di Giuseppe Civati – 6 marzo 2018
Ero molto pessimista negli ultimi giorni e purtroppo avevo ragione: il paese andava in un’altra direzione e il detto tedesco secondo il quale «dalle larghe intese si esce sempre a destra» non è mai stato così drammaticamente vero.
La destra cresce in tutte le sue forme, fino ai neofascisti che salgono come mai prima d’ora.
I 5 stelle godono dell’eredità che cinque anni più uno di larghe intese hanno lasciato loro. E la maggioranza delle larghe intese si restringe fino ai minimi storici, eppure leggo ancora molta arroganza nelle parole del dopo voto.
Dopo il referendum del 4 dicembre, chiunque avrebbe cambiato linea e modalità di relazione politica. Invece si è deciso di proseguire come se nulla fosse accaduto, in un continuo autocompiacimento di se stessi, con modi gentiloni e però lo stesso schema politico in testa.
La sinistra è partita tardi, dopo i lunghi mesi trascorsi ad aspettare Godot, il leader individuato che, come sapete, era stato un altro. La sinistra ha scommesso sull’autonomia, che è cosa buona (anche se per molti tardiva), ma non ha puntato che molto parzialmente sull’innovazione, né sulle modalità democratiche che in molti di noi avevano caldeggiato, fino a doverne litigare.
È stata una campagna elettorale difficile, che all’inizio avrebbe dovuto vedermi protagonista a Milano, collegio poi attribuito a Laura Boldrini che ringrazio particolarmente per la sua campagna elettorale, e poi sono stato «paracadutato» (nello zainetto però il paracadute non c’era) a Bergamo e Brescia, per una campagna elettorale antica, nella provincia profonda.
Devo ringraziare tutti coloro che vi hanno partecipato, a cominciare da Francesca Parmigiani, perché il risultato è stato buono e la mancata elezione dipende esclusivamente dalla ripartizione dei seggi, per via del maledettissimo flipper del Rosatellum, la legge che per fare del male agli altri ha fatto male a chi l’ha concepita. Pur essendo nel novero dei resti più alti, all’interno del numero dei nostri eletti, sono rimasto fuori dalla ‘classifica’. Il risultato deludente della lista nazionale ha fatto il resto.
Il collegio non era sicuro come altri, com’era stato rappresentato, e l’ho sempre saputo. Per queste ragioni mi sono dedicato esclusivamente a quella campagna, anche perché non vi era alcuno spazio a me dedicato sui media nazionali: un ritorno alle origini, potremmo dire, che mi ha fatto molto bene, lasciandomi una sensazione di libertà che rimane, nonostante – o forse proprio per – la mancata elezione.
Nelle settimane precedenti avevo contestato pluricandidature e candidature non territoriali, come peraltro l’assemblea della lista aveva votato all’inizio di gennaio. Non si fanno cose ingiuste e sbagliate, mai, né si tradiscono platealmente gli impegni presi solo qualche giorno prima. La penso così e quando la penso così, lo faccio notare. La qualità della lista e della sua proposta ne ha profondamente risentito, esponendosi a una facile critica e impedendo una mobilitazione che fosse davvero corale (che sarebbe servita, elettoralmente parlando).
Possibile, contraddicendo un adagio secondo il quale sarebbe un partito personale (in realtà lo sarebbe, verso le persone), continuerà a lavorare con Luca Pastorino in Parlamento e noi con lui, nella speranza che la collaborazione con gli altri colleghi diventi più forte e più rispettosa delle sensibilità di ciascuno.
La nostra discussione riprenderà agli Stati generali di Possibile in cui mettere in discussione tutto quanto, a cominciare da chi scrive: un’assemblea nazionale che convocheremo nei prossimi giorni, aperta a iscritti e a non iscritti.
Continueremo a lavorare per una sinistra nuova, finché non la troveremo e chiederemo alle persone che si sono avvicinate in questa campagna elettorale di far parte del gruppo dirigente. E ci apriremo al confronto con tutti, perché il risultato di domenica lo impone con forza.
Come sapete siamo già in campagna elettorale verso le Europee con Elly Schlein e con chi vorrà accompagnarci, facendo le cose bene e partendo ora con un lavoro culturale che ci porti a riscoprire il Manifesto di Ventotene e non solo il suo titolo, come capita troppo spesso.
E continueremo a lavorare per una sinistra nuova, finché non la troveremo, una sinistra che si confronti con la società, non solo con se stessa, che si muova attraverso il Paese, che non si rinchiuda dentro formule politicistiche, come è accaduto anche recentemente.
A voi tutte e tutti, con un sentimento di riconoscenza e di gratitudine, chiedo di continuare in ciò che è giusto e di aderire a Possibile per fare insieme le cose in cui crediamo.
Insieme decideremo che cosa fare, per riaprire una discussione a sinistra, con tutti coloro che fossero interessati a prenderne parte. Astenersi politicisti e burocrati.