Fonte: Politicaprima
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di Giangiuseppe Gattuso – 28 marzo 2017
Si reagisce senza riflettere troppo all’accenno di qualcosa che tocca nervi scoperti. Senza bisogno, non dico di un lungo trattato, ma almeno di un’argomentazione, una nota sintetica con un minimo di dati e regole. Niente, basta la parola. E allora cerchiamo di capire meglio di cosa parliamo quando si tratta di bambini, figli di immigrati extracomunitari, e cittadinanza.
È giusto farlo senza pregiudizi e al di la delle appartenenze politiche e religiose che, purtroppo, distolgono dal merito della questione.Tra le reazioni più comuni e preoccupate spiccano quelle sulla sicurezza, l’identità nazionale e il nostro equilibrio sociale. E quindi la paura del terrorismo, la violenza diffusa, l’integralismo religioso. Tutte motivazioni con una qualche ragione non foss’altro per le note gravi vicende che ci accompagnano periodicamente. Fatti che, finora, ci hanno miracolosamente preservati, anche se abbiano già pagato un notevole tributo di sangue in giro per il mondo.
L’argomento, mi permetto di dire, non ha alcuna attinenza con tali incresciosi fatti e con le apprensioni che questi possono destare nella pubblica opinione.
Qualche anno fa l’allora presidente Repubblica Napolitano, era il 22 novembre 2011, lanciò con forza un messaggio in questo senso rilevando la sostanziale ingiustizia nei confronti di tantissimi bambini italiani in tutto e per tutto ma non per l’anagrafe. Una situazione emblematica e paradossale. “Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione”. Ritenendo necessario inoltre “acquisire anche nuove energie in una società per molti versi invecchiata se non sclerotizzata”.
Mentre solo qualche giorno prima, durante la dichiarazione di fiducia al Governo Monti, Pierluigi Bersani incitava il Parlamento: “… abbiamo centinaia di migliaia di figli di immigrati che pagano le tasse, vanno a scuola e parlano italiano e che non sono né immigrati né italiani, non sanno chi sono. È una vergogna… non possiamo parlare solo alle tasche degli italiani, ma al loro cuore e al nostro stesso cuore che si è addormentato…”.
Infatti, si tratta di bambini nati sul nostro territorio che frequentano le nostre scuole, studiano la nostra storia, parlano e scrivono benissimo e pensano pure in italiano. Ma sono “stranieri” fino a 18 anni. E, solo se sono rimasti ininterrottamente in Italia fino a quella data, possono, entro il 19° anno, fare richiesta per ottenere la cittadinanza. È la procedura prevista dalla Legge n. 91 del 1992, che, seppure migliorata dall’art. 33 del decreto legge 69/2013, sembra immaginata per rendere difficile l’acquisizione dello status italiano.
Secondo il Corriere della Sera dell’11 maggio 2016, nelle nostre scuole ci sono 814mila alunni senza cittadinanza, ben oltre il 9% della popolazione scolastica. Un numero enorme, in costante aumento, che crea per forza di cose un evidente disagio e non aiuta all’integrazione delle relative famiglie.
In questo senso si innestano le tante polemiche sulla questione migranti e si scontrano i sentimenti profondi e più di pancia degli italiani. Saltano fuori le razioni più improbabili che chiunque si sente autorizzato a manifestare, credendosi nel giusto. E alcune motivazioni hanno effettivamente un loro senso quando riguardano possibili derive e speculazioni. Ma tutto questo riguarda la capacità degli organi statali preposti allo svolgimento di controlli rigorosi, hanno mezzi e personale adeguato per farlo.
Insomma, credo sia una questione legata a forme, a volte inconsapevoli, di eccesso di preoccupazione, e, purtroppo, di xenofobia e razzismo, che non fanno mai bene a nessuno.
Penso, sinceramente, si tratti di una discriminazione bella e buona perpetrata nei confronti di tantissimi bambini la cui unica colpa è quella di essere venuti al mondo da genitori extracomunitari. Quelle mamme e padri fuggiti, nella stragrande maggioranza dei casi, dal terrore, dalla povertà e dalla guerra. E arrivati sulle nostre coste a rischio della vita.
Proprio come oggi, venti anni fa, il 28 marzo del 1997, un fatto gravissimo accadeva nella acque internazionali tra l’Italia e l’Albania. 105 morti a causa di un “colpevole” naufragio. In un momento storico nel quale la “politica” cavalcava il sentimento contro gli invasori, quei profughi che fuggivano dalle tragedie di un paese in preda alla guerra civile e allo stato d’emergenza. Venne, quindi, evocato il blocco navale per respingere le carrette del mare, come ancora oggi qualcuno ha il coraggio e la faccia tosta di proporre. Quella sera la “Kater I Rades”, una piccola imbarcazione carica di bambini, madri, famiglie intere, venne speronata da una nostra nave militare, la Sibilla. Una gravissima responsabilità politica di quel governo e di quella catena di comando, una bruttissima pagina per l’Italia. Da non dimenticare.
Ecco, per tornare a noi, ritengo sia necessario mettere un punto alla questione cittadinanza ai bambini figli di genitori extracomunitari. Le proposte di legge ci sono e il Parlamento può, prima della fine della legislatura, e nonostante le posizioni variegate, approvare una buona legge. Che possa servire da esempio nei confronti di un’Europa chiusa in se stessa, sorda e protesa a preservare i territori attraverso vergognose barriere materiali e politiche al confine orientale. Una legge per finalmente garantire a tantissimi giovani che lo meritano un futuro da cittadini italiani veri. Il Paese ne avrà pieno giovamento.