di Fausto Anderlini – 27 maggio 2018
La democrazia italiana è proceduta, sin dalla nascita, in condizioni di sovranità limitata. Su due aspetti dirimenti: la fedeltà al sistema (nella forma la democrazia occidentale, nella sostanza il rapporto capitalistico di produzione), e la collocazione internazionale. Di qui la ‘conventio ad escludendum’ verso il Pci, inabilitato a governare pur’anche avendo collaborato sostanziosamente al varo della Costituzione. Di qui la distinzione fra Costituzione formale (quella scritta nella carta) e Costituzione materiale (quella basata sui vincoli ostativi). Le istituzioni di garanzia, come la Presidenza della Repubblica, hanno sempre lavorato nella mediazione dei due aspetti. Talvolta debordando vistosamente verso l’aspetto ‘sostanziale’. Larga parte della Presidenza Napolitano per esempio ha risposto a un preciso disegno politico, di fatto limitando la sovranità del parlamento e facendo valere come imprescindibile il vincolo europeo nella sua attuale configurazione (liberismo, austerità, fiscal compact). Ora il conflitto fra le due costituzioni si ripresenta e il caso Savona è emblematico. Dove Mattarella si presenta non come ‘garante’ della Costituzione ma come garante del vincolo europeo e dell’indirizzo in esso dominante. Conflitto pericoloso perchè se si dovesse tornare alle urne la posta sarebbe sulla legittimazione politica come tale. Una situazione rivoluzionaria. Sino ad oggi la costituzione materiale è prevalsa su quella formale tramite una sorta di mitridizzazione della carta del ’48. Ma la realtà è che il ‘vincolo’ esterno è diventato insostenibile se non distruggendo del tutto il principio di autodeterminazione politica. Ora Leu deve giustamente opporsi al governo che si profila per alcuni indirizzi politici (come la flat tax e altro), ma non può essere ambigua su questo punto dirimente. Quel vincolo va allentato, se non rimosso, Altrimenti è inutile professarsi a sostegno dei diritti del lavoro e dei principi di autodeterminazione democratica che strutturano la Costituzione per come abbiamo inteso salvaguardarla con il referendum del 2016. E tanto varrebbe confidare, come Renzi e altri, nel ‘generale spred’, per la qual cosa non è neanche necessario affaticarsi a fare un partito.