Dateci un bar e risolleveremo il mondo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 23 maggio 2018

Come già i caffè nell’epoca delle rivoluzioni borghesi dell’800 i bar sono stati veicoli fondamentali della socializzazione politica del ‘900 e dei partiti di massa. Nel segno di una modernità innestata sulle tradizioni comunitarie di matrice rurale. Le case del popolo stesse avevano nel bar, con annessi biliardi, tavoli da gioco, flipper, juke box, biliardini, al caso sala da ballo ecc., il salone che dava accesso al resto del palazzo. Questo tipo di bar conobbe il top nei ’60 e nei ’70, al culmine del ciclo industrialista ed urbano della politica democratica organizzata. Se ne contava uno, in media, ogni mille residenti. Negli ’80 entrò in crisi, vinto dalla televisione, dai nuovi costumi delle coppie coniugali, dall’evaporazione della vita di vicinato e, più in generale, dal frantumarsi del lavoro, e, come conseguenza, dell’annesso ‘dopolavoro’.

Lasciando campo ai nuovi ‘spazi pubblici’, esemplificati dalla pseudo-socialità dei mangimifici e dei poli commerciali. Dell’epopea del bar come agora socio-culturale resta ormai una flebile traccia mnemonico nostalgica nei sopravviventi di allora e in qualche mesto centro per anziani. E’ così vero che nel ‘discorso’ corrente della politica contemporanea con i suoi stupidi quanto supponenti interpreti il ‘parlare come al bar’ è divenuto sinonimo di rozzezza e privimitivismo, cioè ‘populismo’. Come se i salotti televisivi coi loro tronisti in servizio permanente effettivo incarnassero l’ateneo della politica. Del resto basta guardare a chi sono e a come si presentano nei loro ‘santini elettorali’ le legioni di aspiranti ai consigli comunali e più generalmente alla classe politica. Gente ampiamente al di sotto della comune umanità, anche quando si fa vanto, a maggior ragione, di titoli di studio. Il più grottesco dilettantismo che si spaccia per neo-professionalismo. Quando si vede chiaramente che non hanno mai frequentato un partito come si deve, e men che meno un bar. Bar e partiti costituivano filtri selettivi rigorosi che impedivano ai deficienti di emergere. Nel bar poteva trovare accoglienza un farabutto, ma mai e poi mai un cretino che non sapeva giocare a tressette. Siamo ormai affondati nell’epoca della lumpen politik.

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