di Emanuele Cherchi 23 giugno 2015
Si dice che prima di morire suicida il cesaricida Marco Giunio Bruto affermasse: “O misera virtù, altro non sei che un nome”. Come ha insegnato Machiavelli, il sovrano deve essere virtuoso in apparenza ma disposto a tutto quando si tratta di conservare o aumentare il proprio regno.
Ma si può essere virtuosi e allo stesso modo fare carriera politica?
La politica costa e se alcuni utilizzando i partiti riescono a emergere con poca spesa, a volte persone meritevoli non arrivano da nessuna parte per mancanza di mezzi.
Infatti, per fare carriera bisogna farsi conoscere sia dai comuni cittadini sia da coloro che decidono dentro i partiti di aiutare i giovani o le persone meritevoli. Il problema è che molte volte bisogna fare le marchette: dare sempre ragione al proprio protettore, citarlo sovente come forma di omaggio e simili.
Le spese per far politica sono molte: dall’auto per essere presenti sul territorio (nelle grandi città c’è la metropolitana ma nelle provincie minori senza auto non vai da nessuna parte), ai manifesti elettorali, ai santini ecc… Diciamo la verità, se non avesse trovato dei finanziatori il bullo fiorentino, Matteo Renzi, non sarebbe andato mai così lontano e se non avesse avuto, all’inizio, l’appoggio di Francesco Rutelli (leader della Margherita) non avrebbe potuto rottamare nessuno.
Potrei fare degli esempi dei tempi nostri, ma ho deciso di citare un caso della storia di Roma antica: il caso di uno dei miei personaggi preferiti, Lucio Sergio Catilina.
Costui era partito in politica con gli aristocratici, era uno degli assassini al servizio di Silla. In seguito diventa populares e riprende il programma dei Gracchi. Avendo percorso tutto il corsus honorem negli anni stabiliti, si candida a console ma viene bloccato da un processo per cattiva amministrazione (tipo il processo a Gaio Licinio Verre) per la gestione della provincia d’Africa in cui era stato propretore. Perse due anni per il processo in cui, pensando di potersi candidare, spese gran parte del suo patrimonio. Ma, essendo influente, riuscì a fa eleggere due suoi amici consoli (Silla, nipote del dittatore, e Peto) ma questi due non entrarono mai in carica perché il Senato li accusò di brogli. Quando potè finalmente candidarsi fu sconfitto da Cicerone, un self made man protetto dai Cornelii. L’anno dopo Catilina si prepara meglio, pur essendo ricco non naviga nell’oro, e fa una campagna particolarmente costosa… ma Cicerone ritarda i comizi leggendo i segni avversi. Alla fine i sostenitori di Catilina si stancano di aspettare, molti vengono fuori da Roma e stare in città significa spendere soldi che non tutti hanno. Quando finalmente si tengono i comizi Catilina è sconfitto: si decide allora di congiurare contro i consoli e contro il Senato e i loro brogli, ma la congiura sarà scoperta e lui morirà combattendo con valore.
Riporto la sua lettera a un amico in cui spiega le ragioni per cui ha deciso di tentare il tutto per tutto:
“Ho sperimentato per prova la tua lealtà: m’è stata di conforto nella ore difficili e mi incoraggia a scriverti questa raccomandazione. Non ho preparato nessuna difesa per l’azione da me intrapresa: voglio inviarti una spiegazione, ma non ho il minimo senso di colpa. In nome di Dio, costaterai un giorno che quanto scrivo è verità. Esasperato dalle ingiustizie e dagli affronti, defraudato dal frutto delle mie fatiche e dai miei sforzi, non essendo in grado di mantenere la dignità del mio rango, come ho fatta apertamente mia la causa dei poveri e non perché con la vendita dei miei beni non sarei stato in grado di pagare i miei debiti (…), ma perché vedevo insigniti di onori uomini che non erano degni e sentivo di essere tenuto in disparte per sospetti infondati. Per questo motivo, la situazione in cui mi trovo, il mio decoro e la speranza di salvare quel poco di dignità che mi resta m’hanno indotto a seguire questa via. Vorrei scriverti di più, ma mi dicono che si sta preparando qualche atto di violenza contro di me. (…) Addio.” (tratto da “La congiura di Catilina” di Gaio Sallustio Crispo)