Fonte: La Stampa
Lo ripete tre volte nel giro di un minuto. «Non scherziamo col fuoco». Giuseppe Conte pensa a Putin, alla minaccia atomica, e risponde alle domande di questa intervista a La Stampa col muscolo del cuore che sembra congelato. Rattrappito. La linea va e viene, mentre l’auto che lo porta in giro per gli ultimi comizi in Campania a quattro giorni dal voto passa sotto le gallerie di un’Italia in cui comunicare sembra impossibile. Lui e il Pd. Lui e Calenda. Renzi e Meloni che fanno la guerra ai poveri. Lui e Draghi. Lui e Salvini. La democrazia a rischio. Quando l’auto si ferma si sente in sottofondo un brusio sempre più forte. Una signora grida: «Giuseppe fatti baciare». Dopo quaranta minuti di telefonata lui dice: «Scusi, ora ho bisogno di stare con loro». I sondaggi non li può citare. Ma quella folla adorante davanti a lui sembra avere la forza di un’onda.
Presidente Conte, Putin ha annunciato la mobilitazione militare parziale. L’operazione speciale è diventata una guerra.
«Temevo l’escalation militare. È quello che sta avvenendo».
Crede che Mosca userà l’atomica?
«Sono molto preoccupato, perché nella strategia che stiamo mettendo in atto non sembra esserci una via d’uscita».
Esiste una via d’uscita?
«Esiste. E la indichiamo da mesi. Un negoziato di pace che impedisca al conflitto di raggiungere proporzioni più vaste e fuori controllo. Non possiamo ignorare il fatto che la Russia è una superpotenza con un arsenale militare di armi non convenzionali».
Molti osservatori internazionali ritengono che quello di Putin sia il bluff di un autocrate con le spalle al muro. Il cancelliere Scholz parla di «un uomo disperato».
«Mi pare che in questo momento nessuno possa permettersi di scommettere sulle intenzioni di Putin. Per altro le reazioni di un autocrate con le spalle al muro possono essere molto pericolose. La posta in gioco è troppo alta. Ripeto, servono sforzi diplomatici che devono vedere l’Italia protagonista all’interno dell’alleanza atlantica. Lo dico con sincera preoccupazione: nessuno scherzi col fuoco».
Il Cremlino richiamerà al fronte 300mila riservisti, segno che sul campo le cose non vanno bene. Intanto i giovani scappano in massa da Mosca e da San Pietroburgo.
«Io non voglio illudermi. È rischioso immaginare che il regime di Putin stia vacillando e che lo si possa abbattere militarmente. Dobbiamo cercare una vittoria politica che tuteli i diritti degli ucraini garantendo una pace solida e duratura».
Riprovo: come?
«Un negoziato di pace richiede sforzi diplomatici intensi e grande determinazione. Conviene anche a Putin. È su questo che dobbiamo puntare».
Al momento Putin è sordo anche agli inviti sempre più pressanti del presidente cinese Xi Jinping.
«I canali per costruire la pace si trovano sempre. Il problema è che questa prospettiva sembra incomprensibilmente rimossa e di certo anche all’interno dell’unione europea non mi pare ci sia reale convinzione che questa sia la direzione giusta».
Draghi le sembra poco convinto?
«Ho visto un governo premuroso nell’accodarsi a una strategia decisa a Washington quando invece sarebbe stato più utile contribuire a indirizzare la strategia euro-atlantica verso una soluzione negoziale».
Se fosse stato lei il presidente del Consiglio avrebbe detto no alle sanzioni e all’invio delle armi?
«Ho sempre risposto che avrei detto sì alle sanzioni e che certamente gli ucraini non potevano difendersi a mani nude. Ma che superata la fase iniziale occorreva perseguire una strategia che ci portasse fuori da una guerra a oltranza».
L’alleanza con gli Stati Uniti sta diventando un problema?
«L’alleanza euroatlantica non è certamente un problema e tanto meno è in discussione. Ma abbiamo il diritto di discutere sul ruolo che vogliono e possono recitare lealmente l’Europa e l’Italia».
Europa e Stati Uniti hanno interessi diversi?
«Che gli interessi strategici non siano sovrapponibili è di conclamata evidenza. Ma lavorare insieme è necessario, senza dimenticare che questa guerra è nel cuore dell’Europa e sta provocando una spirale recessiva pagata pesantemente dai nostri concittadini».
La crisi Usa-Taiwan è preoccupante quanto quella tra Russia e Ucraina?
«È un ulteriore focolaio di tensione. Se non lo affrontiamo con sagacia e prudenza può sfociare in una nuova crisi pericolosa».
Il Movimento non ha mai nascosto le proprie simpatie verso Pechino. Firmò lei gli accordi sulla Via della seta.
«Come presidente del Consiglio l’unica simpatia che ho avuto è stata quella nei confronti della nostra bilancia commerciale. Altri Paesi europei fanno con la Cina più affari di noi. Colmare il gap mi sembrava giusto e necessario. Faccio sommessamente notare che abbiamo siglato quell’accordo dopo altri tredici Paesi europei e per la prima volta abbiamo fatto firmare ai cinesi clausole in linea con i valori occidentali che per loro erano inizialmente irricevibili».
Lo rifirmerebbe?
«Lo rifirmerei.
Avvocato del Popolo. Le piace ancora il soprannome?
«Mi piace.
Una formula salviniana.
«Falso. Una formula coniata da me con un intento preciso: rivendicare l’obiettivo di battere i privilegi dei soliti noti. Di stare vicino ai più deboli. Di dare voce a chi non viene ascoltato, a chi rimane invisibile. Alla parola popolo viene ingiustamente e spocchiosamente attribuito un significato spregiativo».
Il Giuseppi di Trump l’ha segnata?
«Per nulla. Era solo un attestato di stima».
Ricambiata?
«I pilastri politici cui facciamo riferimento io e l’ex presidente Trump sono molto diversi. A cominciare dalla politica estera. Lui ha una visione bilaterale. Io sono un convinto sostenitore dell’approccio multilateralista».
Rimpiange il governo fatto assieme a Salvini?
«No, ma le faccio notare che durante quel governo abbiamo comunque raggiunto buona parte degli obiettivi del programma presentato in campagna elettorale. Abbiamo imposto alla Lega il reddito di cittadinanza, il decreto dignità contro il precariato e la legge contro la corruzione, tanto per citare le prime tre cose che mi vengono in mente».
A proposito di popolo. Lei ormai ha tolto la pochette e si è messo la maglietta. È l’unico leader a concedersi fisicamente alla folla. Una scelta quasi berlusconiana.
«Una scelta contiana. Per me il confronto con le persone è normale. Piuttosto mi meraviglio che Meloni e Renzi invochino presidi militari per muoversi sul territorio».
Renzi sostiene che è colpa sua se deve girare con la scorta.
«Stravolge e distorce le cose come sempre. Temo che Renzi susciti antipatia nella gente indipendentemente da me».
Il Movimento è il partito dell’assistenzialismo?
«Assolutamente no. Anche se gli avversari provano a schiacciarci su questo cliché. Siamo una forza politica che persegue un’idea di sviluppo del paese e al contempo crede in un sistema di protezione sociale. Quella stessa protezione che decenni di politica che ci hanno preceduto non sono stati in grado di garantire».
La sua popolarità è clamorosamente in crescita. Siete fortissimi al Sud e deboli al Nord. Vi interessa più chi è senza lavoro di chi lo dà o lo crea?
«Sostenerlo è assurdo. Abbiamo risollevato il tessuto produttivo nazionale con il superbonus che ha rilanciato il settore delle costruzioni, introdotto la garanzia di Stato per dare liquidità alle imprese, creato il pacchetto per la transizione e l’innovazione 4.0 e, se ci daranno la possibilità, saremo la forza politica che farà lo Statuto per le imprese cancellando l’Irap e semplificando radicalmente il rapporto tra aziende e pubblica amministrazione. Grazie alle nostre misure il pil è cresciuto del 6,6%».
Un merito che si attribuisce anche Draghi.
«Anche un neo-studente di economia sa che la legge di bilancio ha effetto sull’anno successivo. Quella che ci ha fatto fare il salto è firmata da me».
Cito Giorgia Meloni: sogno un Paese in cui rialzino la testa coloro che hanno dovuto tenerla piegata per tanti anni per paura di essere cacciati.
«Se si riferisce ai neofascisti sarebbe meglio che continuassero a tenerla abbassata».
A quattro giorni dal voto non le sembra surreale la mancanza di un accordo tra voi e il Pd?
«La mancanza di questo accordo è frutto della pertinace determinazione del Pd di emarginarci per prenderci voti».
Lei accusa Letta, Letta accusa lei. Intanto la destra mette le mani su Palazzo Chigi.
«Letta mi accusa di non avere sottoscritto un’agenda Draghi che non esiste e di non seguire un metodo Draghi che in effetti non seguo».
Perché?
«Perché si tratta solo di decisionismo autoreferenziale. In una democrazia parlamentare è irricevibile».
Passando da Draghi a Meloni l’Italia ci guadagna o ci rimette?
«Io aspetterei il 25 settembre prima di incoronare Meloni, ma una cosa mi sembra chiara già ora: sul reddito di cittadinanza Renzi e Meloni fanno la guerra ai poveri».
Prende più voti il Movimento o il Pd?
«Anche questo lo vedremo al momento dello spoglio. Ma votando noi gli elettori sanno che saremo fedeli al programma».
Nicola Fratoianni dice che per fermare la destra sarebbe disponibile a stare al governo anche con Calenda. Lei?
«Io non intendo turarmi il naso e non sono disponibile a formule equivoche che abbiano come unico obiettivo il governo».
Da solo al governo non ci va di sicuro.
«Una prospettiva di governo con Calenda, che ha l’unico merito di riportare Renzi in Parlamento, è semplicemente impossibile. Calenda prende in giro gli elettori con una proposta politica che non esiste: riportare Draghi a Palazzo Chigi. Peccato che lui non voglia. Vende un progetto politico inesistente».
È vero che si confronta spesso con D’Alema?
«Con D’Alema mi confronto di rado, ma quando succede gli scambi non sono mai banali. È un interlocutore di rara intelligenza politica».
Presidente, la democrazia è a rischio?
«Le ricette della destra sono inadeguate e peraltro il recente voto al parlamento europeo di Salvini e Meloni in favore di Orban segna una novità molto preoccupante. Se loro condividono questa svolta illiberale e autocratica e se il progetto politico che difendono è quello di Vox in Spagna, allora mi permetto di dire che sono decisamente inidonei a governare qui in Italia».