Fonte: Minima cardiniana
Non sono confortanti, le notizie che arrivano dalla Turchia. L’articolo uscito al riguardo su “Il Manifesto” a firma di Roberto Persia sembra documentato e attendibile. Non va d’altronde dimenticato che a tutt’oggi Erdogan è, piaccia o no, uno dei pochi politici che nell’orizzonte mondiale sembri avere una qualche proporzione di statista e che la sua politica estera, per ambigua che sia, è nondimeno interessante.
di Roberto Persia
Il rapporto di Amnesty: I licenziati post-Golpe privati anche dei ricorsi
La Commissione d’inchiesta nominata da Erdogan ha riammesso al lavoro solo 2.300 dei 130mila lavoratori del settore pubblico cacciati. E con mansioni peggiori di prima
(“Il Manifesto”, 26.10.2018)
L’ondata di ricorsi che investe la Turchia trova un muro di fronte: 125mila dipendenti pubblici, licenziati dopo il tentato golpe del 15 luglio 2016 per presunti legami con associazioni terroristiche, sono oggi giudicati da una commissione nominata da Erdogan e i suoi ministri. Il report di Amnesty International, Purga senza ritorno? Nessun rimedio per i lavoratori licenziati nel settore pubblico in Turchia, che esce oggi, ne denuncia la situazione: solo l’1,7% sono stati riammessi al lavoro.
A seguito del tentato colpo di Stato, i licenziati nel settore pubblico sono stati quasi 130mila lavoratori, cacciati in modo arbitrario sulla base di decreti. Da allora la Commissione di inchiesta sullo stato d’emergenza istituita dal governo di Ankara ha raccolto più di 125mila ricorsi. Cinque dei sette membri della commissione sono nominati dal presidente Erdogan, dal ministro della Giustizia e da quello degli Interni; gli altri due dal Consiglio dei giudici e dai pubblici ministeri. In carica per due anni, i membri possono essere rimossi con una semplice «indagine amministrativa» sulla base di sospetta «appartenenza, affiliazione, fedeltà, connessione o collegamenti» a gruppi vietati.
Dei 125mila ricorsi, la Commissione ne ha valutati 36mila e solo 2.300 sono stati i lavoratori reintegrati. Per i restanti 31.700 le attività innocue e all’epoca del tutto lecite sono state usate dalla Commissione per giustificare retroattivamente i licenziamenti e i divieti permanenti di trovare nuovi impieghi nel settore pubblico o addirittura di esercitare la medesima professione. Azioni come depositare soldi in una certa banca, appartenere a un determinato sindacato o scaricare una specifica applicazione per lo smartphone sono state considerate prove di «legami» con gruppi «terroristici» messi al bando, senza ulteriore prova di tali «legami» o di altri comportamenti criminali.
I gruppi a cui Ankara fa riferimento sono il Pkk e il movimento Hizmet dell’imam Gülen, considerato l’ideatore del golpe. Due realtà distanti per ideologia politica e pratiche, ma che nella campagna epurativa sono finiti nello stesso calderone insieme ai tanti (lavoratori, attivisti, giornalisti) accusati di far parte di entrambi.
Secondo le ordinarie procedure di ricorso amministrativo in Turchia, se si presenta un ricorso a un organo amministrativo e non si riceve una risposta entro 60 giorni, il ricorso è considerato respinto. Questo rifiuto concede immediatamente al ricorrente il diritto di appellarsi ai tribunali amministrativi, innescando un procedimento legale che può arrivare fino alla Corte costituzionale.
Tuttavia la Commissione d’inchiesta è stata esentata dal termine di 60 giorni: si rischia di attendere fino a 21 mesi. «Mi sento come se fossi stato messo in quarantena negli ultimi due anni. Nessuno vuole darti un lavoro», ha dichiarato un ex ingegnere agrario del ministero dell’alimentazione, dell’agricoltura e dell’allevamento a Amnesty.
I lavoratori del settore pubblico abbastanza fortunati da essere reintegrati sono spesso assegnati a mansioni peggiori di quelle che avevano prima: «Il nostro diritto a portare avanti in tribunale la richiesta di risarcimento è stato smantellato. Nel periodo in cui non lavoravo sono andato incontro a grandi difficoltà. Mia moglie è ancora in terapia a causa del trauma psicologico che ha sofferto», ha raccontato ad Ai un funzionario pubblico reintegrato nel suo posto di lavoro.
Il più delle volte il rifiuto delle domande di appello non è accompagnato da ragioni: i legami diretti tra le presunte responsabilità e l’effettiva colpevolezza restano non provati. Inoltre la sezione di valutazione delle decisioni, in cui la Commissione descrive in che modo le prove presentate hanno portato a una conclusione particolare, contiene blocchi di testo praticamente identici per tutti i casi, senza un’analisi delle singole circostanze.
Quella turca è una situazione da seguire con molta severità. Peccato che altre questioni vicinorientali passino, invece, quasi inosservate da noi. Ad esempio, l’alleanza politica e militare tra Egitto e Arabia Saudita, ben decise a quel che sembra a eliminare la resistenza sciita in Yemen. Lo Yemen settentrionale è ormai ridotto allo stremo: eppure nessuno se ne occupa. Cercheremo di farlo noi.