D’Alema: “tante promesse elettorali, ma in Italia non sono garantiti i diritti fondamentali”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Francesco G, Gioffredi
Fonte: Nuovo Quotidiano di Puglia.it
Intervista a Massimo D’Alema di Francesco G. Gioffredi – 4 febbraio 2018

Massimo D’Alema, candidato Leu: torna in pista nel Salento, qual è l’aspettativa “numerica” per lei e per il partito in Puglia?
«Nessuno ha la sfera di vetro, di certo mai come stavolta è difficile capire qual è l’impatto della legge elettorale: non sappiamo se gli elettori voteranno i simboli o le persone».

In caso d’elezione dovrà rappresentare gli interessi di questo territorio.
«Questa è la mia storia: sono sempre e solo stato parlamentare del Salento. Sono famoso in tutta Italia per questo, e ha dato grande visibilità a questo territorio. E per i salentini sono stato sempre reperibile».

Il suo ruolo in Leu quale sarà? Le era stato chiesto un passo di lato.
«Esercito solo la funzione di essere Massimo D’Alema, ed è più che sufficiente. Non ho bisogno di altro, e non lo cerco. Mi è stato chiesto di mettere la faccia perché c’è da promuovere un progetto politico nuovo, e poi perché molti amici e amministratori del Salento mi hanno detto che il territorio è stato rappresentato in modo debole e trattato male dalla politica romana. Sono candidato peraltro in una condizione che non è di sicurezza: le certezze le chiedo ai cittadini, non ai tavoli delle candidature».

Disse che ci sarebbero state le primarie per i candidati.
«Io le avevo proposte, poi ha prevalso un’opinione diversa. Comunque c’è stata una consultazione delle assemblee locali: il mio nome è stato fatto da Lecce ed è arrivato a Roma».

Qual è la proposta caratterizzante del programma, soprattutto per Sud e Puglia?
«Lavoro, diritto alla salute e diritto all’istruzione. C’è un grande dibattito su come dare 50 o 100 euro all’uno o all’altro, come una specie di riffa. Ma in Italia non sono garantiti i diritti fondamentali come quelli sopra citati. Noi diciamo che lo Stato deve garantire questi diritti a tutti gli italiani, e siccome al Sud lo sono meno ancora, ciò vuol dire un piano straordinario di investimenti. Non solo sulle infrastrutture, ma anche su università e sanità».

Parlava di «riffa»: le ipotesi di redditi minimi o di dignità non le piacciono?
«Bisogna combattere la povertà con strumenti universali e finanziati in modo efficace, con almeno 5 miliardi. Però l’idea di dare un reddito a tutti è discutibile: preferisco dare un lavoro alle persone, poi può esserci un reddito di inserimento, un contributo per aiutare a vivere e a poter fare corsi di avviamento al lavoro. Il punto è che tra i poveri cominciamo ad avere anche persone che lavorano, e questo richiede un intervento molto forte».

Di che tipo?
«Al di là di un periodo breve e ragionevole, i contratti a tempo determinato non possono essere più consentiti, se non in attività stagionali. E poi bisogna intervenire sulle forme di accesso dei giovani al lavoro».

Il Jobs Act però ha permesso di assumere, seppur a tempo determinato, lì dove prima neppure s’assumeva.
«Sì, ma è stato presentato come una legge che avrebbe eliminato il lavoro precario, obiettivo fallito clamorosamente. Poi l’occupazione cresce semplicemente perché c’è la ripresa economica, che è mondiale».

Lei ricorda che quando era a palazzo Chigi venne destinato al Sud il 42% della spesa pubblica, i governi Renzi e Gentiloni hanno messo però in campo strumenti ad hoc. Il punto è: meglio politiche speciali o misure nazionali potenziate?
«Come strumenti ad hoc ci sono i fondi europei, da usare per intero: ci vorrebbe un coordinamento nazionale anche per evitare dispersioni e concentrare la spesa su direttrici condivise con le Regioni. Noi introducemmo un vincolo: il 40% della spesa pubblica per investimenti doveva essere destinato al Sud, ora siamo sotto il 30%. Il che ha fatto crescere il divario territoriale, per questo Leu propone che il 60% degli investimenti sia per il Mezzogiorno. Siamo di fronte a enormi gap. Del resto basti guardare alle grandi scelte sull’allocazione delle risorse: quando si decide di dare sgravi generalizzati alle imprese per favorire occupazione “assistita” in tutta Italia, l’80% di questi soldi va al Nord. Noi siamo invece per una politica d’incentivazione differenziata».

Ma la platea di elettori di Leu qual è?
«Innanzitutto ci rivolgiamo ai giovani, portati a non votare o a scegliere il M5s. Poi ci rivolgiamo all’elettorato di centrosinistra deluso e che molte volte si è rifugiato nell’astensionismo, ed è la ragione per cui il centrosinistra renziano ha perduto tutte le elezioni possibili».

I giovani però, lo dice lei stesso, votano per un’amplissima fetta il M5s. E gli elettori di sinistra o scelgono il Pd, oppure stanno a casa.
«Ma se non si spinge il Pd a cambiare strada, il centrosinistra sarà sempre perdente».

Il 5 marzo a che condizioni dialoghereste col Pd?
«A partire dalle discriminanti programmatiche di cui ho parlato. Ma è un discorso rivolto a tutti. Al Pd poi abbiamo chiesto una correzione di rotta: non abbiamo condiviso leggi sul lavoro, politica fiscale, riforma della scuola».

Insomma: il Pd rinneghi cinque anni di governo.
«Chiediamo di correggere. E di domandarsi perché dopo tre anni di governo – prima erano di larghe intese – quasi l’80% degli italiani è orientato a votare per forze di opposizione…».

Pd e Leu insieme avrebbero potuto vincere, o quasi.
«No: chi ci vota sono elettori che nel collegio mai avrebbero votato per gran parte dei candidati Pd. È una somma surrettizia. Noi però svolgiamo un ruolo utile per il centrosinistra: Leu porta in campo un elettorato che o non avrebbe votato, o avrebbe scelto altri partiti, ma non il Pd. Ecco perché è assurda l’ossessività con cui Renzi ci attacca. Capisco che gli risulta difficile attaccare Berlusconi…».

Anche voi vi concentrate più sul Pd che sulla destra.
«No, io vado in giro dicendo che un ritorno al governo della Lega per il Sud sarebbe passare dalla padella alla brace».

E con il M5s dialogherete?
«Le condizioni sono uguali per tutti».

Anche per Forza Italia?
«Una cosa è dialogare, altra è fare alleanze di governo. Questa legge elettorale non permette di avere una maggioranza, chi va in giro chiedendo il voto utile per governare inganna i cittadini: le urne non daranno una maggioranza, e siccome non sono favorevole a intrighi, l’unica prassi corretta è che sia il presidente della Repubblica a indicare una personalità e a mettere tutte le forze politiche di fronte alle loro responsabilità. Noi sapremmo cosa chiedere».

D’Alema, ma perché ha cambiato idea su Tap?
«Ho sempre detto che la scelta della localizzazione dell’approdo Tap è infelice e sbagliata, e va ridiscussa. Come ho sempre sostenuto, sarebbe meglio farlo approdare in un’area industriale e non turistica. E chiedo che si fermino i lavori per ridiscutere il tutto con la Regione e i cittadini».

In passato minimizzava parlando di «solo un tubo sotterraneo»…
«In rete gira una versione monca di quello che ho detto. Ho sempre invece affermato, e c’è traccia di questo, che è certamente preferibile un approdo in un’area industriale».

L’opera però è autorizzata, ormai.
«Un lavoro per soluzioni alternative fu fatto in passato, con la giunta Vendola: si potrebbe riprenderlo. È la stessa posizione della Regione».

Bilancio del governo Emiliano?
«È presto. Lo sosteniamo, a volte lo sollecitiamo. Ma non voglio strumentalizzare la Regione».

Però ha chiesto a Emiliano di far campagna elettorale «per tutto il centrosinistra», e non solo per il Pd.
«Sì, o anche di non farla e di fare il governatore».

All’uninominale incrocerà Teresa Bellanova, un tempo a lei vicina.
«Mi sono candidato quando qui non c’era nessuno. La Bellanova è stata candidata in Emilia per essere eletta, e dovrebbe fare campagna lì, nel Salento è stata mandata per impedire l’elezione di D’Alema. Forse, proprio perché un tempo mi era vicina, poteva evitarlo».

Blasi s’è rifiutato.
«Ecco: qualcuno ha rifiutato».

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