Dal neopresidente una lezione al modello Renzi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Massimo Villone
Fonte: Il Manifesto

di Massimo Villone – sul Manifesto del 25 marzo 2018

Per Giorgio Napolitano, che apre la seduta per l’elezione del presidente del Senato, il voto del 4 marzo dimostra «quanto poco avesse convinto l’autoesaltazione dei risultati ottenuti negli ultimi anni da Governi e da partiti di maggioranza».
A fronte di una realtà segnata da «diseguaglianze, ingiustizie, impoverimenti e arretramenti» nella condizione di vita di «vasti ceti». Non è mancato un duro richiamo al clientelismo e alla corruzione.
Una condanna senza appello, magari un po’ tardiva. Ma c’è un punto che Napolitano non coglie: la maggioranza di cui parla non è mai esistita nel paese reale, perché era artificialmente creata dall’incostituzionale premio del Porcellum. Qui nasce la distanza incolmabile tra l’affabulazione renziana e la vita reale di milioni di famiglie.
Anche la situazione di oggi nasce dalla legge elettorale. La vittoria del centrodestra e l’Opa ostile della Lega su Forza Italia trovano radice nel modello imposto da Renzi a colpi di fiducia. Effetti collaterali prevedibili. Forse anche previsti e ritenuti accettabili, per il danno ipotizzato a M5S e alla sinistra fuori del Pd. Ma l’onda favorevole al Movimento è stata troppo forte, e ha travolto il Pd ridotto a terzo partito. Quindi, Lega e M5S hanno condotto la partita sulle presidenze, costringendo un Berlusconi ombra di sé stesso a un recupero affannoso. Avrebbe dovuto capirlo che la proposta Romani sapeva troppo del vecchio Berlusconi, quello per cui una condanna penale tamquam non esset. Ne è venuta l’elezione di Fico e Casellati.
Renzi ha condotto i suoi a un inutile voto di bandiera. Un’occasione perduta.
Il discorso di investitura di Fico si è collocato chiaramente in una tradizione di sinistra. Oltre alla condanna del nazifascismo – apprezzabilissima – colpisce soprattutto la forte sottolineatura della centralità del parlamento. Le parole sull’abuso di decretazione, le scorciatoie e le forzature nei lavori parlamentari, il rapporto tra cittadini e istituzioni, i tempi certi sulle proposte di legge di iniziativa popolare, la qualità della legislazione, il senso profondo della rappresentanza politica ci mostrano un presidente di assemblea che i sostenitori senza se e senza ma della modernità e della dominanza dell’esecutivo considerano a dir poco obsoleto. Attestano il recupero di una cultura istituzionale da molti anni abbandonata dalla sinistra che avrebbe dovuto custodirla. Nel suo discorso Fico ha difeso la Costituzione più e meglio di tanti costituzionalisti di professione. Lo vedremo presto alla prova dei fatti.
Lo strappo di Salvini e Di Maio ha senso se prelude a un governo, la cui agenda va definita. Ne potrebbe far parte una nuova legge elettorale. Si parla con insistenza di aggiungere un premio di maggioranza – un simil-Porcellum o simil-Italicum – con la possibile variante di un secondo turno di ballottaggio tra i due più votati nel primo.
In realtà, potrebbero bastare anche pochi ritocchi in apparenza minori al Rosatellum vigente.
Ad esempio, portare al 50% la quota di collegi uninominali maggioritari, e alzare la soglia d’accesso al 5%, metterebbe nell’angolo il Pd di oggi, spazzando via al tempo stesso tutti i minori. Ma in nessun caso si può ritenere accettabile che la tecnicalità della legge elettorale determini chi governa un paese. In un sistema multipolare lo stravolgimento maggioritario riduce il voto a una lotteria. È comunque mai alla maggioranza numerica in parlamento corrisponderà un pari consenso nel paese. Può mai un governo che fuori del palazzo rimane di minoranza garantire davvero stabilità e governabilità? Quanto a lungo?
L’unica correzione razionale del sistema elettorale nel contesto attuale del sistema politico è in chiave proporzionale. Investendo sulla centralità del parlamento e sulla politica, come dice Fico.
Paradossalmente, un impianto proporzionale è anche l’unico che potrebbe oggi dare al Pd (e alla sinistra) la speranza di recuperare vitalità e ruolo. Vedremo se questa consapevolezza consiglierà a Renzi di lasciare l’Aventino. Ma forse è solo una rancorosa ripicca verso l’ingrato popolo sovrano.
Avevamo sempre pensato che ai boyscout insegnassero anzitutto ad affrontare le avversità con sereno e coraggioso distacco. Ma quella lezione il boyscout di Rignano deve averla marinata.

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