di Alfredo Morganti – 1 ottobre 2016
Non illudiamoci. La comunicazione mediatica, la tv, taluni personaggi che ci hanno costruito la propria carriera politica sopra, hanno prevalentemente corrotto la percezione politica del Paese. Perché la forma è importante, la forma incide sui contenuti che circolano. Oggi la politica è fondamentalmente ridotta a comunicazione-politica, con tutti i corollari che ne conseguono. E dunque: personalizzazione (perché in tv le idee debbono ‘incarnarsi’ in qualcuno), riduzione dell’argomentazione a dialettica, velocità (contro il pensiero che chiede invece tempo), superficialità, galleggiamento concettuale, agonismo quasi sportivo, ‘tifo’, trasparenza che si ferma alla superficie dell’evento politico (mentre la sua sostanza è roba da patti segreti), regole mediatiche, prevalenza della ‘pancia’.
Certo, anche la politica-politica è sentimento, emotività e passione, ma questo aspetto non prevale sull’elemento argomentativo, diciamo sul confronto razionale delle opinioni. È passione umana non freddamente mediatica. C’è un equilibrio. Oggi no, invece. Il nostro destino politico è quasi totalmente affidato a questa crosta di apparenza, a questa parvenza mediatica, al fenomeno di turno appunto. Ai sofismi. Il male non è che la tv sia il luogo ‘sbagliato’ dove proporre un confronto tra Renzi e il ‘professore’. Il punto è che la tv riconsidera le regole della politica. Le riformula a proprio esclusivo interesse. Il punto è che essa (il media elettronico in genere) detta legge e lo fa in modo egemonico. Fa terra bruciata attorno. E nulla cambierà sinché non ne usciremo dalla TV, per riandare tra le persone in carne e ossa.
E siccome questo è molto difficile e ci vorrà tempo, lottare sul terreno dell’avversario, usando il suo lessico, la sua svergognata sfrontatezza da ignorante, il suo stile ‘smart’, da quiz televisivo, lottare su questo terreno sarà difficile, complicato e paradossale. Paradossale perché, 1) scegliere il linguaggio televisivo è scendere sul terreno della politica-spot, divenendo un politico-spot, trasformando ancor più la politica in spot. 2) Ciò rafforzerà ancora di più le regole e il contesto che pure non ci piacciono, perché esse non sono la politica ma un suo surrogato televisivo.
Dirò di più: oggi la politica è ancella della comunicazione, ne dipende, si fa dettar legge. Per cui, rispondere “a brigante, brigante e mezzo” è sbagliato e contraddittorio se significa puntare ancora di più sulle forme televisive per battere lo scaltro avversario sul suo stesso terreno. Vuol dire qualcosa se, invece, il ‘brigante e mezzo’ sposta e delocalizza lo scontro politico, di modo che scivoli lateralmente rispetto al trappolone tv del confronto uno-contro-uno, come in un ring.
Per dirla tutta, se fosse dipeso da me il confronto Renzi-Zagrebelsky io non lo avrei mai fatto nemmeno se fossi stato sicuro che il Prof avesse potuto battere SUL SUO TERRENO Renzi. Lo abbiamo visto per Giachetti vs D’Alema: sul piano dei contenuti ha vinto D’Alema, dal punto di vista televisivo ha prevalso Giachetti. Ma questo la dice tutta. La battaglia comunicativa va fatta, ma cambiando le regole. Non l’uno contro uno, con un interesse dell’arbitro rivolto soprattutto a far prevalere l’aspetto spettacolare, quello dello specifico televisivo. Ma tre-contro-tre, almeno, con altri tre giornalisti che fanno le domande, e la possibilità di rispondere senza nessuno che ti sovrasti. Noioso? Meglio. La noia batte la verve della comunicazione-politica e spiega meglio, a chi vuol capire, come stanno le cose. Spiace dirlo, ma a queste condizioni il ‘Sì’ e il renzismo sono favoriti.