Fonte: La stampa
D’Alema: “L’America cura i propri interessi. Ora l’Ue deve aprirsi al resto del mondo”: «Il nazionalismo di Trump e la sua politica aggressiva sui dazi aprono scenari problematici»
Sostiene Massimo D’Alema: «Dopo la vittoria di Trump, l’Europa è più sola e dovrà avere la forza di proteggere i suoi interessi fondamentali. Il nazionalismo di Trump e la sua politica aggressiva sui dazi aprono uno scenario molto problematico per il Vecchio Continente. Siamo certamente alleati degli Stati Uniti, ma i nostri interessi, in parte notevole, non coincidono. L’Europa non ha interesse a una nuova Guerra Fredda e paga un prezzo molto alto alle guerre in corso. Dobbiamo cercare la via di una coesistenza con gli altri. Non siamo interessati a regredire rispetto alle conquiste della globalizzazione. Dobbiamo trattare una globalizzazione più giusta. Siamo una grande potenza culturale, tecnologica e questa forza può esprimersi appieno nel rapporto col resto del mondo, con le forze emergenti, con i nuovi mercati. Deve tornare in campo la potenza europea ma per tutto questo serve una classe dirigente all’altezza: questa è la sfida. L’alternativa è un confuso declino».
Nei 79 anni di storia della Repubblica Massimo D’Alema è stato l’unico “figlio” del Pci che sia diventato Presidente del Consiglio, è stato poi ministro degli Esteri e dopo quella stagione ha mantenuto un rapporto con Bill Clinton («l’ultimo grande presidente americano, quello che espresse un’autentica leadership mondiale»), con la leadership cinese, ma anche con un vecchio compagno come il presidente brasiliano Lula.
Trump ha vinto largamente, sospinto da una coalizione interclassista: miliardari, classe media e minoranze: cosa dice tutto questo?
«Ha detto Trump: “Sono un povero con i soldi”. Ma sia chiaro il voto per lui non esprime la rivolta contro i ricchi e contro le élites economiche, che sono al suo fianco. E tuttavia nel voto a Trump si riflette la percezione della crisi da parte dalla grande parte degli americani, che sentono il bisogno di una protezione in un Paese che sta vivendo una fase storica di declino, che si sente minacciato dall’insorgere di nuove potenze e grandi competitori economici. E dagli effetti dell’immigrazione, che nella fase di espansione era vissuta come una ricchezza e invece oggi è percepita come una minaccia e anche questo è un segno del declino. Il trumpismo è la reazione, chiamiamola populista, a tutto questo».
Prendersi cura delle classi più deboli da parte di un leader di ultra-destra quanto “parla” ad una sinistra italiana e ad un Pd, che rappresentano in prevalenza un ceto medio e dipendente in buona parte garantito?
«In Italia non abbiamo avuto uno sfondamento elettorale della destra e non dimentichiamo mai che nel 2022 il centrodestra ha vinto legittimamente le elezioni ma ha ottenuto un milione di voti in meno rispetto alle opposizioni. Non c’è dubbio che il bisogno di protezione è una questione che tocca l’Europa come gli Stati Uniti».
I democratici americani, come la sinistra italiana durante la Prima Repubblica, hanno sempre difeso quei ceti: stavolta cosa non hanno capito?
«Certamente l’amministrazione Biden ha ottenuto successi in campo economico ma se non si redistribuisce la ricchezza la crescita economica non allevia il disagio sociale. E questo è una grande sfida per i progressisti in ogni parte del mondo. Ma dove il fallimento dei democratici americani è stato più grave è nel campo della politica internazionale, perché il tentativo di riproporre un’egemonia americana nel nome dei valori democratici dell’Occidente ha finito per accentuare la diffidenza verso il nostro mondo e rafforzare le spinte alla collaborazione del “grande Sud” in chiave anti occidentale. Il simbolo dell’asse del Male, Putin, ha riunito a Kazan non soltanto la Cina e i Paesi amici, ma anche India, Brasile, la Turchia, i Paesi del Golfo…».
Un’operazione riuscita ma non è stata edificante l’immagine del Segretario generale dell’Onu che, inchinandosi, dava la mano a Putin, che è inseguito da un mandato di cattura internazionale…
«Purtroppo anche un altro leader perseguito dalla Corte Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, è stato ricevuto con tutti gli onori dal parlamento degli Stati Uniti d’America, Benjamin Netanyahu, e se c’è una cosa che il mondo non tollera è proprio questa doppia morale. Era difficile per il segretario generale delle Nazioni Unite rifiutare l’invito ad una riunione in cui era rappresentata la stragrande maggioranza dell’umanità. Sarebbe sbagliato ritenere che tutti quei paesi condividano l’invasione dell’Ucraina. Al contrario la maggioranza di essi l’ha condannata nell’assemblea delle Nazioni Unite. E tuttavia essi ritengono l’Occidente corresponsabile e non si fidano di noi».
Un personaggio anomalo come Musk è destinato a far scuola pure dalle nostre parti?
«Nelle presidenziali Usa come sempre vi è stato uno scontro anche tra grandi blocchi di interessi economici. Tuttavia la novità è che un uomo come Elon Musk non rappresenta soltanto interessi ma una concezione della società e un’idea della vita. Nell’epoca dei big data il potere economico condiziona direttamente il costume la mentalità, l’educazione. In piccolo è quello che fece Berlusconi, che col potere delle tv espresse una sua egemonia culturale».
Trump punterà sull’Italia come cuneo in Europa e Meloni potrebbe stare al gioco: un vantaggio “personale” ma questo converrebbe all’Italia?
«Quando Trump nel 2020 perse la sfida con Biden, dedicai un numero di “Italianieuropei” alla destra e chiesi un articolo a Giorgia Meloni, che scrisse: Trump ha perso ma il trumpismo resta. Aveva ragione. Ora guida il governo ed è certamente utile per il capo del governo avere un rapporto personale con gli Stati Uniti d’America, ma dubito che questo risolva i problemi dell’economia italiana. Siamo legati ad un sistema economico e politico europeo e se ogni paese dell’Unione si recasse in ordine sparso a chiedere i favori del presidente americano l’esito non potrà che essere disastroso per tutti».
Harris ha dato del “fascista” a Trump: aveva le sue buone ragioni, una denuncia che però non ha avuto “fortuna”: una lezione anche per la sinistra italiane che spesso si qualifica nella negazione dell’avversario?
«Lanciare accuse contro l’avversario e demonizzarlo, può servire a galvanizzare i tuoi ma certamente non ti fa guadagnare neanche un voto. Anche l’anti-berlusconismo non ebbe una grande fortuna. Io provai a rompere lo schema della demonizzazione reciproca con la Bicamerale cercando un accordo per le riforme. A distanza di anni credo che lui ruppe proprio perché pensò che una democrazia normale non fosse conveniente per lui. L’Italia spesso fa scuola».