Ciò che caratterizza la sinistra è la lotta contro la disuguaglianza

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giovanna Ponti

Intervento di D’Alema alla festa del Lavoro nel corso del dibattito su Carlo Marx

Trascrizione ammirevole di Giovanna Ponti, 23 settembre 2018

Parlare di Marx dopo 200 anni non deve sembrare una stravaganza. C’è un ritorno significativo dell’attenzione del mondo intellettuale e politico all’opera di Marx. Io sono rimasto meravigliato del fatto che  al convegno mondiale sull’attualità del marxismo organizzato dai comunisti cinesi ci fossero 50 professori provenienti dalle più grandi università americane. Quindi noi non stiamo parlando di un cane morto, stiamo parlando di un autore il cui punto di vista critico sul capitalismo è ancora attuale. Marx non era anticapitalista, il più straordinario elogio del capitalismo lo troviamo nelle opere di Marx, ma sicuramente seppe vedere il complesso delle contraddizioni che lo sviluppo capitalistico portava con sé.
La necessità di un punto di vista critico del capitalismo è tornata prepotentemente significativa, quanto meno a partire dalla crisi del 2008 che segna un punto di svolta nel dibattito culturale e che apre anche una crisi a sinistra. A partire dalla fine degli anni ottanta la sinistra ha avuto un approccio  liberale, temperato dai valori dai valori solidaristici di matrice socialista o cristiana, ma sostanzialmente un approccio liberale. Non si è trattato di un cedimento culturale, ma di una sconfitta storica. Il modello statalista sovietico è crollato dimostrando di non essere in grado di reggere il ritmo di innovazione e di sviluppo  travolgente che il capitalismo ha prodotto con uno scatto in avanti a partire dalla crisi petrolifera della prima metà degli anni settanta. Se a un certo punto anche la sinistra  cade sotto l’influenza di una visione liberale è perché il modello di capitalismo di Stato delle società di socialismo reale ha ceduto e perso una sfida storica, ed anche il modello di stato sociale di impronta socialdemocratica ha fallito.

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A occidente non ha sempre vinto il liberismo: per un trentennio a occidente ha dominato una concezione keynesiana e socialdemocratica e a oriente ha dominato il socialismo di Stato di matrice sovietica. Il neo-liberismo vince perché questi due modelli perdono: uno crolla sotto il peso della trasformazione e dell’innovazione tecnologica e l’altro non regge il passo della crescita del capitalismo globale.

Il liberismo vince e  da un certo momento in poi diventa ideologia dominante e su questo terreno si muove anche la sinistra, naturalmente cercando di offrire una versione temperata, ma sostanzialmente con un approccio di tipo liberale.

Io credo che se si torna a ragionare di Marx è perché noi siamo di fronte ad una crescente insostenibilità del modello neo-liberale, a cui tuttavia nessuno ha ancora saputo opporre un’altra visione dello sviluppo, un’altra idea del rapporto tra economia e politica. Quindi noi viviamo la crisi del neo-liberismo senza avere risposte e questa crisi genera mostri perché è chiaro che la visione nazionalistica, il protezionismo , il populismo sono tutte manifestazioni della crisi del neoliberismo, non sono manifestazioni del suo successo.

La politica dei dazi e le guerre doganali sono espressioni di una crisi drammatica a cui per ora non ci sono risposte.

E’ in questa fase che si ritorna ai classici, alla necessità di un pensiero critico non solo per vedere le criticità che sono visibili, ma per cercare delle risposte che possano aprire una nuova fase.

Nell’analisi di Marx del capitalismo, ma anche nelle analisi di Gramsci del modello fordista, si possono trovare risposte.

Gramsci in solitudine e in una posizione totalmente eterodossa rispetto alla analisi della terza Internazionale di fronte alla crisi del ’29 non solo non profetizza il crollo del capitalismo, ma cerca nella ristrettezza della sua posizione, di analizzarne le trasformazioni e di cogliere gli elementi di trasformazione e l’avvio del modello fordista..

Fino a quando la creazione di valore e quindi lo sfruttamento ha avuto come epicentro la fabbrica, il processo capitalistico ha prodotto il suo antagonista. Il soggetto del cambiamento era l’operaio-massa. Nella fabbrica si concentrava la creazione di valore e quindi lì si concentrava il conflitto.

La grande trasformazione del post-capitalismo è la dispersione. Harvey ha tematizzato la creazione di valore come processo sociale e non come processo che avviene nella fabbrica.

E’ chiaro che Marx questo processo non lo ha analizzato, ma io credo che non lo si capisca senza andare a pescare nella miniera d’ oro degli scritti di Marx. Naturalmente se lo si legge senza paraocchi, come vanno letti sempre i classici. Il terzo libro del Capitale ad esempio è fondamentale per analizzare i processi di finanziarizzazione del capitale. Nell’analisi della finanza Marx è stato molto criticato, ma la genialità della sua posizione sta nell’idea di una ricchezza che si produce in modo totalmente separato dal lavoro, cioè questa magìa del denaro che produce denaro e che in realtà nasconde una forma di sfruttamento sociale, che non è più soltanto il lavoro in fabbrica, è appropriazione, da parte del capitale, di quello che Marx aveva definito l’”intelletto sociale”, altra intuizione straordinaria . Marx dice “verrà un tempo in cui l’estrazione del plusvalore non avverrà più attraverso lo sfruttamento del lavoro dell’operaio, ma attraverso lo sfruttamento dell’innovazione che è il prodotto dell’intelletto sociale, della ricerca scientifica e tecnologica di cui il capitalismo si appropria..

Nel capitalismo classico la classe operaia  creava il  valore e questo faceva della classe operaia il soggetto della rivoluzione. Nel capitalismo globale e finanziario contemporaneo, la creazione di valore è un processo sociale, lo sfruttamento è nascosto dalla magìa del denaro che produce  denaro e in questo modo il capitalismo finanziario non produce i suoi antagonisti.

Il soggetto del cambiamento non può quindi che essere il frutto di una costruzione politica nuova.

Ora l’antagonismo è fra lavoro produttivo e finanza speculativa. Marx accenna a una fase dello sviluppo capitalistico in cui la potenza della finanza si contrappone non soltanto all’operaio, ma a tutti gli individui che sono partecipi del processo produttivo. Lui dice “dall’operario giornaliero fino al dirigente e all’imprenditore” .

Anche Gramsci in una nota di “americanismo e fordismo” parla del peso che la rendita finanziaria esercita , come elemento che comprime il salario, ma anche il profitto industriale.

Nel momento storico in cui viviamo non è un caso che questa enorme massa di capitale circolante non si traduce in una crescita degli investimenti perché la tendenza è una locazione puramente speculativa delle risorse.

Noi siamo di fronte a un grandissimo problema di potere che tocca anche la qualità dei sistemi democratici perché un mondo nel quale un numero limitato di individui possiede la stessa quantità di ricchezza della metà più povera dell’umanità (alcuni individui hanno la stessa quantità di ricchezza di più di 3 miliardi di persone) è difficile pensare che tutti abbiano lo stesso potere.

La diseguaglianza mina la democrazia . Nel libro di Stiglitz “il prezzo della diseguaglianza” l’autore sostiene che la democrazia americana ha cessato di essere quella dei padri fondatori, in cui ogni testa era un voto. Oggi siamo in un sistema dove ogni dollaro è un voto. La forza del denaro svuota la democrazia.

Noi abbiamo sempre considerato la critica della democrazia formale di Marx  uno degli aspetti più caduchi del suo pensiero, soprattutto per le conseguenze nefaste che ha avuto perché il rifiuto della democrazia formale ha condotto al partito unico, alla dittatura del proletariato, ad aberrazioni e quindi abbiamo sempre cercato di dire che le regole formali della democrazia sono importanti.

Occorre però ammettere che nella critica marziana c’era un elemento di verità: senza un certo grado di inclusione sociale la democrazia si svuota dei suoi contenuti. Pur rimanendo formalmente rispettata, il controllo dell’informazione, la manipolazione dell’opinione dei cittadini, l’assenza di una cultura critica diffusa, la sproporzione dei mezzi a disposizione svuotano la democrazia. Noi viviamo in democrazie invertebrate, senza soggetti. Noi abbiamo vissuto in una democrazia innervata su partiti, sindacati, soggetti che erano portatori di una progettualità che andava al di là del risultato delle prossime elezioni.

E’ la crisi di questo sistema di organizzazione della democrazia che rischia di trasformare la democrazia in una perenne roulette elettorale, nella democrazia dei sondaggi che alla fine rendono la nostra democrazia uno dei sistemi meno competitivi. La forza della Cina è anche nella stabilità della classe dirigente e quindi nella possibilità di costruire un progetto di lungo periodo. Quel sistema consente anche una selezione della classe dirigente, mentre il livello intellettuale della dirigenza occidentale è preoccupante.

Il decadimento del dibattito pubblico, il prendere piede dell’ignoranza e della demagogia sono elementi diffusi nella nostra democrazia. Tutto ciò è seriamente preoccupante.

La soluzione non è eliminare la democrazia naturalmente, ma ridarle un nerbo affinchè non si afflosci su se stessa. Noi oggi assistiamo a dei fenomeni di rivolta popolare, il populismo rappresenta anche questo. E’ una rivolta che si rivolge contro i mercati, contro le burocrazie dell’Unione Europea, perché non c’è dubbio che l’egemonia neo- liberista ha avuto un effetto pervasivo sul progetto europeo e lo ha fortemente condizionato fino a svuotarlo di una parte dei suoi valori, e contro gli immigrati.

Il risultato è che alla fine, siccome contro i mercati e l’Europa non si vince, gli unici bastonati sono gli immigrati.

Una sinistra che vuole tornare a contare deve avere la consapevolezza di quanto è complessa la sfida nei confronti del dominio del capitalismo finanziario, perchè i mercati fanno male, e fanno male alle persone normali.  Se io decido una politica sociale che i mercati non accettano e si alza il tasso di interesse, io non ho più i soldi per fare le strade, le scuole, gli ospedali, crescono i tassi di interesse sui mutui e alla fine l’effetto boomerang è micidiale.

Noi come sinistra di governo abbiamo lavorato su margini molto ristretti però abbiamo fatto scelte precise. Abbiamo spostato risorse verso la sanità pubblica e verso la scuola. E’ vero, abbiamo privatizzato, ma, in un’epoca in cui l’imposizione era privatizzare tutto, abbiamo difeso il sistema pubblico dell’educazione, della salute e abbiamo difeso alcuni fondamentali del Paese: l’energia, le tecnologie avanzate..

Il pensiero di sinistra oggi mette l’accento sull’esigenza di una svolta che difficilmente può avvenire soltanto in un ambito nazionale. La sfida è quella di un primato della politica che, anziché rimuovere i vincoli come avveniva nel passato, ristabilisce un controllo

Il più bel programma della sinistra è il documento conclusivo del G20 di Londra scritto da Gordon Brown all’indomani della crisi finanziaria del 2008.

C’è scritto tutto: dalla lotta ai paradisi fiscali alla tassazione sulle transazioni finanziarie ed è stato scritto dai capi di governo dei 20 Paesi più ricchi del mondo . Ebbene di quel documento non si è realizzato nulla. E questo è impressionante perché testimonia l’impotenza della politica di fronte alla forza dell’economia globale.

Molti problemi richiedono risposte che vanno molto al di là dei limiti della politica di una  Nazione. Il modello socialdemocratico, che è stato un modello redistributivo, ha avuto come cardine fondamentale l’equità fiscale, la progressività dei sistemi fiscali . Oggi la progressività di sistemi fiscali non funziona più perché le rendite da capitale sfuggono alla fiscalità, si muovono nell’iperspazio dell’economia mondiale. Uno studio dimostra come la pressione fiscale sui redditi accertabili fino a un certo livello cresce, quando si arriva ai redditi più alti la pressione fiscale scompare perché il capitale finanziario sfugge al controllo nazionale. Lo studio arriva a pensare di creare un’autority mondiale per la tassazione della rendita finanziaria.

Insomma la dimensione delle questioni è questa. La ripresa di un’azione politica in grado di incidere in modo significativo sui nuovi equilibri che il capitalismo mondiale ha determinato è sovranazionale.

Naturalmente non significa che non ci siano margini di azione a livello nazionale, ma questo tema, che Gramsci aveva descritto in modo breve ma mirabile “ ci troveremo sempre più davanti alla contrapposizione fra il carattere cosmopolitico dell’economia e il carattere ristrettamente nazionale della politica” è il tema fondamentale.

Il sovranismo è una risposta regressiva e persino pericolosa, ma diciamolo risponde a un’esigenza reale, l’esigenza di un ritorno di controllo, di ritorno di sovranità, di un ritorno di padronanza sui progetti economici e sociali. Certo la risposta nazionalistica è destinata a non funzionare, ma non possiamo aspettare che fallisca. Siamo chiamati con una certa urgenza  a definire una piattaforma che sia al tempo stesso nazionale e internazionale, europea e globale, in grado di rimettere in movimento un’azione politica e di coalizzare forze. Dobbiamo però riconoscere gli elementi di verità che ci sono nelle posizioni di chi ha vinto. Non sarà l’esercizio retorico e rumoroso  dell’opposizione a restituire forza alla sinistra. La forza dell’opposizione non è data dal numero di dichiarazioni che fai, l’opposizione è forte se è in grado di indicare una prospettiva e per indicare una prospettiva devi capire perché hanno vinto gli altri, non puoi pensare che hanno vinto perché i cittadini si sono sbagliati. Gli altri hanno vinto perché hanno dato delle risposte sbagliate e  regressive a dei problemi però  reali. E la sinistra deve ripartire dando risposte persuasive ed efficaci a quei problemi reali.

Noi abbiamo subito un colpo tremendo perché nel momento in cui si apriva una crisi  del mondo neo-liberista e del pensiero liberale, le sinistre che hanno percepito questa crisi e che hanno quantomeno recuperato il senso della loro funzione e un rapporto con il loro popolo (penso all’Inghilterra, al Portogallo e ad altri Paesi) hanno dimostrato maggiore vitalità. Noi invece abbiamo conosciuto il paradosso assurdo che mentre entrava in crisi il capitalismo neo-liberale, noi vivevamo in una sorta di tardo blearismo.

Il blearismo sarà giudicato dalla storia, ma è innegabile che sia entrato in crisi all’inizio del duemila. Averlo voluto ripercorrere in Italia vent’anni dopo è stata un’operazione innanzitutto culturalmente sbagliata e con gli effetti politici dei risultati del 4 marzo.

Oggi bisogna ripartire da quello che Bobbio, nel momento in cui crollava il comunismo e in lui era grande la preoccupazione che tale crollo non distruggesse la sinistra, scrisse “ciò che caratterizza la sinistra è la lotta contro la disuguaglianza” e io penso che da qui, molto banalmente, bisogna ripartire.

Combattere le disuguaglianze in tutte le forme in cui si presentano e tornare a mettere al centro il lavoro.

Dobbiamo tornare in mezzo alle persone e scoprire, attraverso l’indagine sociale, l’ingiustizia laddove essa si genera per organizzare la lotta contro quella ingiustizia. E’ un’attività semplice, e l’unica da cui ripartire.

 

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