DALLA PARTE DELLA LIBERTA’ UN APPROCCIO PRELIMINARE

per Filoteo Nicolini
Autore originale del testo: FILOTEO NICOLINI

DALLA PARTE DELLA LIBERTA’

UN APPROCCIO PRELIMINARE

Si riaccende il dibattito sulla libertà di scelta. Da più parti* si discute se siamo liberi o no, e vari neuro scienziati sostengono che non siamo affatto liberi, che siamo illusi nella sensazione di decidere, ma che il cervello ci obbliga a scegliere, e quando lo fa è dominato da forze che non sono sotto il nostro controllo, anche risalenti al passato evolutivo cosmico. Nell’ipotesi di poter riavvolgere il nastro della nostra esistenza, troveremmo la vera causa del perchè ieri sera a cena abbiamo scelto la pizza fritta invece che al forno. E che quindi, estrapolando fino all’assurdo, nessuno in fondo sarebbe responsabile per le sue azioni. La libertà, affermano altri, sarebbe un mito anacronistico, rivelatosi utile forse nel passato per motivare a combattere tiranni o ideologie di oppressione, ma essa è resa obsoleta dal potere delle conquiste scientifiche che sanno di noi meglio e più di quanto noi stessi ci conosciamo. Voci più sommesse ma non meno autorevoli ** esortano alla consapevolezza che per quanti sforzi di riflessione e per quante ricerche si facciano non arriveremo mai a svelare, ammesso che ci sia, il senso profondo della libertà.

Mi permetto di dissentire.

In quel che segue, vorrei caratterizzare il processo che ci avvicina alla libertà, e illustrare come non importi il modo in cui la scienza pretenda interpretare la coscienza bensì come ciascuno viva e costruisca la sua vita sperimentando la propria coscienza ora dopo ora.

Siamo esseri pensanti e cerchiamo di comprendere il mondo in cui interveniamo, e facendo così presupponiamo la nostra propria realtà. Come potremmo fare altrimenti? Con che diritto potremmo occuparci di cognizione e di realtà del mondo, se non partissimo dalla realtà di noi stessi?

Certamente siamo coscienti del fatto che la parola “Io” non può mai riferirsi a noi se la udiamo pronunciata da qualcuno. Solo noi possiamo proferirla. Questo è il punto di partenza di ogni discussione sulla libertà, perchè è l’Io che aspira alla libera scelta, è l’Io l’unico attore.

Se non siamo in grado di recepire l’Io nella conoscenza, la nostra conoscenza è in forse e la nostra libertà è in pericolo. L’Io deve essere recepito internamente da ciascuno di noi. E’ il “conosci te stesso”. Se voglio conoscere il corpo fisico, l’anima, le passioni, i desideri e quant’altro si presenti a me, devo prima e prioritariamente conoscere me stesso, perché in caso contrario ogni conoscenza è vana illusione. E’ l’Io che conosce. Vediamo come lo fa e a che può aspirare..

Possiamo, in quanto esseri volitivi, attribuire a noi stessi la libertà? Oppure essa è una semplice illusione prodotta dal fatto che non scorgiamo i fili della necessità, ai quali la volontà sarebbe sospesa? Libertà o necessità del volere? Abbordiamolo con un esempio.

La palla lanciata compie un determinato movimento in seguito a una spinta, ed ubbidisce al principio di causa effetto Allora, il materialista crede-per analogia-che ogni nostra azione è la conseguenza assolutamente necessaria di qualche causa. Ed aggiunge: poiché abbiamo coscienza dell’azione, ci riteniamo liberi autori, ma trascuriamo di vedere che c’è stata una causa nascosta a spingerci, e a cui ci stiamo necessariamente sottoponendoci. Secondo questa analogia, la libertà è una illusione creata dal nostro essere coscienti.

Il fatto è che noi non solo abbiamo coscienza dell’azione, ma possiamo avere coscienza e conoscenza delle cause che la guidano. Certamente il neonato non è libero nel volere il latte, né l’ubriaco è libero quando compie azioni di cui poi si ravvedrà. Ma non è giusto mettere in un solo fascio azioni simili a queste, con altre nelle quali si è coscienti tanto dell’agire come anche delle cause e motivi che spingono. Le azioni non sono tutte di un solo genere, e qui sta una prima chiave di lettura.

E’ una differenza profonda quella che c’è tra il caso in cui so quello che faccio e il caso in cui non lo so. Eppure gli scettici della libertà non si chiedono se un motivo della mia azione che io riconosca e accetti nel profondo, rappresenti per me una coercizione nello stesso senso in cui per il neonato è una coercizione il processo organico che lo fa gridare per il latte. Si trascura quindi di distinguere fra i motivi che accettiamo e lasciamo agire su di noi dopo averli penetrati con la coscienza, e quelli che seguiamo senza averne chiarezza, quelli istintivi o impulsivi.

Quindi, siamo riportati al tema dell’Io e di avere conoscenza dei motivi delle proprie azioni.

E’ evidente che una azione non può essere libera se il suo autore non sa con pienezza perchè la compie. Allora il problema si sposta sul pensare come fonte della conoscenza. Al saper che cosa significa il pensare, ci diviene facile comprendere la funzione che compie nell’agire umano.

Naturalmente va detto che non tutte le nostre azioni derivano da calme riflessioni, perchè sentimenti come l’amore, la compassione, l’altruismo certamente ci spingono ad azioni. Ma i sentimenti divengono ragioni determinanti quando sono accompagnate dal pensiero. Il cuore e i sentimenti reclamano i loro diritti, certamente, ma si attivano meglio e di più quando nella coscienza si è formata la corrispondente rappresentazione. La via del cuore passa per la testa. E quanto più idealistiche sono queste rappresentazioni, più beatificante il sentimento.

Una vita di sentimento, del tutto priva di pensiero, finisce per perdere connessione col mondo. Allo stesso tempo, il sentimento è il mezzo per cui i concetti e le rappresentazioni acquistano vita concreta.

Detto ciò come preambolo, la nostra condizione umana attuale ci pone di fronte al Mondo in una forma singolare a cui pur siamo abituati. Ogni sguardo che gettiamo intorno suscita in noi una serie di domande, con ogni fenomeno che appare all’orizzonte ci arriva un problema. Ogni esperienza, ogni lettura del giornale, ogni incontro fortuito si trasforma per noi in un interrogativo, a volte in un enigma. Mai soddisfatti con quanto si dispiega ai nostri sensi, cerchiamo la descrizione, magari la spiegazione dei fatti. E’ un fatto che ci sentiamo continuamente forzati a cercare concetti e collegamenti con quanto avviene sotto i nostri occhi. Vi è una profonda differenza tra le reciproche relazioni che hanno per me i vari pezzi dell’enigma prima che io abbia scoperto i corrispondenti concetti, e dopo.

Quello che cerchiamo nelle cose oltre a quello che ci offrono al presentarsi, ci divide in due. Nasce l’opposizione con il mondo. Io e il mondo. Che cosa ci caratterizza come esseri umani se non osservare e pensare?

Ma non perdiamo il sentimento che esista un legame di appartenenza che ci unisce al mondo, e che siamo dentro ad esso. Gettare quel ponte tra noi e il mondo è il nostro compito. Fare del contenuto del mondo il contenuto del nostro pensiero. Almeno di quel mondo a noi accessibile e già filtrato dalla vita e dal nostro orizzonte di interessi. La libertà ci accompagna nella riunione col mondo.

Quindi osservare e pensare sono i due punti di partenza per ogni attività. I giudizi più difficili dell’intelletto umano e le comuni valutazioni giornaliere si fondano su queste due colonne ideali. Nel concretarsi di una conoscenza il pensare ha certamente la parte principale. L’osservazione è parte della nostra costituzione, è un nostro bisogno, cronologicamente l’osservazione precede il pensiero. Tutto ci viene dato per mezzo dell’osservazione, le percezioni, le sensazioni, le impressioni, gli atti volitivi, i sentimenti, le immagini, le fantasie, le illusioni e le allucinazioni.

Ma il pensare…..come oggetto dell’osservazione sfugge, si differenzia da tutte le altre cose. Quando vedo un oggetto e lo riconosco per una tavola, in generale non dirò: “Io penso riguardo ad una tavola”, bensì: “questa è una tavola”. Certamente penso, ma non osservo il pensiero nello stesso momento. Osservare il mio pensiero è una condizione eccezionale, che in condizioni normali non si applica mai riguardo il pensare stesso. Il pensare è la parte non osservata del nostro spirito, ma osservabile in condizioni di meditazione.

La peculiare natura del pensare consiste nel fatto che non è il pensare che occupa chi pensa ma l’oggetto su cui pensa. Il pensare è quindi l’elemento inosservato della vita ordinaria. Perché è cosi? Perché il pensare si basa sulla nostra propria attività.

Se voglio osservare il mio pensare devo pormi in condizioni eccezionali e non lasciarlo agire come quando si districa negli enigmi. Non è possibile osservare il nostro pensare nel suo svolgimento contemporaneamente al suo agire, in quanto lo produciamo noi stessi e ne siamo assorbiti.

Ma proprio perchè è nostro, conosciamo intimamente ciò che è caratteristico del suo svolgimento immediato e il modo in cui arriva a compimento.

Il nesso causale e il mutuo rapporto dei singoli contenuti del pensare noi lo sappiamo di modo immediato, al punto di esserne convinti. Dalla semplice osservazione io non so perchè al lampo segua il tuono, ma perchè il mio pensiero colleghi il concetto di lampo col concetto di tuono io lo so immediatamente dal contenuto dei due concetti. Il nesso tra i due, così come l’ho, mi è chiaro per sé stesso.

Questa trasparente chiarezza si rivela dall’osservazione dell’attività che lo sottende e a cui chiunque può arrivare con un po’ di attenzione. Ciò che io contemplo è quel quid che mi spinge a mettere i due concetti in un determinato rapporto fra di loro. La mia osservazione mi dice che nel connettere i pensieri io mi baso su nient’altro che sul loro contenuto concettuale a me chiaro. Dunque il pensiero separa e riunisce elementi in una tessitura perenne. Un pensiero deriva dall’altro. Un concetto non possiamo spostarlo di luogo a piacimento, i pensieri sorgono e si connettono come… sorge un organismo.

Faccio però qui una scoperta sconcertante: posso avere concetti inesatti e tuttavia collegarli fra di loro con una immediatezza che mi convince del nesso e mi “persuade” al punto di emettere giudizi e intraprendere azioni.

Per molti è difficile afferrare il pensare nella sua interezza. Ma si può divenire coscienti di ciò che rimane occulto in altre attività dello spirito. Come detto, il pensare si sottrae all’osservazione normale. Bisogna collocarsi in quello stato di eccezione per cui si diviene attenti e coscienti dell’attività spirituale. Allora si sta di fronte alla nostra stessa attività, a qualcosa che noi stessi produciamo. Non è qualcosa di estraneo, ma sappiamo come sorge, ne vediamo nessi e rapporti e per essi siamo unici titolari responsabili di tale attività. Altrimenti è impossibile parlare del pensare, quanto il discorrere di colori con un cieco.

Si aumentano gli oggetti di osservazione, ma non il metodo di osservare. Quando si osserva il mondo, si confonde nel divenire un processo che viene trascurato, di cui non si tiene conto.

Ma quando osserviamo e pensiamo il nostro pensare, non c’è più nessun elemento trascurato. E l’oggetto osservato-il pensare-è qualitativamente uguale all’attività che su di lui si dirige. Questa è una caratteristica unica del pensare. Quando lo rendiamo oggetto di osservazione, non siamo obbligati a ricorrere all’aiuto di qualcosa di diverso qualitativamente, ma possiamo rimanere nell’elemento stesso. Noi non aggiungiamo nulla di estraneo al pensare. Pensare-osservare il pensare è esperienza spirituale accessibile e rivelatrice.

Quello che con la natura è impossibile- il creare prima di conoscere- col pensare noi lo facciamo. Se volessimo aspettare di conoscere il pensare prima di pensare, non arriveremmo mai a pensare. Dobbiamo risolutamente pensare per poter poi, mediante l’osservazione di ciò che noi stessi abbiamo fatto, arrivare alla conoscenza di esso. Per l’osservazione del pensare dobbiamo noi stessi creare prima un oggetto. Per l’esistenza di tutti gli altri oggetti è stato già provveduto senza la nostra cooperazione. Questa è appunto la ragione per cui le cose stanno di fronte a me così enigmatiche, perchè io non prendo nessuna parte al loro prodursi. Me le trovo semplicemente davanti belle e fatte. Invece, col pensare io so come si produce, e per questo l’unico punto di partenza per la considerazione del divenire del mondo è il pensare.

Io considero tutto il resto del mondo per mezzo del pensare. Come potrei fare una eccezione per il mio pensare? Nel pensare abbiamo un principio che sussiste per sé stesso.

L’assolutamente ultimo a cui è pervenuta l’evoluzione è il pensare. Il pensare è un fatto; se sia giusto, parziale o traballante è un altro assunto, possiamo solo nutrire fondati dubbi se il pensare venga giustamente adoperato.

Va detto che il sentimento sorge improvvisamente prima della conoscenza. Molti sono dell’opinione che l’esistenza si presenti a loro direttamente nel sentire, e indirettamente nel sapere. Per essi la vita del sentimento appare quindi più importante di ogni altra cosa, e ritengono di aver afferrato la connessione col mondo solo quando l’hanno accolta nel loro sentire. E cercano di servirsi del sentire e non del sapere. Questo punto di vista, molto diffuso, consiste nello sperimentare quello che si deve sapere, e cercando di elevare un elemento individuale e sentimentale a elemento universale.

Ma il sentire è un atto puramente individuale, riflette la relazione immediata del mondo esterno con la persona, e tale relazione si esprime in una esperienza soggettiva.

L’osservazione imparziale del pensare è uno stato eccezionale ma perfettamente raggiungibile. Chi per spiegare il pensare come tale ricorre a processi cerebrali fisici non riconosce ciò che gli fornisce l’osservazione obbiettiva del pensare. Chi invece osserva il pensare, vive direttamente in un contesto non materiale che si regge da sé. Qui il pensare contempla sé stesso, qui concetto e osservazione coincidono. E’ l’Io che comincia ad essere recepito.

In questa esperienza di pensare il pensare, l’Io si occupa solo della sua propria essenza. Abbiamo qui un punto fermo dove si fondono la percezione e il pensare, che diviene lo standard per tutto ciò che cerchiamo di abbracciare. Nell’osservazione del pensare stesso il concetto e la percezione coincidono. Pensare il pensiero significa che sto pensando il mio essere pensante, perchè mi percepisco come tale e il pensiero si dirige a sé stesso.

Allora ci accorgiamo che nella percezione ordinaria degli oggetti risiede solo una parte della realtà, e che l’altra parte capace di farla apparire come realtà piena la sperimentiamo attraverso il pensare.. Questo standard, o norma, è tratto dall’Io che recepisce sé stesso, e con esso possiamo dirigerci a ciò che ci viene incontro dal mondo, a quello che possiamo chiamare osservazione generale.

Chi non vede questo, attribuisce ai concetti solo delle riproduzioni simili ad ombre delle percezioni e terrà queste come l’unica realtà, e si costruirà un mondo ipotetico secondo il modello delle sue percezioni.

E’ la riunione col Mondo a cui aspiriamo. Il cammino verso la libertà passa per l’Io che conosce. La libertà appare quindi come la nostra partecipazione più matura al mondo, la vera comunione dell’essere umano.

Sorge ora una domanda che ci ricollega al nostro inizio. Quale importanza ha l’organismo nel complesso dell’entità umana?

Lo stato manifesto dei fatti sembra contraddire l’affermazione che il pensare sia un quid che poggia su sé stesso: il pensare umano per l’esperienza comune sorge chiaramente dentro e attraverso l’organizzazione corporea. Abbiamo innegabilmente un corpo, e allora qual’é la sua funzione?

Far sorgere la coscienza dell’Io, la coscienza dell’identità corporale. La coscienza dell’Io come identità corporale è ben distinta dall’Io che respira nel pensare puro. Essa sorge per il fatto che nel corpo si imprimono le tracce dell’attività del pensare. Essa nasce dunque per virtù dell’organizzazione corporea. Nell’essenza del pensare risiede certamente l’Io, ma non la coscienza dell’Io. La coscienza dell’Io come identità corporale quindi sorge per il fatto che nella coscienza comune si riflette l’attività del pensare. Essa nasce dunque per virtù dell’organizzazione corporea.

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Un pregiudizio comune di questa epoca materialista è quello secondo cui nel corpo umano avvengono molteplici processi fisici, e che l’attività dell’anima ha origine nel cervello e nel sistema nervoso. Gli eventi dell’anima sono, per il materialista, solo espressione di processi fisici. Egli studia infatti ciò che avviene nel corpo umano e trova delicati processi nervosi nei quali pensa riconoscere il fondamento del pensare, del sentire e del volere. Queste tre facoltà dell’anima sarebbero solo fenomeni accessori e derivati di quanto accade sul piano fisico. E’ una concezione molto diffusa e in rapida espansione.

In base alla logica, si tratta di una visione intelligente quanto quella che segue. Immaginiamo che qualcuno percorrendo un sentiero trovi diverse impronte sul terreno. Trova dei solchi e anche delle tracce simili a orme di piedi. Ci pensa su e dice che ciò che forma la strada, la materia di cui è fatta, sviluppa determinati processi per mezzo dei quali la materia si è separata in alcuni punti formando dei solchi, mentre in altri punti si è ritirata formando tracce.

Naturalmente, questo è un errore, perchè la verità è che di lì è transitata una carretta, che ha lasciato i solchi con le ruote, e poi un signore a piedi. Non è stata la natura del terreno a generare le impronte, ma i piedi dell’uomo e le ruote.

Ed è così anche per i processi che avvengono nel nostro sistema nervoso. In quanto le nostre anime pensano, sentono e vogliono, noi continuamente generiamo processi spirituali che si svolgono, finché viviamo, in connessione con l’organizzazione del corpo e lasciano in esso le tracce, così come nell’esempio la carretta e l’uomo lasciano tracce sul sentiero.

Così si può imparare a comprendere come l’anatomista o il fisiologo che studiano solo i processi fisici dell’organismo assomiglino a uno spirito che si aggira sotto la terra ma non sale mai alla superficie e non ha mai visto carrette né esseri umani. Vede solo da dentro la terra che sono comparse delle irregolarità alla superficie del sentiero, ma non ne viene a capo, e le vede solo dall’altra parte. Le studia, dunque, e crede che la terra stessa le produca con una propria attività. Nell’attimo in cui un simile spirito, che vive sempre sotto terra, dovesse emergere alla superficie terrestre, si chiarirebbe come si sono svolti i fatti.

Lo stesso accade per l’anatomista e il fisiologo materialisti. Stanno sempre, per così dire, sottoterra. Non sanno nulla dello spirito e scavano sottoterra, ovvero si occupano solo dello spirituale che è riflesso nella materia.

E’ naturalmente difficile intendersi su questi temi con coloro che vogliono soprattutto restare tranquilli e che proprio non desiderano qualcosa per cui dover essere attivi. In un prossimo studio ci serviremo di questa base per affrontare la realtà della libertà.

FILOTEO NICOLINI

Studio basato sull’Antroposofia di Rudolf Steiner

Foto: Sentiero di montagna in salita.

*https://www.theguardian.com/news/2021/apr/27/the-clockwork-universe-is-free-will-an-illusion

https://www.internazionale.it/opinione/oliver-burkeman/2014/11/25/siamo-schiavi-dei-nostri-corpi

**Giuseppe Trautter, La nostra libertà è l’ultimo enigma, Robinson n. 232 15 Maggio 2021

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