La Signora entra in tabaccheria e compera un Gratta e Vinci. Esce dalla tabaccheria, gratta e vince. Non poco, molto. Cinquecentomila euro, mezzo milione. Torna alla tabaccheria e consegna il biglietto per incassare la vincita. Il tabaccaio, avutosi dalla sorpresa, prende il biglietto e dice che ci pensa lui, esce dal retro e si dilegua in fretta, arriva a Latina dove in una filiale di banca apre un conto corrente a nome suo e deposita il tagliando. Intanto la Signora denuncia il furto e le forze dell’ordine si mettono sulle tracce del furbastro parecchio furfante. Il giorno dopo lo trovano a un gate di Fiumicino con un biglietto di sola andata per le isole Canarie. Accompagnato al posto di polizia spiega di essere il derubato e non il ladro, cioè il biglietto vincente sarebbe stato suo, di sua proprietà, e la Signora avrebbe mentito per carpirgli sta fortuna. Fatto è che gli inquirenti trovano la spiega confusa e lo mettono agli arresti. Adesso scegliete voi. Potete immaginare il plot alla stregua di un remake pirandelliano del “Così è se vi pare” col tabaccaio nella parte del Signor Ponza e la derubata nelle vesti della Signora Frola. Oppure immaginare quale capolavoro di sceneggiatura ne avrebbero tratto Ettore Scola e Ruggero Maccari se nel 1954 avessero avuto tra le mani un materiale simile per un episodio di “Accadde al commissariato”. In questa seconda ipotesi (che io personalmente preferisco di gran lunga) gli interpreti del tabaccaio e della Signora, se vi va, sceglieteli voi. A noi resta il dubbio perenne di questo paese dove non sai mai dove piantare il confine tra il neorealismo e la commedia.
Cuperlo: “Il furto del Gratta e Vinci, L’Italia sul crinale tra neorealismo e commedia”
Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
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