Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Conte, un uomo solo (non al comando)
Per Draghi è l’uomo che ha fatto cadere il governo per puro interesse personale. Per Letta è semplicemente un traditore. Per Renzi e Calenda un incapace da combattere senza mezze misure. Per Di Maio, un filoputiniano. Per Grillo un generale che dovrebbe vincere la guerra senza uno stato maggiore attorno, decimato dal teorema del terzo mandato. Per la sinistra, uno che prima era un partner strategico e poi, sotto gli effluvi dell’agenda Draghi, uno che ha sbagliato tutto, e che vale meno di un Letta qualsiasi e di un PD infarcito di renziani confessi. I sondaggi danno il suo partito al 10% circa. Saranno pure sondaggi, ma sono comunque una cifra considerevole, se confrontata agli schizzi di Calenda, Renzi e compagnia cantante, che millantano percentuali inesistenti, utopiche, spettrali – e c’è anche chi ci crede. Tant’è che, nei collegi uninominali, vedremo delle belle accozzaglie.
Ma chi è Conte davvero? Un avvocato che dopo aver sfidato Salvini sul tema della immigrazione, si è lanciato nell’avventura del governo giallorosso mentre il leader della destra beveva cocktail nella calca del Papeete. Che ha affrontato la sfida inedita della pandemia, e lo ha fatto con coraggio da vendere, mentre gli altri gli si celavano dietro, preparando da cospiratori l’immancabile imboscata. Che ha vinto la battaglia dei fondi europei, portando a casa i bigliettoni attorno ai quali, successivamente, è scattato il golpe bianco di inizio 2021. Che ha costruito attorno a sé la fiducia degli italiani nel momento peggiore di tutti, quelli in cui, di solito, nascono fratture, incomprensioni, tumulti. Che ha sempre rivolto lo sguardo verso la base della società, mentre quasi tutta la restante classe politica si mostrava ancella di Lor Signori.
Quest’uomo è inviso alla classe dirigente, ai centristi che vedono in lui un concorrente politico, ai giornaloni di proprietà degli editori impuri, alle lobby e ai potentati che sbavano dinanzi al PNRR. Non è un capopopolo, non è un tribuno, non è un uomo col DNA di sinistra o che provenga dal popolo. Ma ha il profilo del democratico attento ai bisogni sociali, capace di prestare ascolto al disagio, di promuovere e difendere misure come il reddito di cittadinanza: un dito nell’occhio di lor signori e dei loro servi ben remunerati. Può darsi che non passi per lui la strategia che ridarà in futuro dignità alla sinistra, dopo anni e anni di strani contorsionismi. Può darsi che si tratti dell’ennesimo parvenu. Ma quando in tanti, in troppi, ti indicano come perfido e incapace traditore, beh, allora scatta il dubbio, il dubbio che si tratti invece di una brava persona da cui ripartire per tentare un rinnovamento vero, altro che le strane moine di questi giorni bugiardissimi, dove si usa la parola “traditore” come se piovesse e dove piovono palesi menzogne dì per dì.
Concludo. Io adesso ho un solo rimpianto, ma grande. Quello di non aver visto all’opera il tandem Bersani-Conte. Secondo me un’accoppiata formidabile, che sarebbe stata capace di lasciare il segno nel processo di rinnovamento politico della sinistra e della democrazia italiana. Due grandi persone, che avranno fatto anche i loro errori (chi non ne ha fatti), ma che avrebbero senz’altro messo in movimento donne e uomini, cuori e coscienze, idee e sentimenti, in un contesto politico che oggi appare avaro di prospettive, e che spinge più che altro al disimpegno (astensionismo).
Con questo grande rimpianto, affrontiamo questa tornata elettorale sempre più scettici verso quello che si muove a sinistra e sempre più disincantati sul suo futuro. La società è in frantumi, eppure la classe politica, nella sua quasi totale interezza, vive così separata e distante dal disagio sociale, che appare sempre più ritorta su se stessa e sui salotti e le poltrone che contano ancora. Miopia? Macché, vera e propria insipienza, purtroppo. A Conte il compito di praticare una possibile via d’uscita da questo marasma: uomo sempre più solo, che rischia di suo, a cui chiediamo di cancellare paradossalmente l’utopia dell’uomo solo al comando, ridando senso a parole come ascolto, cura, partecipazione, solidarietà: parole politiche per eccellenza.