Fonte: ISPI
Isolare per salvare. È quanto potrebbe fare un lockdown sartoriale su alcune fasce d’età più a rischio in caso di contagio da Covid. «Sarebbe sufficiente isolare gli ultra 80enni per dimezzare o quasi la mortalità diretta del virus. Se poi riuscissimo a isolare efficacemente gli ultra 60ennni, la mortalità scenderebbe allo 0,07%, circa 10 volte inferiore». Lo evidenzia una ricerca dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale, pubblicato online. e sottoriportato. Purtroppo si tende ad escludere a priori la possibilità di isolare gli anziani, come ha scritto un autorevole virologo, Fabrizio Pregliasco in un commento che abbiamo riportato in calce.
In Europa il contagio da nuovo coronavirus continua a correre, tanto che proprio ieri il Consiglio europeo è tornato a riunirsi in videoconferenza per “intensificare lo sforzo collettivo per combattere la pandemia”. Con la Francia che ritorna in lockdown proprio oggi, e la Germania che vara un lockdown parziale da lunedì, è evidente che molti grandi Paesi europei ritengano la situazione ormai fuori controllo, o a rischio di diventarlo a breve.
Come abbiamo raccontato spesso, a pandemia in corso non esiste un “ottimo”, ma solo un “meno peggio”. Siamo dunque tutti alla costante ricerca di un compromesso in cui si perda il minor numero di vite possibile, tenendo al contempo in considerazione la qualità e la speranza di vita di chi sopravvive. Tutte le misure messe in campo quotidianamente, dall’utilizzo delle mascherine al distanziamento sociale, dalla ricerca dei casi positivi tramite test antigenico al tracciamento dei loro contatti, sono costi (più o meno elevati) che sosteniamo di buon grado per cercare di raggiungere un “giusto” compromesso tra l’esigenza di salvare vite e quella di evitare il collasso economico (e, di qui, sociale) del luogo in cui viviamo.
Una constatazione che facciamo spesso in questi giorni, ma che ci ripetevamo sin da marzo, è che i Paesi europei, Italia inclusa, non si sarebbero potuti facilmente permettere un secondo lockdown. Non è esattamente così, ma poco ci manca: di certo il numero di giorni in cui possiamo permetterci di restare tutti a casa, bloccando le attività economiche non essenziali, è sempre più piccolo e ogni nuovo lockdown mette a rischio la stabilità finanziaria e, in poche parole, il futuro del nostro Paese.
Allo stesso modo, è risaputo che non si possa neppure fare affidamento sulla cosiddetta “strategia dell’immunità di gregge”, ovvero lasciare il virus libero di circolare fino al raggiungimento di quella quota di popolazione già contagiata e ormai immune che rallenterebbe la circolazione virale fino quasi a fermarla. Teoricamente, checché ne dicano modelli matematici che la situerebbero su valori ben più bassi, questa quota si aggira intorno al 70% della popolazione: nel caso italiano, ciò implicherebbe circa 42 milioni di contagiati e tra i 430.000 e i 700.000 decessi in più per il solo obiettivo di rallentare la circolazione virale. Un numero di decessi simile sarebbe equivalente ad attendersi tra il 65% e il 110% di decessi in più rispetto a un anno-tipo (nel 2019 i decessi in Italia sono stati 647.000, ovvero circa l’1,1% della popolazione). Decisamente troppi. Senza contare la pressione sul nostro sistema sanitario: è probabile che le persone che necessiterebbero di cure in terapia intensiva sarebbero circa 110.000. Infine, purtroppo, è probabile che neanche in quel caso il virus rallenterebbe a lungo: ricerche recenti hanno dimostrato che la presenza di anticorpi nelle persone esposte all’infezione decresce piuttosto rapidamente, in pochi mesi, e che purtroppo si riduce ancora più rapidamente nella popolazione anziana, che è anche quella più a rischio di esiti fatali nel caso contraesse l’infezione.
Per tutti questi motivi, la possibilità che intendiamo discutere oggi non è una panacea: si tratta solo di una strategia per ritardare il più possibile il momento in cui si dovesse rendere necessario un nuovo provvedimento restrittivo e tragico del calibro di un lockdown e, allo stesso tempo, si volesse contenere significativamente la pressione sul sistema sanitario rispetto a uno scenario di status quo. Stiamo parlando dell’isolamento selettivo delle fasce di popolazione più a rischio.
Come ritardare il lockdown? Isolamento degli anziani e mortalità
Innanzitutto, facciamo un passo indietro e riflettiamo su cosa sappiamo del virus. Primo, in Italia (ma pressappoco la stessa cosa avviene in tutto il mondo), l’82% dei deceduti per Covid aveva più di 70 anni e il 94% ne aveva più di 60 anni. È d’altronde naturale che sia così: è ormai noto che la letalità plausibile del virus cresce esponenzialmente con l’età, uccidendo meno di 5 persone su 10.000 nella fascia d’età 30-39 anni, ma oltre 7 persone ogni 100 tra gli ultra-ottantenni (vedi grafico qui sotto).
Se ipotizziamo, come abbiamo fatto sopra, che il 70% della popolazione italiana si contagi, la mortalità diretta causata dal virus sarebbe equivalente a poco meno dello 0,8% della popolazione (95% CI: 0,7% – 1,2%), facendo quasi raddoppiare il tasso di mortalità annuo che, come detto, nel 2019 è stato dell’1,1%. Aggiungendo il probabile sovraccarico delle terapie intensive, i decessi salirebbero intorno all’1% (95% CI: 0,8% – 1,4%) e l’età mediana delle persone decedute scenderebbe notevolmente.
Per evitare conseguenze tragiche di questo tipo, una volta che l’epidemia ha aggirato i controlli e sta risalendo la curva esponenziale, è praticamente inevitabile un lockdown che costringe a fermare la gran parte delle attività lavorative, infliggendo un pesante colpo economico al Paese. Anche se il rimbalzo successivo fosse rapido, non è affatto detto che si recupererebbe l’intero terreno perduto nel corso del lockdown; anzi, a oggi così non è stato e neppure le previsioni più rosee precedenti alla seconda ondata prevedevano una ripresa senza contraccolpi.
Ma cosa accadrebbe se, invece di decretare un lockdown nazionale, superato un certo livello di guardia decidessimo di isolare in maniera perfetta le persone più anziane? In altre parole, cosa accadrebbe se fosse decretato un lockdown solo per le fasce d’età più a rischio?
Il grafico qui sopra prova a rispondere proprio a questa domanda, calcolando il numero di morti dirette dovute al contagio da SARS-CoV-2 nel corso di un anno solare. Sulla sinistra compare lo scenario “non fare nulla” di cui abbiamo già parlato, con morti dirette causate dal virus equivalenti a circa lo 0,8% della popolazione che andrebbero a sommarsi all’1,1% della popolazione che ogni anno decede per altre cause (ricordando che no, a oggi non c’è nessuna prova che una parte significativa delle persone decedute con Covid-19 sarebbe deceduta comunque, e dunque non c’è effetto sostituzione tra l’una e l’altra cifra).
Procedendo verso destra si nota quale effetto avrebbe l’isolamento di ciascuna fetta di popolazione: sarebbe sufficiente isolare gli ultra-ottantenni per dimezzare o quasi la mortalità diretta del virus. Se poi riuscissimo a isolare efficacemente gli ultra-sessantenni, la mortalità scenderebbe allo 0,07%, circa dieci volte inferiore, equivalente a 43.000 persone. Di fatto, si tratterebbe di un numero di decessi annui inferiore all’eccesso di mortalità fatto registrare tra marzo e maggio in Italia nel corso della prima ondata (circa 49.000 persone), malgrado l’attesa infezione di 29 milioni di italiani (ovvero il 70% degli italiani nella fascia d’età 0-59 anni), che sarebbero circa il decuplo rispetto ai 2,5-3 milioni di infetti plausibili nel corso della prima ondata.
Ricapitolando, anche in uno scenario di diffusa circolazione virale nella popolazione più giovane, si scenderebbe da un eccesso di mortalità diretta per Covid-19 di 460.000 persone senza isolamento, a 120.000 (-74%) se si isolassero gli ultra-settantenni e a 43.000 (-91%) se si isolassero gli ultra-sessantenni. È come dire che la mortalità totale nel corso di un anno solare in Italia aumenterebbe del 71% senza isolamento, ma solo del 18% con isolamento degli over-70, e appena del 7% con isolamento degli over-60.
Dal punto di vista economico, un lockdown selettivo per fasce d’età permetterebbe di evitare i contraccolpi più severi. In Italia nel 2019 la forza lavoro era composta da 25,9 milioni di persone. Di queste, 2,3 milioni (il 9% della forza lavoro) erano ultra-sessantenni. Salendo di soli cinque anni, i lavoratori ultra-sessantacinquenni si riducono già a circa 600.000 persone (il 2,4% del totale), mentre se considerassimo solo gli ultra-settantenni ci fermeremmo a circa 130.000 (lo 0,5% del totale). Oltretutto, per una certa fetta di queste persone isolamento non deve necessariamente significare assenza di lavoro, perché rimarrebbe disponibile l’opzione del remote working (che sarebbe comunque cruciale estendere il più possibile all’intera forza lavoro).
Isolamento degli anziani e pressione sul SSN
L’isolamento delle persone anziane non risolve il problema del probabile sovraccarico delle strutture ospedaliere nel caso di alta circolazione virale nella popolazione. Tuttavia, è importante sapere che anche su questo versante un isolamento selettivo allevierebbe molto la pressione sul sistema sanitario nazionale.
Dai dati che provengono dalla Lombardia (disponibili qui) sappiamo che, tra chi a causa di Covid-19 necessita di essere ricoverato in terapia intensiva, una persona su due ha più di 63 anni. Tre persone su quattro hanno più di 56 anni. L’età mediana dei ricoverati in terapia intensiva è nettamente più bassa rispetto all’età mediana dei deceduti (63 vs 82 anni) perché, a parità di gravità dell’infezione, una persona molto anziana beneficia in misura minore di un supporto respiratorio rispetto a una persona meno anziana. L’isolamento selettivo sembrerebbe all’apparenza meno efficace, perché sarebbe necessario estenderlo a fasce di popolazione sempre più ampie. Invece anche in questo caso i numeri dimostrano che, isolando in maniera efficace gli ultra-sessantenni, si potrebbe ridurre di quasi i tre quarti la pressione sul Sistema sanitario.
Per fare un esempio, il picco di ricoverati in terapia intensiva in uno scenario simile a quello del marzo scorso sarebbe stato di 1.200 circa, anziché di 4.068. Tornando al nostro scenario di contagio diffuso, con 42 milioni di italiani contagiati, nel caso “status quo” sappiamo che lo 0,25% circa della popolazione avrà bisogno di ricovero in terapia intensiva, mentre il 5% necessiterebbe di un ricovero. Senza isolamento selettivo significherebbe 2,1 milioni di italiani ricoverati, di cui 106.000 in terapia intensiva: uno scenario da incubo. Ma nel caso di isolamento selettivo degli ultra-sessantenni ci attenderemmo circa 550.000 ricoverati e 26.000 persone in terapia intensiva. Quanto cambia la situazione?
Ancora una volta utilizzando i dati di Regione Lombardia, sappiamo che, a fronte di un picco di ricoverati in terapia intensiva di 1.381 persone (l’unico dato ufficialmente disponibile), il numero effettivo di ricoverati nel periodo è stato di circa 4.200. Supponendo che i dati lombardi siano rappresentativi dell’andamento italiano, è possibile stimare che tra marzo e maggio scorsi le persone ricoverate in terapia intensiva siano state tra le 12.000 e le 13.000 (circa il triplo del picco dei ricoverati in terapia intensiva a livello nazionale, 4.068).
Dunque, uno scenario con 26.000 persone ricoverate in terapia intensiva sarebbe un numero “solo” doppio rispetto a quello fatto registrare nel corso della prima ondata, e non lontano dall’essere sostenibile con i soli posti a disposizione attualmente in Italia nel caso altre misure di contenimento riuscissero a spalmare il contagio lungo buona parte dell’anno solare. Se consideriamo un tempo mediano di degenza in terapia intensiva di 12 giorni, sarebbe “sufficiente” (e necessario) appiattire e spalmare la curva di diffusione del contagio lungo un arco di due-tre mesi.
Tuttavia, com’è ovvio, un Sistema sanitario costretto a dedicare tutti o quasi i posti in terapia intensiva ai malati Covid-19 per una parte importante dell’anno sarebbe comunque un Sistema sanitario allo stremo, che dovrebbe per esempio accettare la sospensione delle operazioni chirurgiche che prevedano un periodo di recupero in terapia intensiva. E, in caso di rischio di reinfezione nel momento in cui gli anticorpi delle persone immuni cominciassero a scemare, il ciclo di ricoveri e la nuova pressione sul sistema sanitario tornerebbe a riproporsi.
In conclusione, di certo l’isolamento selettivo non sarebbe, da solo, una soluzione al problema della saturazione degli ospedali. Ma renderebbe ogni livello di contagio notevolmente più sostenibile, perché sia il numero massimo delle persone che necessiterebbero di terapia intensiva, sia la velocità di riempimento dei posti a disposizione sarebbero nettamente inferiori.
L’isolamento selettivo può essere efficace?
Se l’isolamento selettivo potrebbe aiutare a contenere gli effetti più gravi della pandemia, rimane un (cruciale) quesito da porsi: davvero un lockdown limitato alle fasce più anziane ne eviterebbe l’infezione? Ci sono molti dubbi al riguardo.
Innanzitutto, all’aumentare della circolazione virale nella popolazione generale diventa sempre più difficile isolare le fasce d’età a rischio, perché il “contatto zero” non esiste e aumenta la probabilità che i seppur scarsissimi contatti tra la popolazione isolata e quella che può liberamente circolare provochino infezioni all’interno della popolazione isolata.
In secondo luogo, si pone un problema logistico: come isolare? Molte persone anziane vivono assieme a persone più giovani, e più della metà di loro vive entro un chilometro di distanza dai propri figli. Possiamo essere sicuri che queste persone accetterebbero di buon grado di auto-isolarsi, non vedendo neppure i propri figli, se non per piccoli periodi di tempo? Solo in questo modo, infatti, sarebbe possibile ridurre drasticamente il rischio di infezione. Al contempo è impensabile trovare soluzioni abitative diverse per gli italiani ultra-sessantenni: da un lato perché il loro numero rispetto alla popolazione è enorme (si tratta di quasi un terzo degli abitanti d’Italia) e porterebbe a costi proibitivi; dall’altro perché ipotetici luoghi abitativi di raccolta come i Covid-hotel rischierebbero di agire come nuovi luoghi in cui l’infezione possa provocare contagi di massa, come è avvenuto in molte residenze sanitarie assistenziali nel corso della prima ondata. Di fronte a queste considerazioni risulta decisamente preferibile un isolamento “diffuso” sul territorio (ciascuno nella propria abitazione) rispetto a uno concentrato.
Resterebbe infine da capire se gli anziani stessi accetterebbero di restare in isolamento in attesa di un vaccino efficace, mentre il resto della popolazione continua a muoversi, a lavorare e, in definitiva, a vivere. Ma il ragionamento da fare in questo caso dovrebbe essere ribaltato: chi, anziano, decidesse di trasgredire norme e raccomandazioni e di esporsi al rischio di contagio farebbe in quel caso un danno a se stesso frutto di un calcolo personale ma probabilmente non metterebbe a rischio l’intera comunità. In una situazione di isolamento selettivo e diffuso, infatti, è probabile che un anziano trasgressore metta a rischio soprattutto se stesso e non le altre persone anziane che non vivano con lui e che, invece, rimarrebbero il più possibile isolate.
In conclusione, malgrado tutti i caveat discussi sopra, è a nostro parere sbagliato ritenere che quella dell’isolamento selettivo sia un’opzione da scartare o da non considerare a priori. La consapevolezza che l’isolamento selettivo non possa essere “la” soluzione, ma soltanto una tra le diverse possibilità da valutare, non dovrebbe impedirne una serena (ma urgente) discussione.
Tornando alle nostre considerazioni iniziali, in una pandemia non ci sono “pasti gratis”, e tutte le azioni che decidiamo di compiere sono il frutto di un compromesso che soppesa rischi e benefici. Il panorama resta di forte incertezza, ma oggi conosciamo molte più cose di come si muova il virus e di quanto possa essere letale a seconda delle classi d’età che colpisce. Se si vuole evitare un nuovo lockdown nazionale oggi, ma soprattutto ulteriori e futuri lockdown in funzione dell’andamento epidemico, è imperativo studiare modalità di “chiusura” differenziate che contemperino la necessità di minimizzare il rischio di morte (e la pressione sul sistema ospedaliero nazionale) e quella di minimizzare l’impatto sull’economia.
Pregliasco: “Lockdown solo per gli over-65? Ipotesi non praticabile”
Mettere gli anziani in quarantena per poter dare agli altri il ‘libera tutti?’
Limitare il lockdown agli anziani per tutelarli e ridurre i decessi da Covid? Certo sono i soggetti più a rischio, ma creare delle bolle è poco realizzabile. Insomma, si tratta di una strategia poco praticabile. Piuttosto l’invito agli ‘over 65’ è quello di moltiplicare cautela e attenzione, adottando una sorta di auto-lockdown”.
Lo ha detto il virologo dell’Università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco, commentando lo studio dell’Ispi, secondo il quale “sarebbe sufficiente isolare gli ultra 80enni per dimezzare o quasi la mortalità diretta del virus. Se poi riuscissimo a isolare efficacemente gli ultra 60ennni, la mortalità scenderebbe allo 0,07%, circa 10 volte inferiore”.
“Ora conosciamo bene i soggetti più a rischio in caso di Covid-19 – aggiunge l’esperto – ma da un punto di vista pratico questo approccio è difficile da realizzare”, conclude l’esperto rinnovando l’invito “a tutti a evitare assembramenti, indossare la mascherina e curare l’igiene delle mani con attenzione”.