di Gianni Cuperlo – 26 agosto 2018
Lo avevo anticipato e per il poco che vale l’ho fatto. A volte tacere qualche giorno aiuta a riflettere. A mettere in fila le cose e provare a trarre un giudizio su come gira il mondo attorno. È ciò che ho tentato anche a fronte della enormità dei fatti di questa brutta estate. Come molti tra voi ho letto e ascoltato ogni cosa che si è scritta e detta su Genova. Ho seguito nei giorni la follia della nave Diciotti e dei suoi ostaggi. Ho continuato a girare, discutere del libro e incontrare sindaci e amministratori, li ho soprattutto ascoltati e ve ne parlerò, ma una cosa vorrei dire nel riprendere il dialogo qui sopra. So che l’autunno riserverà scarti perché chi è al potere tenterà ogni via per negare l’evidenza di ostacoli ed errori.
Nel porto di Catania si è consumata una violenza dello Stato (quello oggi rappresentato da Salvini e l’ombra di Conte, col benestare di un capo 5Stelle colpevole di ignorare le basi del diritto che dovrebbe difendere). Il ministro dell’Interno, beandosi di un consenso che ritiene destinato a crescere, ha spinto il conflitto dentro il cuore delle istituzioni e così agendo ha infiacchito di più gli anticorpi della democrazia. Il punto è che quegli anticorpi, se logorati al punto da collassare, agiscono all’inverso come detonatori di una crisi di sistema che può rivelarsi fatale. Perché forse il punto è lì: nel giudizio che a questo punto si deve dare di chi si è impadronito del comando in una logica estranea a regole e principi della storia italiana degli ultimi settant’anni. Non credo sia solo che questi stanno portando l’Italia dove non siamo mai stati. Ai margini ora, e forse domani fuori dall’Europa. A mano tesa verso il fascismo di Orban che planerà a Milano martedì per perorare la causa oscena della sua “democrazia illiberale”.
Credo sia necessario dire qualcosa di più. Che al timone del Paese, per la prima volta da quando tutti noi stiamo al mondo, è approdata una forza che non è solo figlia di una cultura reazionaria (e la vergogna di Catania basterebbe a sancirlo dinanzi a qualunque tribunale del buon senso), ma una cultura, e dunque una forza e singole figure, tecnicamente “eversive”. Intenzionate cioè a sovvertire l’ordine costituzionale e la distinzione tra poteri dello Stato, ciascuno sovrano nelle sue prerogative. Se di questo si tratta, se questo è l’avversario davanti a noi, la sola cosa assennata è unire il fronte di chi si oppone a questo stupro della democrazia. E farlo nella chiarezza di una alternativa di valori, politiche, risposte coerenti a una idea di sinistra. Un’idea rinnovata in profondità certo, ma ancorata al campo dei progressisti. Lo scrivo sapendo quanto siamo acciaccati. Conosco le nostre colpe e so che non siamo stati all’altezza della peggiore sconfitta di sempre. Ma ai molti commentatori dediti da settimane a spiegare la distruzione della sinistra vorrei dire che non saranno solo parole severe a ricostruire le ragioni di un popolo sperso. A noi toccherà ribaltare tutto ciò che va ribaltato. Ciascuno di loro dovrebbe chiedersi cosa c’è di saggio nel distruggere gli argini quando la piena sale. Che il Pd non basti è un fatto. Che un altro Pd non serva è una follia.