D’Alema: Assestare colpi, lasciare segni

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 24 marzo 2015

A me, che pure non sono granché giovane, se dicessero che sono una vecchia gloria del wrestling, mi incazzerei. Per due motivi: uno, perché non mi piace il wrestling e avrei preferito un altro paragone meno americano e meno pay tv; due, vecchia gloria ci sarai tu anche se hai meno di quarant’anni ma professi idee (autoritarie, ciniche, classiste) che sono stravecchie e appartengono al solito apparato che da cinquanta anni si oppone agli argomenti e al blocco sociale (purtroppo sempre più ipotetico) della sinistra. Per questo, dico a D’Alema di insistere sulla sua idea di una associazione della sinistra trasversale al PD; dico a Bersani di metterci più rabbia politica e più guerra di movimento (alla maniera di Prospero); dico a quelli della minoranza PD che spintonano da dietro e vorrebbero un parricidio, che non basta votare contro in aula, se poi non si assumono atteggiamenti conseguenti, e non ci si fa carico di dirigere i processi politici (oltre che ‘salvare’ la propria coscienza col voto contrario di cui sopra). Chiedo, inoltre alle ‘vecchie glorie’ di non scansarsi, di non ‘fare spazio’ alla maniera della rottamazione renziana, ma di impegnarsi nel confronto coi ‘parricidi’, metterne alla prova il coraggio, la determinazione, le esatte intenzioni, aprire un confronto su idee, prospettive, percorsi, tattiche, strategie, presente e futuro. Crescere tutti assieme, insomma, come un vero collettivo politico, non come un branco di rancorosi che si vomitano reciprocamente indosso le proprie frustrazioni politiche e le proprie ambizioni personali. Il resto sono chiacchiere buone per la stampa e nulla più.

Posto, dunque, che gli insulti (‘vecchia gloria del wrestling’) dovrebbero farci incazzare e non frustrare, io credo che la strada da percorrere sia una sola: dare battaglia vera, mostrarsi capaci di farlo. Che non vuol dire né scissione silenziosa, né chiassosa, né pensare che la Ditta sia la stessa di prima e la lotta politica interna una cosa leale e generosa. Non è così. Ha ragione Michele Prospero a mettere in guardia sulla vera natura del PD, “un mero cartello plebiscitario privo di radici, identità, condivisione”. Un ring, questo sì, e magari pure di wrestling, dove la lealtà non è certo una regola e dove predominano le ambizioni di ognuno all’oscuro dell’ombra lunga del Capo. Se questo è vero, anche una scissione armi in resta apparirebbe un’ennesima variante della guerra di posizione e non la ‘guerra di movimento’ che invece servirebbe oggi come il pane. Piuttosto che dire ‘ciao a tutti, noi ce ne andiamo’, io sono del parere che chi sta dentro e vuole ancora restarci, se intende fare una battaglia di sinistra, questa battaglia la deve fare “senza remore e con gesti simbolici graffianti”, come dice ancora Prospero oggi sul ‘Manifesto’. “Essere intransigenti e dare dei colpi quando è necessario”: ecco. Non fosse altro per sopravvivere al tritacarni che è la lotta intestina al PD, e far sopravvivere così anche quel che resta della sinistra interna dopo lo tsunami renziano. È la mossa della disperazione, forse, quella in cui non conta quasi più una strategia ma una tattica movimentista, pronta appunto ad assestare dei colpi (politici) e lasciare il segno. E poco importa che questa per Orfini sia l’invito a una rissa da bar. Evidentemente lui non ha necessità di sopravvivere ad alcunché. Campa già bene così.

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