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di Luca Billi 28 novembre 2015
E’ interessante e curiosa la storia delle parole con cui i nostri progenitori hanno chiamato questa strana gallina arrivata dalle Americhe. In Toscana cominciarono a chiamarlo tacchino, perché le sue piume erano screziate, piene di tacche appunto, ossia di macchie, come si diceva allora. E allo stesso modo i piemontesi lo chiamarono pitto, ovvero dipinto, e ancora adesso qui a Parma lo chiamiamo pit. Siccome però nel Cinquecento arrivarono qui in Europa i tacchini, i pomodori, il mais, le patate – e l’oro naturalmente – prima che avessimo ben chiaro da dove davvero provenisse tutto questo ben di Dio, il tacchino in Francia fu chiamato coq d’Inde, ossia gallina d’India, da cui – per crasi – l’odierno termine francese dindon, in Inghilterraturkey, come se venisse dalla Turchia – e anche il mais noi lo chiamiamo ancora granoturco – e nei paesi di lingua tedesca Calecutischerahn, ossia gallo di Calcutta. Quello che era strano, esotico, mai visto prima, doveva essere o turco o indiano, perché non sapevano di preciso né dove fosse la Turchia né dove fosse l’India. In fondo non lo sapeva di preciso neppure Cristoforo Colombo tanto da buscar el levante por el poniente.
A dire la verità non è che noi sappiamo poi molto di più di quei nostri bis-bis-bisnonni, che adesso ci sembrano così ingenui. Forse riusciamo a indicare su un mappamondo che quel rettangolo a fianco della Grecia è la Turchia e che quel triangolo rovesciato più a destra è l’India, ma ci fermiamo lì, perché la storia che ci insegnano a scuola, dalle elementari all’università – anche se ci siamo stati parecchi anni, a dispetto del ministro Poletti – è rigorosamente eurocentrica e tratta poco e male le vicende di quei paesi che escono dalla nostra visione così schiettamente provinciale. Quando abbiamo studiato la storia della prima guerra mondiale i nostri insegnanti ci hanno sfrangiato i cosiddetti per farci capire perché l’Italia sia entrata in guerra e c’è tutta una letteratura sul Piave e su Caporetto e su Vittorio Veneto, mentre è stato ben più rilevante che a quel conflitto abbia partecipato l’Impero Ottomano, a fianco della Germania e dell’Austia-Ungheria. Anzi proprio la sconfitta di quell’impero antichissimo e la divisione famelica dei suoi territori tra le potenze vincenti – la Gran Bretagna e la Francia – è una delle ragioni per cui adesso, dopo oltre un secolo, siamo ancora lì a combattere in quegli stessi territori. Nasce tutto lì, perché allora nacquero la Siria e l’Iraq – che erano e sono entità statali solo sulla carta – perché allora non si volle risolvere la questione dei curdi, come quella dei palestinesi. Poi abbiamo fatto molti altri errori – e altri ne stiamo facendo ancora adesso, visto che i nostri governi hanno deciso di bombardare la Siria e l’Iraq – ma tutto è cominciato allora. Studiare è una cosa importante e non è tutta la stessa roba quello che c’è al di là di Istanbul, come molti sembrano credere.
Un po’ come il tacchino, che alla fine abbiamo scoperto non essere né turco né indiano, ma americano. E gli americani hanno festeggiato il tacchino proprio ieri, durante il Thanksgiving day, il Giorno del ringraziamento. Ovviamente i tacchini hanno un po’ meno da festeggiare, a parte quello più fortunato che è stato “graziato” dal Presidente. Si tratta di un rito che si ripete da qualche anno: un tacchino – a volte una coppia – viene risparmiato dal Presidente in carica, sotto gli occhi delle telecamere, e, invece di essere ripieno e cotto al forno, viene inviato nella tenuta di Mount Vernon, in Virginia, nella casa dove è nato Washington. In genere il tacchino fortunato muore poco dopo, perché prima del Ringraziamento – così come avviene a tutti gli esemplari della sua specie – è stato ingrassato oltre i limiti della sua struttura ossea: il tacchino è carne da macello, modificato artificialmente per diventare sempre più grosso, con un petto sempre più sviluppato e quindi la grazia presidenziale non fa che prolungare la sua agonia. Comunque gli americani credono – o si illudono di credere – che quel tacchino sia più fortunato dei suoi simili. Chissà se anche quell’avvocato di Chicago dalla pelle scura, mentre grazia il tacchino, pensa a quanto anche lui sia stato fortunato, perché, anche se nero, è nato dalla parte giusta del mondo, quella dei ricchi. Perché per i ragazzi neri e poveri Chicago non è un posto così sicuro per crescere, come ci racconta la storia la storia di Laquan McDonald che l’anno scorso non è riuscito a mangiare il tacchino e a ringraziare nessuno, perché un poliziotto bianco lo ha ucciso, semplicemente perché era povero e nero.
Ci sono ancora troppe ingiustizie nel mondo, e un po’ ce le racconta anche questo pennuto.
Puli puli puli pu fa il tacchino, con tutto quello che segue…