Fonte: Limes
Come si dominano i fondali
La carta inedita a colori della settimana è dedicata al dominio dei fondali marini, su cui giacciono le reti energetiche e delle telecomunicazioni.
L’infografica illustra l’articolato dispositivo militare indispensabile a ottenere la supremazia negli abissi e di conseguenza la protezione delle reti strategiche, dai gasdotti ai cavi Internet. Il know-how necessario è ragguardevole e spazia dalle ricognizioni aeree al monitoraggio satellitare, dalle comunicazioni acustiche a quelle laser, dall’attivazione a lungo raggio di armi sottomarine ai grandi veicoli subacquei senza equipaggio, dalle mine alle boe, dai siluri ai missili anti-nave…
Delle complesse attività di intelligence e guerra sottomarina hanno scritto Manfredi Cartocci e Matteo Palmieri nel numero di Limes “Le intelligenze dell’intelligence”:
La seabed warfare, termine che comprende l’insieme delle attività militari volte a proteggere le infrastrutture subacquee da qualunque tipologia di minaccia e che include anche la prevenzione di sabotaggi e di attività d’intelligence, rientra pienamente nella definizione di guerra asimmetrica. Di difficile attribuzione, operazioni di questo genere possono portare a risultati di alto impatto come l’interdizione della capacità di comunicazione dell’avversario. Il tutto investendo solo una quantità limitata di risorse.
Questo, ovviamente, è possibile solo se si hanno a disposizione il know-how e la tecnologia necessari per portare a termine siffatte operazioni. Fino a inizio anni Duemila, i paesi riconosciuti (o meglio supposti, dato che le capacità in questo ambito non vengono pubblicamente dichiarate) capaci di effettuare azioni di questo genere erano pochi: occorrevano infatti mini-sommergibili appositamente studiati, rilasciabili in prossimità dell’area di operazione da navi madre di superficie o subacquee. Probabilmente, non servivano nemmeno due mani per contare le marine in possesso di tali capacità. Recentemente, invece, tali capacità sono divenute più accessibili. E questo ha contribuito a creare un settore dove la spada è molto più avanti dello scudo: solo in tempi recenti si è acquisita la piena consapevolezza della fragilità dei cavi in fibra ottica e delle condotte gasiere che giacciono sui nostri fondali e ci si è dunque posti il problema di come garantirne la sicurezza.
Il monitoraggio delle attività che si svolgono nel dominio marittimo continua a costituire un serio limite, nonostante l’introduzione di radar e di satelliti che hanno consentito di acquisire e mantenere la «maritime situational awareness» (consapevolezza situazionale marittima) oltre la portata ottica dei propri assetti. Questo, però, vale solo per ciò che avviene sopra la superficie, dove attraverso appositi algoritmi o l’applicazione dell’Ai (in particolare attraverso il machine learning) sarà possibile correlare informazioni provenienti da fonti diverse e individuare anomalie nel comportamento delle navi sospette. Tuttavia, le opzioni a nostra disposizione per il monitoraggio di ciò che avviene sotto la superficie non consentono una copertura capillare di quanto di interesse.
Quale è la caratteristica che rende peculiare la dimensione sottomarina? Alla scarsa propagazione delle onde elettromagnetiche (che si tratti di luce, radar o apparati di comunicazione) fa da contraltare l’ottima propagazione delle onde acustiche (captate dai sonar). Questo rende necessario che gli assetti impiegati siano appositamente progettati per lavorare in questo ambiente specifico. Tuttavia, la propagazione subacquea del suono presenta criticità e limiti che attualmente non hanno ancora permesso di rendere le grandi masse d’acqua dei mari e degli oceani «trasparenti». Anche la conoscenza della morfologia dei fondali è alquanto scarna, se si considera che la risoluzione delle mappe della grande maggioranza di essi è nell’ordine di grandezza dei chilometri, accuratezza che gli attuali standard delle agenzie spaziali considererebbero inaccettabile per la mappatura degli altri pianeti del sistema solare.
Per il monitoraggio di quanto avviene sotto la superficie marina sono stati tradizionalmente impiegati assetti aeronavali (navi, sottomarini, maritime patrol aircrafts) e reti fisse di sorveglianza, con l’esempio più noto costituito dalla catena di idrofoni Sosus posta a sorvegliare il Giuk gap. Fra le nuove opzioni disponibili si stanno recentemente affacciando gli Uuv (unmanned underwater vehicle), ai quali spesso si fa riferimento chiamandoli «droni» o «droni subacquei». Il cui impiego è particolarmente indicato per quelle missioni che possono risultare pesanti per la resistenza fisica e mentale dei militari impiegati o che sono caratterizzate da un’alta probabilità di incidenti…
Le arterie dell’energia e della Rete giacciono negli abissi. Ma la loro fragilità è celata alla vista. Non esiste sicurezza senza il dominio sotto la superficie. Le difficoltà nel controllare ampie porzioni di mare. Si afferma la seabed warfare. E l’Italia si scopre vulnerabile.
di Manfredi Cartocci e Matteo Palmieri1. Nella dottrina militare alleata, gli ultimi anni sono stati particolarmente prolifici nella definizione di nuovi domìni operativi. Alle tradizionali dimensioni terrestre, marittima e aerea si sono aggiunte quelle cibernetica e spaziale. Inoltre, un sesto campo attualmente in valutazione è definito «dominio cognitivo». Tali domìni rappresentano gli ambienti dottrinalmente riconosciuti in cui le singole componenti dello strumento militare nazionale si trovano a operare, adempiendo alle missioni assegnate. La necessità di individuarne altri nasce dagli effetti che il poderoso sviluppo tecnologico degli ultimi vent’anni ha generato, allargando il bacino di utenza di determinati contesti (basti pensare al recentissimo turismo spaziale) e creando nuovi strumenti, alcuni dei quali capaci anche di rappresentare una minaccia per la sicurezza e la prosperità delle nazioni. Di conseguenza, ambienti operativi che venivano considerati di supporto agli altri ambiti (ad esempio lo Spazio) sono cresciuti a dismisura fino ad assumere il rango di dominio operativo.
Il settore sottomarino sta vivendo in questi anni una simile trasformazione. Esso è oggetto di interessi sempre più profondi e diversificati, spinti dall’innovazione che procede spedita in numerosi ambiti legati al «sesto continente», come Folco Quilici definì il mare. L’ambiente subacqueo rimane attualmente compreso nell’alveo del dominio marittimo, ma non sarebbe strano vedere anch’esso emanciparsi nel corso di breve tempo, come il dominio aereo si è emancipato da quello terrestre nel secolo scorso. Tale dissertazione dottrinale, etichettabile dal non addetto ai lavori come puro sofismo, è invece necessaria per comprendere come l’approccio militare occidentale al dilemma della sicurezza stia rapidamente evolvendo e come la dimensione subacquea del dominio marittimo sia parte integrante fondamentale di questo cambiamento. Se è vero, come è vero, che le attività marittime di superficie rivestono un’importanza vitale in molteplici settori, quanto avviene nel «lato oscuro» della dimensione marittima ha ormai una rilevanza almeno paritaria.
2. Negli ultimi decenni, il numero di infrastrutture critiche poste sui fondali marittimi è proliferato a ritmi sostenuti: condotti gasieri, linee di alimentazione e fibre ottiche sono ormai poggiati sui fondali a connettere quei lembi di terra che sarebbero altrimenti divisi dal mare stesso. L’idea che la connessione a Internet avvenga prevalentemente attraverso collegamenti satellitari, sicuramente informata anche dall’impiego del termine «cloud» e dalla connessa iconografia, è infondata: più del 95% dei dati viaggia attraverso i cavi in fibra ottica 1. Parallelamente, la volontà di sfruttare le risorse dei fondali marini da parte degli Stati rivieraschi ha dato luogo alle sempre più numerose dichiarazioni (controverse) di Zone economiche esclusive (Zee); fenomeno, questo, che interessa anche il nostro Mediterraneo 2. Con tali e tanti interessi in gioco, la ricerca e le attività industriali nei settori della sensoristica, delle comunicazioni subacquee, dello sviluppo di mezzi unmanned (senza equipaggio) e di attrezzature specifiche per consentire all’uomo di operare a profondità elevate sono, nel corso degli anni, lievitate visibilmente.
In un mondo in così rapida espansione e caratterizzato da poste in gioco così alte, le minacce sono multiformi e in continua evoluzione. La natura del mezzo in cui operano rende altresì complesso strutturare delle risposte efficaci. Le possibili soluzioni da esplorare richiederanno necessariamente un approccio diverso rispetto al passato: ieri gli abissi erano visti esclusivamente come il rifugio dei sottomarini, che dovevano essere scoperti e localizzati anche nei loro movimenti. Oggi, la profondità del dilemma securitario subacqueo è incredibilmente accresciuta, date le relative infrastrutture e attività da tutelare. La capacità di operare in questi ambienti, divenuta sensibilmente più economica, li ha poi resi accessibili anche ad attori non statali. Il contesto internazionale è caratterizzato da crescenti tensioni. La minaccia «tradizionale» dei sottomarini militari tende ad aumentare: numerosi attori statuali, anche mediterranei, non rinunciano a includere nei loro progetti di riarmo anche delle componenti sottomarine performanti.
Il mondo subacqueo è sempre più densamente popolato. Al suo interno si stanno moltiplicando le attività antropiche, comprese quelle di intelligence, nonostante questo settore faccia a volte fatica a stare al passo con tutte le possibilità e le sfide che il progresso tecnologico pone.
Sotto questo aspetto, basti ricordare che risale al 1971 l’inizio dell’Operazione Ivy Bells, all’interno della quale un sottomarino statunitense appositamente modificato per la conduzione di operazioni speciali, l’USS Halibut, venne inviato nel Mare di Okhotsk alla ricerca di un cavo telefonico che la mente dietro all’operazione, il comandante Bradley, immaginava correre da Petropavlovsk, base dei sottomarini lanciamissili sovietici nel Pacifico, verso gli alti comandi sovraordinati.
Senza nessuna indicazione sull’effettiva posizione del cavo (tanto che non era neanche certa la sua esistenza), Bradley – ricordandosi dei viaggi compiuti lungo il Mississippi in gioventù e dei numerosi avvisi posti sulle rive del fiume – consigliò al comandante dell’Halibut di avvicinarsi alla terraferma e cercare proprio questo: cartelli che riportassero «presenza cavi. Divieto di ancoraggio». Dopo una settimana di ricerca, l’Halibut avvistò su una spiaggia uno di questi cartelli, trovò nelle vicinanze un cavo sottomarino e cominciò le operazioni per accoppiare al cavo telefonico un dispositivo di registrazione. Le conversazioni, raccolte su appositi nastri magnetici, sarebbero state poi recuperate in un secondo momento e furono di grande interesse per l’intelligence: gli alti vertici sovietici discutevano attraverso quella linea telefonica di tattiche, operazioni, avarie, logistica, personale e addestramento, ritenendola così sicura da non reputare necessario crittografare le informazioni come avveniva invece per le comunicazioni trasmesse via etere 3. Tale operazione, innovativa e per certi aspetti visionaria in considerazione del momento storico in cui è stata pianificata ed eseguita, era qualcosa che solo la U.S. Navy poteva sperare di essere in grado di progettare e portare a termine.
3. La seabed warfare, termine che comprende l’insieme delle attività militari volte a proteggere le infrastrutture subacquee da qualunque tipologia di minaccia e che include anche la prevenzione di sabotaggi e di attività d’intelligence, rientra pienamente nella definizione di guerra asimmetrica. Di difficile attribuzione, operazioni di questo genere possono portare a risultati di alto impatto come l’interdizione della capacità di comunicazione dell’avversario. Il tutto investendo solo una quantità limitata di risorse.
Questo, ovviamente, è possibile solo se si hanno a disposizione il know-how e la tecnologia necessari per portare a termine siffatte operazioni. Fino a inizio anni Duemila, i paesi riconosciuti (o meglio supposti, dato che le capacità in questo ambito non vengono pubblicamente dichiarate) capaci di effettuare azioni di questo genere erano pochi: occorrevano infatti mini-sommergibili appositamente studiati, rilasciabili in prossimità dell’area di operazione da navi madre di superficie o subacquee. Probabilmente, non servivano nemmeno due mani per contare le marine in possesso di tali capacità. Recentemente, invece, tali capacità sono divenute più accessibili. E questo ha contribuito a creare un settore dove la spada è molto più avanti dello scudo: solo in tempi recenti si è acquisita la piena consapevolezza della fragilità dei cavi in fibra ottica e delle condotte gasiere che giacciono sui nostri fondali e ci si è dunque posti il problema di come garantirne la sicurezza.
Il monitoraggio delle attività che si svolgono nel dominio marittimo continua a costituire un serio limite, nonostante l’introduzione di radar e di satelliti che hanno consentito di acquisire e mantenere la «maritime situational awareness» (consapevolezza situazionale marittima) oltre la portata ottica dei propri assetti. Questo, però, vale solo per ciò che avviene sopra la superficie, dove attraverso appositi algoritmi o l’applicazione dell’Ai (in particolare attraverso il machine learning) sarà possibile correlare informazioni provenienti da fonti diverse e individuare anomalie nel comportamento delle navi sospette. Tuttavia, le opzioni a nostra disposizione per il monitoraggio di ciò che avviene sotto la superficie non consentono una copertura capillare di quanto di interesse.
Quale è la caratteristica che rende peculiare la dimensione sottomarina? Alla scarsa propagazione delle onde elettromagnetiche (che si tratti di luce, radar o apparati di comunicazione) fa da contraltare l’ottima propagazione delle onde acustiche (captate dai sonar). Questo rende necessario che gli assetti impiegati siano appositamente progettati per lavorare in questo ambiente specifico. Tuttavia, la propagazione subacquea del suono presenta criticità e limiti che attualmente non hanno ancora permesso di rendere le grandi masse d’acqua dei mari e degli oceani «trasparenti». Anche la conoscenza della morfologia dei fondali è alquanto scarna, se si considera che la risoluzione delle mappe della grande maggioranza di essi è nell’ordine di grandezza dei chilometri, accuratezza che gli attuali standard delle agenzie spaziali considererebbero inaccettabile per la mappatura degli altri pianeti del sistema solare.
Per il monitoraggio di quanto avviene sotto la superficie marina sono stati tradizionalmente impiegati assetti aeronavali (navi, sottomarini, maritime patrol aircrafts) e reti fisse di sorveglianza, con l’esempio più noto costituito dalla catena di idrofoni Sosus posta a sorvegliare il Giuk gap. Fra le nuove opzioni disponibili si stanno recentemente affacciando gli Uuv (unmanned underwater vehicle), ai quali spesso si fa riferimento chiamandoli «droni» o «droni subacquei». Il cui impiego è particolarmente indicato per quelle missioni che possono risultare pesanti per la resistenza fisica e mentale dei militari impiegati o che sono caratterizzate da un’alta probabilità di incidenti: le «missioni 3D» (dirty, dangerous, dull). Contrariamente a quanto è avvenuto in ambito aeronautico, dove l’impiego di droni è stato facilitato dall’esistenza di apparecchiature tecnologiche di derivazione civile, nell’ambito marittimo – e a maggior ragione per i droni subacquei – il loro impiego è stato rallentato dall’esigenza di più pressanti requisiti di impiego, oltre che da quella di realizzare un idoneo sistema di scambio dati con la piattaforma di controllo di riferimento.
4. Il problema principale è quindi quello della comunicazione, possibile solo a distanze limitate senza ricorrere a un collegamento fisico a causa della forte attenuazione dei segnali elettrici in acqua 4. Tradizionalmente, il problema è stato risolto rendendo i veicoli subacquei «allacciati» (tethered): si tratta dei Rov (remotely operated vehicle), collegati via cavo a una nave madre da cui vengono guidati. Attraverso tale cavo viene garantito lo scambio di dati e l’alimentazione del veicolo 5. Questo tipo di drone è già impiegato per le operazioni di sminamento, senza che la necessità del collegamento via cavo costituisca una limitazione.
Ma se volessimo considerare anche altri profili di missione? Prendiamo ad esempio il monitoraggio di un’infrastruttura subacquea ritenuta critica: attività anch’essa qualificabile come appartenente all’insieme delle missioni 3D, in questo caso perché dull (noiosa, prolungata). L’impiego di numerosi droni subacquei consentirebbe, a tecnologia sufficientemente matura, una copertura costante dell’area di interesse. Tuttavia, per far concretizzare questa ipotesi è necessario lavorare su due fronti. Per risolvere il primo problema, legato alla necessità di comunicazione, si può pensare alla creazione di una rete subacquea posta a difesa di infrastrutture critiche che comprenda, in geometria e numero variabili, sottomarini, droni e nodi posti in maniera stazionaria sul fondale marino, collegati fisicamente con la stazione di controllo a terra. La comunicazione fra il sottomarino, ideale «centro stella» di questa rete di monitoraggio delle infrastrutture, gli Uuv e i nodi verrebbe garantita da protocolli di trasmissione studiati appositamente per modem acustici 6, mitigando con il numero e la distribuzione di diversi terminali la naturale difficoltà di comunicazione su lunghe distanze senza ricorrere al collegamento via cavo, utilizzato solo per lo scambio dati verso le stazioni di monitoraggio a terra.
La possibilità di garantire in maniera stabile le comunicazioni fra i diversi assetti andrebbe inoltre a migliorare le performance del sistema: grazie alla data fusion, quanto rilevato da un sensore e condiviso con l’intera rete può essere correlato con i dati acquisiti in maniera indipendente da altri assetti rendendo il monitoraggio più efficace. Il concetto alla base è la network-centric warfare, ovvero la trasformazione della supremazia informativa ottenuta grazie ai propri sensori distribuiti – e successivamente condivisa attraverso una rete di scambio di dati tattici – in un vantaggio operativo.
L’altra necessità derivante dalle peculiari caratteristiche dell’ambiente dove gli Uuv operano è la capacità di prendere decisioni autonomamente. Essendo le comunicazioni difficili da garantire, è auspicabile che i droni abbiano capacità decisionale autonoma. È soprattutto qui che diventa di interesse l’applicazione dell’intelligenza artificiale e del machine learning. L’obiettivo è consentire l’identificazione automatica dei bersagli. L’Ai consentirà in futuro ai droni di operare in maniera coordinata, «in sciame», condividendo e correlando le informazioni acquisite e prendendo decisioni in base a esse 7.
5. Parimenti a quanto avviene per la conoscenza dei fondali, di cui si è raggiunto un adeguato grado di accuratezza in zone di specifico interesse come le aree portuali o gli stretti, sarà necessario fare altrettanto con la distribuzione delle capacità di monitoraggio e sorveglianza. Non è infatti sostenibile, né come costi né come numero di infrastrutture e mezzi da costruire e impiegare, applicare un monitoraggio integrato di ampie zone di mare esclusivamente con l’impiego di una molteplicità di sistemi come quelli precedentemente descritti.
Sarà quindi importante definire, in seno alle future strategie securitarie dell’ambiente subacqueo, i punti focali in cui concentrare le infrastrutture e i mezzi, a seconda che in quella data zona di mare si voglia avere una presenza continua, saltuaria o sporadica; una capacità esclusivamente di monitoraggio o anche di reazione e intervento.
Da quanto detto, si comprende perché quello descritto sia un settore molto sfidante, nel quale la ricerca e il livello tecnologico sono determinanti per il conseguimento del risultato. Viene da chiedersi, allora, quale approccio abbia adottato l’Italia. Allo scopo di consentire un ammodernamento dello strumento securitario subacqueo tramite l’adozione di tecnologie all’avanguardia, nel prossimo futuro verrà inaugurato a La Spezia il Polo nazionale della subacquea. L’obiettivo è quello di creare una realtà che permetta di integrare le capacità produttive delle grandi industrie del settore con quelle di innovazione delle start-up e dei centri di ricerca universitari e non. L’obiettivo è perseguire le esigenze di sviluppo capacitivo definite di concerto con gli enti istituzionali e la Marina militare 8.
Tale approccio è necessario poiché, analogamente alle complesse missioni spaziali (come la contemporanea Artemis), non si tratta di sviluppare una singola tecnologia o di progettare un singolo mezzo innovativo, bensì di creare un ecosistema di sensori, droni, sottomarini e infrastrutture, tutti interconnessi e in grado di contribuire alla compilazione della situazione tattica, permettendo di conseguire una maggiore consapevolezza di quanto avviene nell’ambiente subacqueo. Tale sforzo di ricerca e sviluppo richiede altresì ingenti investimenti. Data l’importanza del progresso tecnologico nell’ambito securitario, individuato come vero deterrente nello scenario strategico contemporaneo, sarebbe auspicabile che alla lungimirante iniziativa italiana facesse seguito lo sviluppo di una realtà consorziale di livello internazionale in seno ai consessi Nato e Ue. L’obiettivo è una maggiore scalabilità e lo sviluppo di sistemi pienamente interoperabili, caratteristica indispensabile per poter in futuro agire in modo collettivo e sinergico.
Ma, se tornassimo a volgere lo sguardo al presente, ci scopriremmo estremamente vulnerabili: il paradosso è che ci risulta più facile sapere cosa avviene anni luce sopra le nostre teste piuttosto che quanto accade qualche metro sotto la superficie del mare. Certo è che alle tradizionali «equazioni di potere», che associano al dominio del mare la condizione di egemonia, è necessario aggiungere una variabile: il dominio della dimensione subacquea.
Note:
1. A. Aresu, «Gli imperi dei cavi sottomarini», Limes, «Gerarchia delle onde», n. 7/2019, p. 67.
2. F. Caffio, «Non lasciamo ad altri la delimitazione del canale di Sicilia», Limes, «L’Italia è il mare», n. 10/2020, p. 209.
3. S. Sontag, C. Drew, Immersione rapida. La storia segreta dello spionaggio sottomarino, Milano 1999, il Saggiatore, pp. 215-246.
4. J. Landreth, A. Pfau, «Manning the unmanned system of Ssn», Cimsec, 16/3/2022.
5. I. Speller, Understanding Naval Warfare, New York 2014, Routledge, p. 174.
6. «The Future of Underwater Wireless. And how we are building it», subnero.com.
7. H. Patin, «Unmanned Underwater Vehicles: A Strategic Opportunity», Grey Dynamics, 3/11/2022.
8. Si veda l’intervento di Giuseppe Cossiga alle Giornate del Mare di Limes del 16/9/2023.