Dalle Frattocchie a Underwood: Renzi è una mutazione genetica peggiore degli OGM

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti 06 ottobre 2014

 

A proposito di ‘House of cards’, intesa quale scuola di formazione politica. Lascio andare gli aspetti thriller (il protagonista che fa fuori fisicamente chi ostacola la sua ascesa) e mi limito alla politica in sé. Pur di evitare il ‘congelamento’ del bilancio statale e lo shut down del governo, Underwood fa il patto con la destra repubblicana. Concede alla destra quello che essa desiderava da sempre (l’innalzamento dell’età pensionabile) per ottenere l’obiettivo di mantenere la previdenza sociale senza che salti il ‘banco’ del bilancio pubblico. Un scambio, insomma. Io faccio la politica della destra, ma lo faccio per ottenere obiettivi di sinistra. Ma parlo con la destra più di quanto non parli con la sinistra. O, meglio, faccio PRIMA il PATTO con l’avversario e POI lo faccio ingoiare ai miei, presentandolo come un servigio alla nazione, un atto dovuto, un passaggio obbligato. Un percorso all’apparenza paradossale, ma molto lineare a intenderlo bene. Soprattutto se nel plot inseriamo bene in vista due variabili: 1. la sfrenata e dominante ambizione del protagonista Underwood, 2. Il contesto degli interessi forti (raffigurati da Raymond Tusk), che lavora per spingere lo stesso Underwood a fare da rostro, per poi pensare di gettarlo via, penetrare così nel varco aperto e promuovere i propri scambi commerciali con la Cina.

Scuola di politica, appunto. Ma di quale politica? Bruttissima di sicuro, cinica, spregiudicata. Esiste, come no, una politica così personalistica, sfrenatamente ambiziosa, dove il destino di uno tende ad affermarsi su tutto il resto, e dove gli interessi cavalcano queste ambizioni, per poi magari rigettarle indietro al momento opportuno, magari facendo il doppio gioco proprio come Tusk. Nel rapporto tra Underwood e il Presidente degli USA si coglie, inoltre, un paradigma tipico di queste circostanze: il politico cinico e ambizioso che fa ‘sponda’ su un cardine centrale e inamovibile del sistema, che gioca le sue mosse concordandole (almeno all’apparenza, proprio come all’apparenza le concorda Underwood) con questo perno istituzionale. Sponda essenziale, perché per fare politica in modo così paraculo servono geometrie variabili ma precise, e angolazioni che consentano ‘rimbalzi’ favorevoli per andare anche ‘indirettamente’ a punto. In fondo all’ambizioso non interessano i contenuti, se non in funzione dei suoi giochi di potere. Tant’è vero che tratta con la destra ma compensa la sinistra con i simboli, sventolando i suoi più tipici obiettivi.

Oggi ho letto l’intervista a ‘Repubblica’ della Serracchiani e ho apprezzabilmente colto questa linea di pensiero alla Underwood. Lei ha confessato candidamente che serve un voto favorevole della Sinistra PD per poter accogliere senza remore anche il voto favorevole di Forza Italia al jobs act. Arrivare, cioè, a un obiettivo di destra con i voti della sinistra che ‘coprano’ il sostegno (ben più determinante e foriero a livello politico) della destra stessa. Ecco i passaggi centrali dell’intervista. Umberto Rosso nota che al Senato i numeri per il jobs act sono stretti. La vice segretaria PDR risponde: “Io credo che un pezzo della minoranza […] voterà sì”. Altra domanda: “E se arriva il soccorso azzurro di Forza Italia?”. Risposta: “Porte aperte, non ne faccio una questione di colore o politica”. Domanda dovuta: ma allora “non c’è il rischio di un cambio di maggioranza?”. Risposta (fate attenzione): “Nient’affatto se si tratta di voti aggiuntivi [AGGIUNTIVI vuol dire che si sommano senza decidere nulla, perché la sinistra PD avrebbe già garantito la maggioranza!] e su un singolo provvedimento”. La sequenza underwoodiana è la seguente: 1. Faccio l’accordo con la destra (il Patto); 2. Ricompongo con una parte (non tutta, che è quasi meglio) della sinistra interna; 3. In tal caso posso anche accogliere il voto di Forza Italia (che così mette comunque un’ipoteca sulla maggioranza) come mero voto aggiuntivo ma dal densissimo significato politico; 4. Il Patto diventa maggioranza quasi senza colpo ferire, addirittura col voto della sinistra interna e l’emarginazione di una parte di essa; 5. Si va in Europa con lo scalpo esibito nel pugno anche da Berlusconi. Il superpartito funziona. Frank Underwood ha vinto.

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