Il conformismo del ceto politico ‘nuovista’

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 6 giugno 2017

“Il conformismo è dilagato soprattutto nella nuova generazione” ha detto Pier Luigi Bersani all’Espresso, aggiungendo che tra i giovani (si riferiva soprattutto ai parlamentari, ma il discorso potrebbe essere più vasto) sta prevalendo un’idea di “galleggiamento” dinanzi alla convinzione che il mondo non possa cambiare o addirittura sia personalmente preferibile ‘conservarlo’. Potremmo adattare quest’analisi alla vecchia dicotomia tra ‘tattica’ e ‘strategia’. La tattica agisce sui tempi brevissimi, è un aggiustamento di corto respiro, è un atteggiamento che non coglie orizzonti, ma lavora sugli scenari semplicemente presenti. La strategia disegna invece prospettive, delinea scenari, propone un percorso da fare per uscire dalla situazione in cui si trova. L’impossibilità di immaginare un cambiamento vero, profondo, sospinge all’indietro verso i tatticismi, verso il mero galleggiamento: insomma è l’uovo oggi contro la gallina domani. Dice Bersani che i giovani ormai galleggiano, hanno perso di vista la prospettiva, e forse nemmeno pensano più che vi sia.

Per questo ci si abbandona a schermaglie tattiche. Si insegna a ‘vincere’ subito, invece di immaginare un accrescimento della propria forza per porre le basi di una trasformazione di fondo e di lunga lena. Vincere per puntellare le proprie posizioni, non per altro, e per garantirsi un solido ancoraggio nella situazione in cui ci si trova. L’atteggiamento diventa conformistico. Per galleggiare non servono grandi idee, tanto meno sovvertire le attuali. Anzi, più ci si adatta, più si sta coperti alle spalle di un caporione, meglio è. È il naufragio di un bel pezzo di ceto politico, ridotto appunto a ceto, e incapace di diventare classe dirigente, configurato come ‘scheggia’ sociale di una società sempre più stabile (altro che) e sempre più refrattaria alla trasformazione dei propri assetti. Si diventa alfieri della conservazione, pur sbandierando chissà quale simbologia del cambiamento. Il linguaggio tradisce la sostanza vera del gioco, che è lo status quo, o meglio le proprie fortune personali innanzi tutto.

La verità è che i giovani debbono prima formarsi e poi assumere incarichi. Lo dice anche Bersani di aver sottovalutato il tema della formazione. Il giovanilismo, il nuovismo non pagano, e non hanno pagato col PD che non è affatto il partito delle nuove generazioni, come dicono le ricerche svolte sul suo elettorato. Al più ha prodotto una schiatta di giovani dirigenti e di giovani parlamentari, oggi avvinti ad alcuni gangli della classe dirigente. Quasi una lobby autoreferenziale, svincolata dalla base sociale dei 20-30enni, che va invece da tutta da un’altra parte, verso l’astensione, verso i grillini, verso la sinistra quando questa troverà una dimensione efficace. In altri mondi è già così: i giovani hanno sostenuto Sanders, lo stanno facendo con Corbyn. In Italia manca ancora una sinistra riformista, altrimenti sarebbero schierati con essa. Quel che abbiamo noi è un ceto giovanile di parlamentari, consulenti, assessori, membri di staff insediati nei loro scranni e dietro le loro scrivanie, conformisticamente aderenti alla fase e al Capo di turno. Un ceto politico di 20-30enni che non rappresentano nulla di solido, tutt’al più se stessi e i propri destini.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

1 commento

morena costi 6 Giugno 2017 - 12:30

riflessione che condivido, la politica è passione e non può ridursi a un modo di fare carriera

Rispondi

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.