Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Conta dove va Conte
Un mio precedente post dove ho paragonato il M5S attuale al Pci in causa della sua rappresentanza sociale ha destato un certo dibattito. Vorrei qui confermare che non ho usato a caso il paragone, sebbene limitatamente a certi lati del contesto che stiamo vivendo.
Nadia Urbinati e Gabriele Pastrello fanno notare l’incomparabilità fra Pci e M5S. La Nadia, in particolare, fa notare il carattere ideologico e anti-plebeo del Pci di contro all’ubiquità e al plebeismo inscritti nel dna dei cinque star. Ma io non ho usato a caso il paragone, pure reputando di aver conosciuto il Pci con una certa cognizione di causa., Più di Nadia e Gabriele che infatti non mi risulta abbiano militato nelle sue fila, non così a lungo comunque, come è capitato a me. Cosa che li porta ad avere una visione idealizzata del Pci, mentre io ne ho una consapevolezza concreta ed esistenziale.
Se il Pci si sforzava di emancipare le masse dal plebeismo, avviandole sulla via hegeliana dell’autocoscienza come redenzione politica (masse che si fanno Stato), è perchè di plebeismo era intriso il suo corpo sociale. Il plebeismo era una energia grezza che il Pci recepiva e sulla quale cercava di lavorare emancipandolo. Come la chiesa che non perseguita il peccatore, ma lo accoglie perchè possa pentirsi e salvarsi. Il Pci si sforzava di far transitare il plebeo, seguendo la trilogia hobsbawniana, da bandito a ribelle e poi da ribelle a rivoluzionario.
Quando ero nella Fgci c’erano legioni di giovani border line che entravano e uscivano dai riformatori e che avevano una visione del mondo molto grezza ed estrema. Il loro odio per i padroni e per la società che li escludeva non andava per il sottile. Un odio di classe puramente istintuale intriso di astio vendicativo e di invidia.
Quando finii in carcere a San Giovanni in monte per qualche giorno rimasi colpito che molti detenuti erano stati iscritti alla Fgci e al Pci.
Del resto molti dei protagonisti della resistenza furono partigiani imperfetti, talvolta più banditi e ribelli che rivoluzionari regolari con le naturali conseguenze dal lato dei comportamenti.
Anche nelle sezioni, dove pure gli iscritti si sforzavano di leggere l’Unità e Rinascita, era diffuso l’astio e il dileggio giustizialista verso i forchettoni democristiani (governo ladro), cosiccome verso i dirigenti poltronari, le condotte di vita licenziose e stili di vita non conformi al popolo. I dirigenti del partito erano riconosciuti, ma senza mai dismettere un certo sospetto. Il plebeismo era anche una forma di moralismo primitivo.
Nel suo impegno oppositivo il Pci, in sintesi, si alimentava del plebeismo tanto quanto lavorava per trascenderlo in un faticoso lavoro pedagogico.
Il M5S è nato come movimento anticasta venato di plebeismo e greve giustizialismo, ma anche come movimento giacobino (uno vale uno) e iperdemocratico. Ma nel suo evolvere ha finito per interpretare, inintenzionalmente, una più grande questione sociale. Facendone da veicolo e colmando un vuoto clamoroso di rappresentanza lasciato inevaso dall’imborghesimento della sinistra.
Nè si può dire che diversi dei suoi dirigenti, Conte in testa, non si siano sforzati di lavorare sulla materia grezza, ingentilendola, alla stessa stregua con cui operava il Pci. Persino troppo.
Il Pci affondava in un corpo sociale composto di mezzadri, braccianti e operai d’estrazione contadina, come del resto il Psi nenniano, seppure con vari distinguo. In questo corpo e nelle sue stesse figure sociali convivevano proletari, lavoratori autonomi poveri, semi-proletari e sotto-proletari, disoccupati, sottoccupati, randagi sociali. Come era tipico nell’universo agrario e nella protoindustria diffusa. Un tratto ‘popolare’, anzichè operaista, che ha continuato a caratterizzare il Pci anche negli anni aurei dei ’70, a industrializzazione compiuta.
Oggi il corpo sociale è radicalmente cambiato, ma non v’è dubbio che i 5S sono opzionati da aree sociali marginali (poveri, disoccupati, precari, autonomi sottoccupati) in qualche modo assimilabili, nella loro promiscuità, al ‘popolo’ comunista del dopoguerra. Mentre la classe operaia, anche sindacalizzata, o ciò che di essa resta, opziona semmai la Lega e la destra.
La storia è fatta di determinismi sistemici e di profili idiografici. Contano le leggi di sviluppo, ma anche le personalità che le interpretano. Molto si deve al caso, anche perchè il comportamento degli individui e la loro ‘configurazione politica’ (soggettività e ideologia) sono condizionati da fattori random, psicologici e situazionali. Gli uomini non sono coniati con lo stampino, e le scelte che li inalveano verso strade con netti confini sono spesso tormentate da un inafferrabile destino. Come ha bene spiegato Pavone nella sua Guerra civile gli attori si muovono lungo un crinale dove basta un nulla per essere precipitati da una parte (i resistenti) o dall’altra (le brigate nere). Se molti dei dirigenti del Pci venivano dalle carceri, dal confino e dall’esilio, molti altri avevano partecipato ai littoriali fascisti. Togliatti stesso era stato un interventista nel 15-18. La formazione di un gruppo dirigente coeso e capace di egemonia e ajutoriproduzione è un processo complesso. Una ciambella col buco la cui fabbricazione è ricca di elementi aleatori (e spesso fallimentari).
In ogni caso conta da dove si viene, ma ancor di più conta dove si decide di andare. Lo scrivo anche in risposta allo sfrondone di un mio critico che ha paragonato Conte a Bombacci (il dirigente del PdCI passato al seguito di Mussolini). Semmai il percorso di Conte è l’inverso. Emerso quasi per caso come prestanome del governo giallo-verde e figura di paglia fra i due dioscuri (Di Maio e Salvini) è poi evoluto in modo autonomo dando un saggio della sua caratura nel governo giallo-rosso. Sino a prendere la guisa di leader in una complessa transizione politica. I lavori sono in corso ed è sommamente inutile tirare fuori ad ogni piè sospinto la genealogia personale. Conta dove si va. I lavori sono in corso e saranno i fatti a certificare se Conte scomparirà come una meteora o avrà in carico la costruzione di una nuova sinistra.
Conte arriva (o riesce a toccarne i confini) laddove non può arrivare nessun residuo di ‘sinistra radicale’ a noi noto, malgrado i proclami roboanti. Il mondo fuori dalla Ztl. Il popolo eletto che in altro tempo era proprio del Pci, come di ogni partito socialista delle origini.
Per intanto noto che l’elemento che più colloca Conte (con i suoi) nella posizione che fu propria del Pci è il famigerato fattore K. Cioè la conventio ad excludendum di cui è fatto segno con inaudita pervicacia. Con la politica estera e la fedeltà al ‘sistema’ adesso come allora che timbra la pratica. Se non c’è questa convenzione, peraltro, lo insegna la storia, nessuna sinistra può darsi. Senza questo timbro, aggiornato quantomeno col datario, ogni ‘sinistra di governo’ (come non può non aspirare ad essere) pesta i piedi nel nulla.’ . Conta, del resto, non solo chi sei, ma anche dove ti mettono gli altri. Nulla è più probante/condizionante di un pregiudizio.