Con la pandemia da Coronavirus, il Servizio Sanitario Nazionale pubblico che negli ultimi anni era da molti poco considerato, è apparso un ombrello di protezione a cui nessuno ormai pensa più di poter rinunciare.
L’ondata devastante dell’infezione si è manifestata con i suoi aspetti più severi innanzitutto attraverso l’accesso ai Pronto Soccorsi. Poi da subito la struttura e l’organizzazione degli ospedali si sono modificate per poter accogliere le sindromi respiratorie gravi, sempre più numerose, che impegnavano i suoi spazi. Le architetture interne in termini di muri e di ruoli si sono disintegrate. Praticamente tutti i profili professionali sono stati catapultati a svolgere funzioni mai fatte. Tutto l’ordinario ha ceduto il posto allo straordinario.
La medicina territoriale in questo dramma avrebbe dovuto cercare di supportare il sistema ospedaliero per non permettergli di collassare ed i Distretti avrebbero dovuto diventare un cuore pulsante dell’assistenza. E nelle zone dove il territorio il territorio ha intercettato più precocemente l’infezione al domicilio il diffondersi della pandemia e delle sue complicanze più letali non ha avuto vita facile.
Se è vero che la pandemia ha dimostrato che non si può rinunciare ad una sanità pubblica, ha però anche amplificato tragicamente le contraddizioni del SSN, al punto che oggi tutti le possono vedere e capire.
Per esempio l’assenza di un Piano Nazionale per la pandemia (per anni non aggiornato), il generale disimpegno culturale e operativo sulla prevenzione collettiva (i Dipartimenti di Prevenzione delle Asl sono stati ridimensionati per anni; il Centro nazionale di Epidemiologia dell’ISS è stato chiuso nel 2016), la ridotta dotazione di posti letto ospedalieri (in Italia abbiamo circa il 60% in meno di posti letto totali della Germania; e per la terapia intensiva abbiamo meno della metà dei posti letto della Germania), l’inadeguatezza dell’assistenza territoriale, che deve intervenire prima che sia necessario il ricovero in ospedale, la carenza di personale (dal 2009 la sanità pubblica ha perso oltre 40 mila unità di personale), l’inadeguatezza delle RSA e delle case di riposo di fronte al coronavirus,
Per anni abbiamo creduto (sbagliando) che l’eccellenza in sanità coincidesse con l’alta tecnologia, le specializzazioni, l’assistenza ospedaliera per le acuzie. E abbiamo dimenticato il territorio. Mentre ora ci accorgiamo che per essere eccellente una sanità deve eccellere in tutti gli ambiti dell’assistenza, compresa la prevenzione e il territorio; altrimenti si tratta al massimo di una eccellenza parziale, monca, che può mettere a rischio la salute delle persone.
È il delirio delle organizzazioni malate, che confondono la parte con il tutto, la funzione temporanea con le risposte clinicamente strutturate. Un «pronto intervento» non può diventare un «pronto per tutto». È il peggiore segnale di una malattia che cova da tempo, non solo in sanità ma in tutte le articolazioni del nostro welfare, nei suoi sistemi regionali, nel cronico squilibrio tra risposte centralizzate e risposte mal distribuite nei territori.
L’eccellenza non va confusa con la complessità: eccellenza vuol dire rispondere nel modo migliore ai bisogni di salute di una persona, alla quale deve essere garantita la migliore condizione di benessere fisico, psichico, sociale, e non solo la cura della malattia. Ci sono patologie che non richiedono alta complessità e tecnologie all’avanguardia, per le quali il ricorso a trattamenti complessi potrebbe essere non soltanto inutile e costoso, ma persino dannoso. Eppure, anche per tali patologie è possibile e doverosa un’assistenza di eccellenza.
L’assistenza socio sanitaria territoriale è stata, anzi si è confermata (pur con forti diversità fra regioni) un punto debole del SSN o sottoutilizzato nell’emergenza (vedi anche Corte dei Conti 2020), così si sono trascurate le altre malattie (es. cardiopatie) e le persone fragili e si sono sovraccaricati gli ospedali, esponendo a maggiori rischi i lavoratori (dai medici di medicina generale agli operatori dell’assistenza domiciliare) e i cittadini da assistere.
Non è più rinviabile un piano strutturale per il potenziamento delle reti di assistenza socio-sanitaria territoriale, con requisiti e standard vincolanti come quelli per gli ospedali, investimenti e assunzioni di personale, e con medici di medicina generale più inseriti nel SSN.
MINO DENTIZZI