di Alfredo Morganti – 24 agosto 2016
Oggi Paolo Franchi sul Corriere dice che in politica la coerenza non è necessariamente una virtù. Si può anche essere incoerenti se ciò significasse un utile e doveroso ravvedimento. Franchi si riferisce al ribaltone renziano sul referendum costituzionale: dalla personalizzazione sfrenata al totale sganciamento del premier e del suo destino dal risultato finale. Si smentisce però, poco dopo, quando chiamando in causa la ‘narrazione’ renziana, dice che essa non potrebbe sopravvivere alla vittoria del No, che comporterebbe una (inevitabile, dico io) salita al Colle e un eventuale Renzi bis. Ecco, la semplice possibilità di un Renzi bis, ossia di una specie di ritorno ai rituali della ‘vecchia’ politica (o presunta tale), dentro la ‘narrazione’ renziana semplicemente non ci starebbe, produrrebbe un’incoerenza fatale alla stessa riuscita o tenuta di quella narrazione. E il renzismo, dice Franchi, “sarebbe archiviato nella galleria dei ricordi”.
Nulla da eccepire. Aggiungo solo una considerazione: se la politica può concedersi delle incoerenze, alla ‘narrazione’ questo non è consentito. Se la politica necessita di realismo, di aderenza al contesto e alla fase, e tenta di fornire delle risposte adeguate al mondo circostante, lo storytelling, come tutte le forme ideologiche, guarda solo a se stesso, è di una rigidità unica, insuperabile. Si spezza ma non si piega. Questo perché risponde alle regole della narrazione, appunto. Una delle prime cosa che vi diranno in una scuola di scrittura creativa è questa: il racconto deve essere coerente, non è possibile che qualcuno sia una volta italiano e poi inglese, si chiami di volta in volta con nomi diversi, oppure compaia e scompaia senza ragioni plausibili, muoia e poi resusciti misteriosamente. La narrazione è molto, ma molto più rigida, e dunque molto meno realista e di certo più astratta e decontestualizzata della politica. Ha una sua coerenza interna, mentre la politica vive di storia e di vicende a lei esterne, interpreta i contesti, risponde a domande reali, che mutano nel tempo. Farsi governare dalla narrazione è, insomma, una follia bella e buona. Perché non si considera la realtà. E si può cadere dal trono per una virgola fuori posto! Oppure per un ‘no’ al posto di un ‘sì’.
Mi viene a mente quel racconto fantozziano (non mi chiedete quale sia, non lo ricordo), in cui al termine della solita proiezione in cineforum di un lontano film espressionista, nel dibattito conclusivo si alza qualcuno e azzarda a dire: “Stavolta il grande maestro ha pensato bene di far prima morire il protagonista e poi di resuscitarlo!”. Pensate: ‘stavolta’ a proposito di un film! Più prosaicamente l’operatore aveva invertito le ‘pizze’, e il film era stato proiettato alla rovescia! Nessuno se ne era accorto, e anzi era parsa a qualcuno una novità interessante di cui discutere. Ecco, la vittoria del ‘no’ con la conseguenza di un ipotetico Renzi bis sarebbe come invertire le bobine, come scardinare la coerenza fondamentale di un’opera, come rovesciare e sminuzzare l’ordine della narrazione. Sarebbe letale, ha ragione Franchi. Ma se Renzi facesse politica invece di raccontare storie, una ‘svolta’, una curvatura, un ripensamento, un’incoerenza sarebbero da valutare, da sottoporre a giudizio, da considerare almeno negli effetti che producono e nella loro ‘coerenza’ coi fatti, non con il plot scritto da un guru ben pagato. Ma si sa, la politica serve a governare e a trasformare il mondo, che la storia da parte sua già modifica giorno per giorno. Lo storytelling, invece, a incantare gli elettori per garantirsi il potere, la vittoria, la conservazione. Tutta qui la differenza.