di Fausto Anderlini – 27 ottobre 2017
I sondaggi lasciano il tempo che trovano (troppa gente sfugge e mancano predittori sicuri per stimare le distribuzioni di voto e soprattutto l’impatto differenziato dell’astensionismo). Ciò che è certo è che il centro-destra ricostituito grazie al Rosatellum esprimerà una forza d’urto considerevole, tale da non escludere possa avvicinarsi all’autosufficienza. Del resto gli elettorati di Fi, Lega e post-fascisti sono antropologicamente sintonici e perciò sovrapponibili. A meno che il M5S non riesca a realizzare una inattesa performance sui collegi uninominali rovesciando il dispositivo ordito per sminuirne la rappresentanza.
Paradossalmente, in termini prettamente oggettivi e immediati, il più utile voto per arginare il ritorno della destra sarà quello conferito al M5S. Una totale eterogenesi dei fini. Questo è il risultato inevitabile dello sfascio del centro-sinistra, ormai irreversibilmente diviso fra un partito centrista a base personale che potrà all’occorrenza tramestare con il centro-destra e una ricostituita componente di sinistra. Ben difficilmente il PdR potrà attrarre consensi da destra, è anzi probabile che molti elettori moderati tornino a casa. Mentre è certo che perderà voti a sinistra.
La sinistra ove riuscisse a darsi un assetto unitario ha comunque a sua disposizione la possibilità di un buon risultato (oltre la soglia della doppia cifra). Potrebbe riportare presso di sè un elettorato ideologicamente di sinistra scivolato nell’astensione o nel M5S e drenare molti elettori residuati dal crollo del centro-sinistra. Nella situazione concreta la collocazione sistemica della ricostituita sinistra è nell’intercapedine fra il M5S e il PdR coi quali dovrà competere per avocare a sè un voto utile. Cosa che potrà fare al meglio se saprà proporre un profilo identitario capace di fascino. Ma a tutti gli effetti la ‘sinistra’ è una realtà ‘residua’, ciò che resta del crollo del centro-sinistra e del blocco sociale che lo ha storicamente sostenuto. Una realtà disperante ? Certo, ma non senza via d’uscita.
Ciò che si tratta di fare per toccare questa ‘massa critica identitaria’ è esattamente tradurre questa debolezza in una risorsa, a partire da una lucida comprensione della situazione di fatto. La società depositata dalla crisi sociale è del resto composta di ‘residui’: sociali, economici, ideologici, culturali. La sinistra italiana, per come si pone nel contesto nazionale concreto, è parte di questo processo di residuazione. E più residui essa saprà raccogliere e amalgamare in un programma e in una identità più sarà in condizione di porre le condizioni per una rinascita. Personalmente credo che la ‘sinistra’ dovrebbe fare di necessità virtù. Comprendendo il passaggio di fase ed evitando scorciatoie velleitarie e aspettative ‘insorgenti’, magari affidate all’erompere di una leadership di nuovo conio (che allo stato attuale non esiste).
Se è vero che la ‘discontinuità’ politica rispetto alle politiche passate dovrà risaltare con la massima nettezza, è anche vero che non ci si possono aspettare effetti ‘esplosivi’ analoghi a quelli che hanno beneficiato Corbyn e Melenchon. La situazione italiana (e anche quella spagnola) è diversa da quelle del Regno Unito e della Francia. Se non altro perchè il M5S e Podemos hanno già occupato in queste realtà lo spazio di una sollevazione a trazione demiurgica e antagonista dell’estraneità socio-politica di massa. Semmai una qualche analogia potrebbe ritrovarsi con Syriza, la cui misura sarà definita da quanto il Pdr si avvicinerà al tracollo del Pasok. La crisi politica e sociale durerà, ci saranno passaggi drammatici, è bisognerà disporsi a navigare con sagacia nei suoi marosi.