Da casello a casello

per Luca Billi
Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
Url fonte: http://ipensieridiprotagora.blogspot.it/2015/12/verba-volant-228-autostrada.html

di Luca Billi  5 dicembre 2015

Come immagino facciano molti di voi, la mattina, mentre mi preparo per andare a lavorare, ascolto la radio. Anzi la radio mi serve a scandire i miei rituali quotidiani: ad esempio, se non ho ancora fatto colazione quando comincia il notiziario regionale, vuol dire che sono decisamente in ritardo. Tranquilli: non vi voglio annoiare raccontandovi le mie abitudini mattutine.
Da alcune settimane sento in radio due pubblicità che mi hanno sorpreso. Invece di promuovere le solite cose – una merendina, un contratto di telefonia, un supermercato – alcune aziende fanno pubblicità alle loro autostrade. Uno spot ci invita a prendere la Pedemontana, allettandoci con il fatto che non ci sono caselli, il secondo invece ci spinge a utilizzare la Brebemi, ossia la nuova autostrada che collega Brescia e Milano, passando per Bergamo.
Sul momento ci ho fatto poco caso, le ho ascoltate con la stessa distrazione con cui ascolto le altre. Poi ho cominciato a pensarci. Le altre pubblicità le capisco: quando vado a fare spesa posso scegliere se andare in questo o quell’altro supermercato e, una volta entrato, posso decidere se acquistare questa o quell’altra merendina. E così via per tutti gli altri prodotti oggetto delle réclames; ma una strada cosa c’entra? Se voglio andare a Milano con la ferrovia capisco che io possa decidere che treno prendere, di questa o di quella compagnia. Ma se ci vado in auto perché devo scegliere quale autostrada utilizzare? Ce ne sono due? E perché cavolo abbiamo costruito due autostrade, consumando un bene così prezioso – e insostituibile – come il suolo per fare due strade per portarci nello stesso posto?
La pubblicità, oltre che per informarci delle possibilità che abbiamo come consumatori, serve anche a creare un bisogno, a farci diventare appunto piùconsumatori. Immagino che questi spot servano essenzialmente a questo. Non avrei mai pensato in vita mia di andare a Cornate d’Adda, ma l’idea di poterci finalmente arrivare comodamente in autostrada – per di più senza dover passare per i caselli, grazie al sistema free flow, come mi spiega quotidianamente un’entusiasta annunciatrice – mi spingerà certo a visitare questo ridente paese della Brianza, i cui monumenti più notevoli, secondo Wikipedia, sono le due centrali idroelettriche sull’Adda. Chissà prima come ci si arrivava fino a Cornate? O forse chi ha costruito queste nuove autostrade aveva in mente quello che ha scritto Paulo Coelho: non è importante la meta, ma il cammino; e quindi mi esorta, se devo andare a Milano, a non fare la strada più breve, passando per Piacenza e Lodi, ma a fare quella più lunga, per Brescia e Bergamo. In fondo è importante il viaggio, e quello che pagherò di pedaggio. Effettivamente quanti nuovi autogrill potrò visitare? Quante rustichelle potrò assaggiare in questo mio viaggio dell’anima tra le nuove autostrade italiane?
E’ interessante la storia di questa parola. Il termine autostrada è stato utilizzato per la prima volta nel 1922, quando venne inventato dall’ingegnere Piero Puricelli che preparò il progetto dell’Autostrada dei laghi. L’autostrada, nell’immaginario di quegli anni, doveva essere una strada diversa, moderna, adatta appunto al nuovo e moderno mezzo di trasporto che allora cominciava a diffondersi: l’automobile. E curiosamente questa parola è passata dall’italiano alle altre lingue europee. Come nella musica il mondo parla italiano – piano, pianissimo, andante – così succede con autostrada, parola che è passata pari pari in Polonia, in Romania, nella parte meridionale della Svezia. E nelle altre lingue si registra la traduzione letterale dei due distinti termini auto e strada. Gli italiani hanno inventato la parola autostrada.
E indubbiamente la creazione di una rete di autostrade è stato un elemento di progresso. Giustamente l’Autostrada del sole è uno dei simboli del boom. Ricordo un divertente monologo di Massimo Troisi che racconta l’entusiasmo di suo padre quando la televisione diede l’annuncio che quest’opera era stata realizzata:dicevano che Milano e Napoli erano diventate più vicine, così mio padre ci caricò sul treno per andare a Milano.
So che costruire strade è importante, ma bisogna costruire quelle che servono. Se bisogna fare pubblicità a una strada affinché le persone la utilizzino, significa che quella strada non serve. Ed è stato un grave errore farla. Significa che quella strada è servita soltanto all’azienda che l’ha costruita, ai politici e ai funzionari pubblici che hanno preso tangenti per far costruire quella strada, ai proprietari a cui è stata espropriata la terra, a chi ha costruito brutti centri commerciali vicino a quella strada, ai politici e ai funzionari pubblici che hanno preso tangenti per dare il permesso di costruirli. Ma non serve alle persone che ogni giorno devono andare da un posto all’altro. E soprattutto non serve al nostro ambiente, perché quella strada significa che un’altra fetta del nostro territorio è stata cementificata, che un altro pezzo del nostro paesaggio è stato rovinato, che un’altra parte del nostro paese è stata stuprata.
Trovo ipocrita che in questi giorni queste pubblicità vengano precedute o seguite dalle riflessioni sulla conferenza di Parigi. Cosa c’è di più moralmente e ambientalmente insostenibile di un’autostrada che non serve? Come possono gli stessi politici che hanno inaugurato quelle nuove autostrade andare a Parigi per dire che dobbiamo cambiare i nostri stili di vita? Dobbiamo cambiare loro e cambiare i padroni delle autostrade che in questo modo ci stanno uccidendo. Ma senza la scomodità di passare per i caselli.

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