Classe operaia

per Gabriella
Autore originale del testo: Erri De Luca
Fonte: fondazionerrideluca.com
Url fonte: http://fondazionerrideluca.com/classe-operaia/

di Erri De Luca  21 settembre 2016

La classe operaia: questa definizione economica di Karl Marx ha avuto conseguenze politiche. Un lavoratore salariato apprendeva due cose: di essere sottopagato per produrre plusvalore e di appartenere a una schiera di uguali. La classe operaia è stata prima di tutto una potente definizione politica. Ha procurato coscienza della propria forza di massa, rompendo l’isolamento dei singoli.
Ho fatto lavori manuali tra il ’76 e il ’97, ho conosciuto la grande fabbrica e la piccola azienda. Ovunque ho potuto riconoscere il grado di consapevolezza e dignità conquistato e trasmesso dalle lotte delle generazioni precedenti. Lo chiamavo e lo chiamo ancora: misura del progresso.
Il 1900 è stato il secolo degli operai. La loro forza lavoro ha mosso il macchinario assordante delle produzioni dal fondo di miniere al piano ultimo dei grattacieli. Il loro numero e la loro coscienza li rendeva una classe, nome che proviene da una compatta formazione di battaglia.

Nell’autunno dell’80 ho bivaccato davanti a uno dei molti cancelli della fabbrica Fiat Mirafiori a Torino. La mia vita è basata e ripassata spesso tra i suoi fiumi. Per 37 giorni e notti la classe operaia torinese ha sigillato il più grande stabilimento industriale d’Europa per non far passare oltre ventimila espulsioni. Dopo 37 giorni di blocco totale togliemmo l’assedio. Le espulsioni passarono. Conto da quel momento preciso la diminuzione fisica e politica del termine classe operaia.
Alleggerita di addetti, meccanizzata da nuove lavorazioni automatiche, la grande produzione ha potuto fare a meno della massa critica operaia. Avevo una tuta blu intrisa di lubrificanti, oggi vedo camici bianchi. Ho assistito all’estinzione del termine classe operaia.
Questo comporta minore tutela sul lavoro e aumento micidiale di pericolosità, gentilmente definita infortunistica. Non c’entra l’infortunio, neanche la sfortuna. C’entra l’aumento dei ritmi di lavorazione, la tensione di nervi tesi in faccia, l’allarme continuo e incorporato nei gesti, e a fine turno un assurdo sollievo di illesi. È posto di lavoro: o di trincea?
Ai miei tempi sfondare un picchietto di operai in sciopero era caldamente sconsigliato anche agli agenti in divisa.  Oggi un autista investe e uccide col suo camion un operaio che blocca un ingresso insieme ai suoi compagni. Lo investe e lo uccide istigato dall’ordine di un qualche kapò di lager.
La modernità regredisce volentieri e la vita umana messa di traverso le ingombra la sua marcia indietro.

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