elettorale tutta in salita.
La settimana prossima farò un giro nelle diverse province della mia circoscrizione per ascoltarli e ringraziarli dell’impegno.
Il fatto che dobbiamo prenderci tutto il tempo necessario per riflettere e capire non vuol dire che dobbiamo fermarci o disperdere la rete che abbiamo costruito.
Personalmente, prima di entrare per la prima volta in Parlamento nel 2013, ho fatto politica per oltre vent’anni senza incarichi istituzionali. È quello che riprenderò a fare, provando a capire la lezione della sconfitta e a mettere nella militanza politica una passione ancora più forte.
Anche perché la passione politica, quando è autentica, è l’unica cosa dalla quale non ci si può dimettere…
Su questa pagina, come spesso accade sui social, ci sono stati anche insulti e offese personali (per scelta non li ho mai oscurati), e più d’uno ha scritto che avrei dovuto cercarmi un lavoro dopo il 4 marzo…
Non devo cercarmelo, per la ragione che devo semplicemente riprendere il lavoro che ho sempre fatto. Ieri ho presentato la domanda per essere riammesso in servizio all’Università il 23 marzo, al termine formale della legislatura e del periodo di aspettativa obbligatoria per mandato parlamentare previsto dalla legge.
Comincia una fase nuova, anche sul piano personale, ma non viene meno l’urgenza di un impegno politico serio e appassionato.
Il bisogno di uguaglianza, di giustizia sociale, di dignità del lavoro e della persona è più grande dei nostri errori e anche del nostro scoramento attuale.
Di qui forse, con umiltà e pazienza, dobbiamo ripartire.