di Alfredo Morganti – 3 gennaio 2017
È circa un mese che Renzi non inonda più di sé la tv, i social, la nostra esistenza in generale. Il tema non è tanto la quantità di volte, pur smodata, in cui ci è apparso davanti, nonostante il rischio che prima o poi ci sbucasse da sotto il letto al mattino. Quanto una questione di contenuti e di stile. Per un periodo immemore è piombato nelle nostre case senza preavviso, manifestando ogni volta un ottimismo esagerato, propugnando obiettivi che erano fuori dalla realtà oppure irraggiungibili allo stato dei fatti. Favole, leggende, dicerie. Dipingendo un Paese che non sapevi se era frutto della sua irragionevolezza oppure di una ignoranza effettiva sullo stato della realtà. Sembrava che l’Italia dovesse semplicemente librarsi in volo al suo comando, e che i critici fossero solo dei gufi, dei rosiconi, dei disfattisti, dei nemici del popolo intenti a zavorrarlo. Fummo sommersi da una retorica nazionale, forse nazionalistica, che ha sfiorato il grottesco. Tutto appariva oltremodo esagerato, ogni espressione sembrava rigonfia, ogni gesto, ogni bonus, ogni discorso-fiume sembravano raffigurare gli effetti di una specie di ‘bolla’ politico-mediatica destinata a esplodere da un momento all’altro. Una vera e propria pantomima.
In questa fase, invece, lo stress procurato da Renzi e dal suo cospetto ingombrante sembra prodigiosamente scomparso. Anche i suoi figuranti al governo, privi della sua presenza dappresso, paiono vivere e rappresentare la parte con più sobrietà, quasi con pudore. L’Italia per tre anni è parsa una specie di elastichetto sempre teso, con l’ex premier intento a gonfiare quotidianamente la bolla, imprimendo al Paese un ritmo forsennato, centrato sul nulla, come si è visto. D’altronde Renzi non aveva scelta, non doveva far riflettere gli italiani, doveva occupare ogni lacuna con qualche posa, chiacchiera, annuncio, proposito o zingarata. Il pensiero era un nemico della sua offensiva caciarona. Mi sono venuti in mente i telecronisti di basket NBA, che occupano tutto il tempo possibile in video con chiacchiere a ‘schiovere’, enunciando statistiche, storielle, esclamazioni senza soluzione di continuità, invadendo ogni minuto secondo della partita in corso. Era naturale che quella messinscena non potesse contenere le svolte politiche effettive, non potesse reggere il ‘no’ referendario, né si mostrasse capace di resistere all’onda d’urto della realtà, per troppo tempo ‘barricata’ da una misera selva di tweet, chiacchiere, messe in scena, sfondi di cartapesta e aiuole di ficus à la Berlusconi. Adesso capite la fretta impressa da Renzi, serviva a nascondere i termini concreti della realtà, ad alzare un nebbione sulla sua capacità effettiva di affrontarne i temi. E adesso capite pure perché, da Pontassieve, voglia votare subito, domani, oggi, ieri. Sennò a Roma se lo dimenticano, tanto è stata inconsistente, flatus vocis, la sua presenza.