D’Alema: “Il Cile di Allende ci sembrava un modello, quel tragico golpe segnò anche l’Italia”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fabio Martini
Fonte: La Stampa

D’Alema: “Il Cile di Allende ci sembrava un modello, quel tragico golpe segnò anche l’Italia”

(video ultimo appello di Allende)

Le immagini dell’attacco dal cielo al palazzo della Moneda, l’11 settembre 1973 a Santiago del Cile, sono oramai diventate uno dei simboli “universali” della prevaricazione del potere e 50 anni dopo, proprio davanti alla sede della Presidenza della Repubblica, si ricorderà quella pagina tragica con una serie di eventi, promossi dal Presidente della Repubblica Gabriel Boric, ai quali parteciperanno capi di Stato e di governo e un ristretto gruppo di personalità internazionali.

Tra queste Massimo D’Alema, già segretario della Federazione giovanile comunista italiana che aiutò gli esuli cileni e poi presidente del Consiglio durante gli anni della rinascita della democrazia. Dice D’Alema: «In questi 50 anni tra Italia e Cile si è creato un legame speciale, che è al tempo stesso politico, umano, culturale. La vicenda del Cile ha avuto un’influenza sulla storia italiana: il compromesso storico e la solidarietà nazionale nascono in gran parte a partire da una riflessione sul tragico epilogo della esperienza di Unidad popular».

Siamo nella sede di Fondazione Italianieuropei alla vigilia del viaggio che porterà Massimo D’Alema in America Latina e non si può non chiedere all’ex presidente del Consiglio la sua valutazione sull’indagine che al momento riguarda anche lui, in merito al tentativo di vendita alla Colombia di navi e aerei di Leonardo e Fincantieri. Dice D’Alema: «Non commento vicende giudiziarie in corso sui giornali, mi riprometto la totale infondatezza delle accuse in sedi proprie».

Partiamo dalla fine degli anni Sessanta, l’Italia era nel clima vibrante del Sessantotto: come si accese l’attenzione su un Paese piccolo e lontano come il Cile?

«Il Cile era un Paese evoluto, aveva un sistema politico molto legato a quello europeo: c’erano la Dc, i comunisti, i socialisti. Per noi del Pci rappresentò l’esperimento di un’avanzata democratica verso il socialismo non solo in un Paese occidentale ma collocato addirittura nel “cortile di casa” degli Stati Uniti. La strategia democratica era la nostra strategia e il Cile rappresentava la prova che tutto questo si poteva fare».

Allende, socialista legalitario, non fece un “golpe rosso” preventivo: una lezione permanente?
«Allende era una democratico, ma l’esperienza di Unidad popular fu segnata anche da spinte radicali, che favorirono gli argomenti della destra e il colpo di Stato avvenne sull’onda di un’ondata reazionaria, che ebbe anche una base popolare».

Il golpe ebbe un effetto choc solo sul Pci?
«Dal 1973 la politica del Pci si muove a partire da un lungo articolo di Enrico Berlinguer, pubblicato su Rinascita, che si intitola “Riflessione sui fatti del Cile”. Una riflessione che spinse il Pci a prendere atto che in un mondo diviso dalla guerra fredda, in un Paese dell’Occidente un’alternativa seccamente di sinistra non era realistica e occorreva fare un’alleanza con forze come la Dc. Ma i fatti del Cile spinsero anche frange della sinistra a radicalizzarsi, ritenendo che la via della democrazia fosse preclusa».

Gli esuli cileni si sono ritrovati aiutati dalla Farnesina, dal Psi di Craxi, dal Pci di Berlinguer, un fenomeno unico…
«Nelle ore del golpe l’asilo offerto dall’ambasciata italiana a Santiago salvò la vita a tanti perseguitati e quella accoglienza è stata ricordata nella recente visita in Cile del presidente Mattarella, che è stata un grande successo. Negli anni successivi una comunità di esuli cileni ha vissuto in Italia come in una seconda patria e questo grazie al sostegno dei comunisti, dei socialisti di Craxi, anche della Dc e di tutti i democratici. L’Italia fu molto sensibile anche perché la memoria del fascismo aveva sedimentato un forte e comune sentimento democratico. Ricordo tanti amici cileni. Da Antonio Leal, agli Int-Illimani a Ernesto Ottone, all’epoca vice segretario della gioventù comunista. Quando egli assunse la carica di presidente della Federazione mondiale della Gioventù democratica, fu il nostro governo che gli fornì il passaporto necessario per viaggiare nel mondo. Nanni Moretti ha fatto un bel docufilm sul rapporto tra l’Italia e il Cile nel quale si ricorda anche come la musica andina, che pure suscitò lo sberleffo di Lucio Dalla, era diventata la colonna sonora della nostra gioventù. Anche questo conta: non c’è stata soltanto la riflessione politica, ci fu anche un legame emotivo-sentimentale».

Lei entrò nel palazzo della Moneda 23 anni fa: come è cambiato il Cile?
«Nel 2000, il neo-eletto presidente, Ricardo Lagos volle che il primo ospite straniero ospitato alla Moneda fosse il capo del governo italiano. Alla cerimonia ufficiale di insediamento Lagos fu accompagnato verso La Moneda da un’enorme folla che portava dei cartelli bianchi, che alla fine furono svelati: erano i volti di tutti i desaparecidos: ci mettemmo tutti a piangere. Oggi il Cile ha ritrovato una sua stabilità democratica, durante la quale si è consumata anche una crisi dei tradizionali partiti democratici di sinistra che tuttavia hanno contribuito, al secondo turno, all’elezione dell’attuale presidente Boric, espressione di un movimento di sinistra più radicale. Le manifestazioni di Santiago saranno concluse dai discorsi del presidente e di Isabel Allende e poi dalla firma di tutti gli ospiti ufficiali di un Manifesto in difesa della democrazia e della promozione dei diritti umani».

Gli Stati Uniti pesarono assai nel golpe: anche oggi, tutti gli imperialismi restano un male assoluto?
«Probabilmente senza l’appoggio americano, il golpe non si sarebbe consumato. Per gli Usa prevaleva la logica della guerra fredda, della sovranità limitata: a “casa” propria ognuno fa quel che crede. Non a caso Kissinger, col suo iper-realismo, giustificò il Cile ma anche l’invasione sovietica in Cecoslovacchia, che invece noi dei Pci condannammo perché avevamo una strategia contro quella logica dei blocchi. Ad un certo punto il dramma di Moro e di Berlinguer fu quello di condividere una strategia invisa ad entrambe le superpotenze. Santiago fu speculare a Praga: la logica dei blocchi, allora come oggi, tende a schiacciare le autonomie nazionali».

A proposito di doppi standard tra alleati: ma non fu proprio lei nel 2000 a scrivere una lettera a Clinton, Chirac e Gheddafi per chiedere informazioni sulla vicenda di Ustica?
«Si fui io, dopo l’esame della sentenza ordinanza del giudice Priore sentii il dovere di agire come governo per sostenere la magistratura nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità. La risposta, molto deludente, la ricevette Giuliano Amato che fu presidente dopo di me. Questo lo spinse a tornare alla carica. Capisco che ancora oggi egli avverta il peso di quella verità non disvelata e speri che, dopo tanto tempo, si faccia chiarezza».

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