Dalla ministra all’assessore: i piagnoni di professione

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Anna Lombroso
Fonte: il Simplicissimus
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di Anna Lombroso per il Simplicissimus – 19 ottobre 2015

Le più leggendarie sono quelle di Elsa Fornero. Ma il suo record finora imbattuto di cinismo combinato con ipocrita spietatezza rischia di essere sgominato da altro pianto, più sanguigno, più verace e, diciamolo, più virile: quello dell’assessore ai Trasporti di Roma, al quale abbiamo dedicato qualche bozzetto per via di questo suo temperamento a un tempo passionale ed emotivo che lo fa palpitare per la squadra del cuore, tirar giù qualche colorita bestemmia, mettersi generosamente al servizio della Capitale come gli ha comandato il capo.
Eh si, quella maledetta Atac è proprio una spina nel fianco, più della moviola, più della curva sud, anche per via delle verifiche effettuate dall’Autorità anti corruzione di Cantone, sulla regolarità della gestione degli appalti nell’azienda negli ultimi cinque anni. E dalle quali è emerso che nel periodo 2011-2015 vi è stato un ricorso frequente alla procedura negoziata, con e senza pubblicazione di bando, per un importo complessivo per forniture, servizi e lavori di oltre un miliardo di euro. Va detto ad onor dell’onesto sindaco diversamente dimissionario, che dall’anno nero, il 2011, nel quale l’entità dell’utilizzo della procedura negoziata nella scelta del contraente ha fatto registrare valori pari al 99,94% del numero degli appalti di forniture (99,60 in termini di importo), al 92,98% del numero degli appalti di lavori (41,55% in termini di importo) siamo andati calando nel 2014 con l’87,58% appalti di forniture (9,22% importo), 86,36% appalti di lavori (49,82% importo), 65% appalti di servizi (50,65% importo) e nel 2015 con l’ 84,27% appalti di forniture (3,26% importo), 82,35% appalti di lavori (31,24% importo), 76,79% appalti di servizi (32,91% importo). Insomma migliaia di contratti per servizi di fornitura e manutenzione nella maggior parte dei casi sono stati sottoscritti con trattativa privata in evidente violazione del codice che regola i lavori pubblici, da quelli per la vigilanza armata, portierato e ronda presso tutti i siti dal 16 febbraio 2015 al 30 settembre 2015 per 15 milioni e 460 mila euro, alla fornitura dei ricambi degli autobus per 58 mila e 873 euro nel 2013, fino al lodevole ma opaco servizio relativo alla gestione degli asili nido aziendali nei siti Magliana, Tor Sapienza e Prenestina per un periodo di tre anni dal 2015 al 2018 per un milione e 872mila euro, anche quelli oggetto di procedura negoziata senza previa pubblicazione.
Un brutto quadro d’insieme, che assume tinte ancora più fosche, perché asciugandosi gli occhi e soffiandosi il naso, l’assessore ha fatto obliquamente sapere che si farà il possibile per rispettare le regole, ma, si sa, Roma vive una situazione di emergenza che richiede procedure e misure eccezionali: “si sono dimenticati di fare manutenzione negli ultimi dieci anni, ma la manutenzione va fatta altrimenti succede quello che è successo oggi”. “Avevo già detto che ci voleva fortuna e una preghiera ogni mattina, stamattina sinceramente mi viene da piangere, si è lamentato. “Sono due mesi che ripeto, senza particolare attenzione e anche con qualche sfottò, che la situazione della metro è molto delicata, che il livello di manutenzione che ho trovato è inesistente e che rischia di produrre una grave situazione, in assenza di risorse”.
Non è la prima volta che scorre una lacrima sul suo viso maschio e risoluto: era successo quando un soffitto era cascato giù alla stazione di Piazza di Spagna e, se non erro, ma ormai è difficile tenere il conto dei suoi patimenti, quando la Metro A si è fermata in un tunnel e i passeggeri – occhi asciutti, loro – sono sciamati a piedi verso la prima via di scampo.
Ecco, non so perché, ma sono quasi certa della soluzione inevitabile al problema che verrà praticata, quella peraltro già ampiamente indicata dal “povero Marino” che nel luglio annunciò con gran squilli di tromba di aver azzerato lo sciagurato vertice dell’azienda, ricettacolo di clientele, familismo amorale, corruzione, inefficienza, per aprire a più virtuosi partner privati. In verità all’annuncio era seguita una pausa vacanze e la “testa” dell’Atac si è dimessa a fine settembre, per ottemperare all’obbligo di approvare il bilancio 2014 in modo da passare il testimone velenoso alla nuova gestione, quella incaricata di promuovere la tanto desiderata transizione verso un’amministrazione oculata, una gestione funzionale, insomma verso la privatizzazione.
Che tradotta significa tagliare linee e servizi, fare profitti, esautorare quelli che prima assumevano i parenti e i fedeli elettori per mettere al loro posto altri che assumano i loro parenti e fedeli elettori del politico di riferimento.
E d’altra parte l’Esposito che fa la faccia feroce con autisti e cittadini che non pagano il biglietto, magari dopo un’attesa di 50 minuti di un autobus superstite della grande purga che ha portato alla necessaria mutilazione di 50 linee urbane, ma poi i suoi controlli li compie in clandestinità, magari a tarda sera, nel timore di incocciare in cittadini esuberanti, è stato messo là proprio per quello, per finire quello che Marino aveva avviato, in linea con l’ossessione del regime benedetto dalla Troika, con quella coazione a espropriare la collettività dei beni comuni in tutti i settori, scuola, istruzione, assistenza sanitaria, monumenti, immobili, terreni, che in tutti i paesi dove è stata praticata ha rivelato la sua insipienza, i suoi costi economici oltre che sociali.
Eliminare la “spesa pubblica improduttiva” – ci sta tutto in 140 battute – hanno chiamato la crociata contro le imprese partecipate dallo Stato – quelle imprese, cioè, “normali”, o “private” da un punto di vista del diritto, ma tra i cui azionisti figura lo Stato anche in tutte le sue articolazioni delle sue declinazioni a livello locale. Mentre invece è dimostrato dalla storia recente quanto sia stato maldestro e improduttivo il processo di privatizzazione intrapreso dall’Italia a partire dagli anni ’90 quando il paese è stato “investito” da un colossale piano di cessione di azionariati e proprietà, superiore a quello della Gran Bretagna e secondo solo al Giappone. Che è stato segnato non solo dal fallimento della visione thatcheriana, dimostrando la pochezza della determinazione perversa a privarsi di beni e servizi per realizzare un’entrata una tantum, perdendo nel contempo asset strategici , impossibili da recuperare in una seconda fase, accompagnata dall’incremento delle tariffe, dal calo dell’occupazione, dal decre¬mento degli inve¬sti¬menti, dal peg¬gio¬ra¬mento della qua¬lità del ser¬vi¬zio, dalla per¬dita di qua¬lun¬que ruolo deci¬sio-nale degli Enti locali e della pos¬si¬bi¬lità di espres¬sione demo¬cra¬tica dei cittadini. Ma che, soprattutto, ha prodotto un solo successo, il più maligno: la privatizzazione dell’intero sistema bancario e finanziario, se dal 1990 ad oggi il controllo pubblico sulle banche in Francia è passato dal 36% al 31% e in Germania dal 62% al 51%, in Italia è precipitato dal 74,5% allo zero assoluto. D’altra parte è questo il loro cambiamento propagandato con la replica compulsiva dello spot che annuncia la privatizzazione delle Poste e che risponde al progressivo smantellamento del ser¬vi¬zio di reca¬pito postale – che tanto chi si scrive più, mandatevi un tweet – con un accento sem¬pre più mar¬cato sul ruolo finan¬zia¬rio di Poste Ita¬liane, che può lan¬ciarsi in Borsa sfrut¬tando la fide¬liz¬za¬zione dei cit¬ta¬dini accu¬mu¬lata in decenni di ruolo pub¬blico, per “valorizzarla” con scintillanti quanto opache spe¬cu¬la¬zioni di mer¬cato.
La fallacia aberrante delle teorie economiche classiche che condannano lo Stato, ineluttabilmente inefficiente o corrotto a fronte di un privato fonte di ogni virtù, morigeratezza e capacità, è d’altra parte ampiamente dimostrata della vera natura e origine delle tenebre che stiamo attraversando: una crisi del sistema finanziario privato spacciata per crisi del debito pubblico.
E molto ci sarebbe da obiettare perfino sul termine “privatizzazione” applicato a aziende che da anni sono territorio di scorrerie, bottino di guerra di fazioni, geografia privilegiata dei viaggi e delle soste di ex politici, manager nel segno del comando o in disgrazia, deriva vantaggiosa per la sistemazione di delfini inetti, ex mogli ingombranti, fidanzate/i rapaci. Meno nostre di così, più private di così, più soggette al condizionamento di giravolte partitiche, dell’esercizio del voto di scambio, delle ambizioni individuali, insomma più personalistiche di così è difficile che possano diventare.

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