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di Marta Ottaviani, 13 maggio 2017
Aveva promesso meno austerity. Ma ora accetta di diminuire le pensioni e aumentare le tasse ai poveri. E i suoi consensi sono scesi dal 35 al 15%
Atene. Doveva essere il leader del cambiamento, colui che da Atene avrebbe lanciato una sfida all’altra parte dell’Europa, quella del nord, della Germania di Angela Merkel, quella dell’euro forte e che va veloce (sicuramente più di quella del sud). Ma la Grecia di Alexis Tsipras, la scorsa settimana, per l’ennesima volta ha detto sì alle richieste di Bruxelles e ha raggiunto un accordo con i creditori internazionali per la seconda revisione del programma di salvataggio.
La condizioni dovranno essere approvate entro il 18 maggio dal parlamento ellenico ed entro il 22 dalla riunione dei ministri delle Finanze dell’Eurozona. Si tratta di un compromesso che permetterà la continuazione delle altre tranche del terzo programma di aiuti da 85 miliardi di euro, sottoscritto proprio da Tsipras nell’agosto 2015.
Il problema è che, per l’ennesima volta, il primo ministro greco è stato costretto ad accettare le condizioni di Commissione europea, Fondo monetario internazionale (Fmi) e Banca centrale europea (Bce), tradendo ancora le promesse che aveva fatto ai suoi elettori all’inizio della sua ascesa politica, quando aveva promesso meno austerity e riforme per aumentare la crescita e diminuire le ingiustizie nel Paese.
Austerity senza fine
Alexis Tsipras lo aveva garantito: dal 2018 l’austerity sarebbe finita e non sarebbero state varate altre misure. E invece a partire da quella data verranno ridotte ancora le pensioni e anche il limite di esenzione fiscale, che passerà da 8.636 euro a 6.000. Sacrifici che dovrebbero fare risparmiare 3,6 miliardi di euro.
A questi vanno aggiunti aumenti di tasse e modifiche al mercato del lavoro e dell’energia, nonché quelle privatizzazioni che il governo di Atene ha avviato, ma che sono rimaste in parte carta morta anche per la poca affidabilità che il Paese dà agli investitori internazionali. Se la Grecia implementerà queste misure, Tsipras otterrà quello che gli sta più a cuore: un alleggerimento del debito sul medio lungo termine e la possibilità di concedere sovvenzioni alle famiglie bisognose per mille euro all’anno fino a 250 milioni di euro per il sostegno a minori e a chi non si può permettere cure sanitarie.
La strada però secondo tutti è in salita. La Germania e il Fmi la vedono in maniera completamente diversa. Se Berlino, anche per motivi elettorali (le urne sono a settembre), mantiene la linea della fermezza, Washington ritiene che un alleggerimento sia necessario, pena abbandonare la troika dei creditori internazionali. Purtroppo per Tsipras, anche nei confini nazionali non sono molto ottimisti.
La commissione Bilancio del parlamento per prima è critica sui contenuti dell’accordo raggiunto con i creditori internazionali. Secondo i suoi componenti le condizioni contrattate sottoporranno una popolazione già stremata a sacrifici che non potrò tollerare e non riusciranno a restituire al Paese quella credibilità internazionale di cui ha assolutamente bisogno.
Una Grecia che rischia di cadere «nella trappola dell’austerity», secondo la Commissione, e che quasi sicuramente non riuscirà a raggiungere l’obiettivo del 2,7% fissato per quest’anno. «La Commissione europea ha già tagliato le stime per la crescita al 2%», spiegano dal quotidiano economico Imerisia a pagina99, «la nostra previsione, che potrebbe essere smentita dai fatti, è che a causa del rallentamento dell’economia a fine 2016 si potrebbe non arrivare nemmeno a quello. Di fondo si sono accettate condizioni troppo dure. Con privati e imprese piegati dalle tasse e con stipendi e pensioni tagliate, è difficile mettere in atto un meccanismo di crescita».
La battaglia in parlamento
Il ministro delle Finanze, Euclides Tsakalotos, ne è convinto: questo accordo con i creditori spiana la strada alla rinegoziazione del debito. «Ci sono cose di cui siamo soddisfatti», ha ammesso Tsakalotos davanti ai giornalisti, «e cose di cui lo siamo meno, ma nel complesso è un buon accordo». Dimitris Tzanakopoulos, portavoce del governo, ha parlato di «condizioni bilanciate e praticabili».
Syriza, il partito del premier Tsipras, ha annunciato che farà quadrato attorno all’accordo, anche se questo vuol dire tradire, anche come formazione politica, le promesse fatte agli elettori. In realtà sanno che non hanno altra scelta. Se si dovesse andare al voto adesso, quella che sembrava a tutti la promessa della politica greca, vedrebbe i suoi consensi ridotti del 20%.
I sondaggi parlano chiaro: il popolo greco non è soddisfatto di Syriza e alle prossime, eventuali, elezioni il 33% sarebbe pronto a votare i conservatori di Nea Dimokratia, espressione di quella vecchia politica e di quei pacchetti di austerity con i quali i greci sognavano di aver rotto i ponti per sempre.
A Tsipras confermerebbe la sua fiducia appena il 15,5% degli elettori, contro il 35,46 del settembre 2015. Il leader della formazione di centro-destra Kyriakos Mitsotakis lo sa fin troppo bene e ovviamente sta utilizzando questo accordo con i creditori come un anticipo di campagna elettorale a costo zero e dove chi rischia di rimanerci sotto è solo Alexis Tsipras, che già per formare il governo escludendo i conservatori ha dovuto cedere all’alleanza con Anel, un partito fortemente di destra e anti europeo, ma che gli garantiva una seppur debole maggioranza in parlamento.
«Chi ha firmato questo accordo o è ignorante o è stupido», ha tuonato Mitsotakis: «Le misure potranno costare al popolo greco fino a 12,5 miliardi di euro, senza contare che hanno accettato condizioni gravi e non hanno nemmeno ottenuto l’assicurazione dell’alleggerimento del debito. A Bruxelles sanno che, finché Syriza sarà al governo, potranno imporre le condizioni che vogliono». Insomma, anche se l’esito dovrebbe apparire scontato, quella di settimana prossima in parlamento non sarà una discussione facile.
Senza speranza
Intanto, nel Paese, la situazione è drammatica ed è peggiorata progressivamente nei sette anni in cui la crisi ha divorato l’economia nazionale. Una situazione rispetto alla quale né il governo Tsipras né le misure di austerity sembrano avere sortito effetti.
Secondo i dati della ong diaNEOsis, su 11 milioni di greci, un milione e mezzo vive in condizioni di povertà estrema, che significa non avere i soldi né per il cibo né per i bisogni fondamentali come la salute, i vestiti o il telefono. A questi, secondo la Commissione europea, va aggiunto un altro 35,7% che è a serio rischio di povertà ed esclusione sociale.