Chiudiamo le Regioni. La Madre di tutte le riforme

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Armando Pupella
Fonte: PoliticaPrima.it
Url fonte: http://www.politicaprima.com/2014/11/chiudiamo-le-regioni-la-madre-di-tutte.html

di Armando Pupella – 27 n0vembre 2014

A parte la repubblica di tangentopoli e privilegiopoli, ex Repubblica Italiana, gl’italiani stanno iniziando a capire che i 20 costosissimi consigli regionali speciali e ordinari sono superflui, contribuiscono a tenere alta la pressione fiscale, e a impedire al made in Italy la competitività sul mercato nazionale e globale. È risaputo che senza competitività ci sono disoccupazione, miseria decadenza economica-morale-sociale, aumento di reati, furti, truffe, rapine imbrogli, suicidi di disoccupati e imprenditori che continuano da ben 25 anni.

Lira OscarNegli anni sessanta del secolo scorso, dopo il disastro bellico, l’Italia realizzò il miracolo economico, senza le regioni ordinarie; purtroppo c’erano già le regioni speciali. Ma c’era pure il Senato e il bicameralismo perfetto. In quegli anni Catania era la Milano del Sud e, nel 1960, la lira vinse l’Oscar Mondiale come moneta più forte; oggi non ci sono i dollari del Piano Marshall di allora, ma il risorgimento economico è possibile ridimensionando spropositati privilegi, eliminando sprechi e la spesa pubblica asociale e improduttiva, iniziando da tutte le 20 regioni.

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Proprio qualche giorno fa il 3 novembre 2014 la Corte dei Conti ha pubblicato una relazione sull’allegra gestione dei bilanci da parte delle regioni e sulla loro strana contabilità. Tutti i maggiori quotidiani hanno titolato più o meno così, “Corte dei Conti: le Regioni truccano i bilanci”. Tanto per rincarare la dose sulle malefatte di buona parte della classe politica che ha approfittato di tutto e le ha ‘governato’ negli ultimi anni.

Nelle elezioni regionali di domenica 23 novembre 2014 in Calabria e in Emilia Romagna gli elettori hanno disertato in massa le urne. Solo il 37% in Emilia e il 44% in Calabria. Iniziò la Sicilia, laboratorio politico sin dai primi anni del Risorgimento, dove, nelle elezioni del 28 ottobre 2012, votò il 47,41% degli elettori; identico fenomeno si verificò pure alle ultime elezioni in Basilicata.

PECCATO! Se al posto delle quattro elezioni, per ipotesi, fossero stati indetti dei referendum per confermare l’esistenza delle regioni, avremmo eliminato d’un sol colpo il costo politico-strutturale-burocratico che grava sulla competitività delle aziende e dei lavoratori; ben presto tutti gli altri italiani avrebbero seguito l’esempio di quelli di Sicilia, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna. PECCATO!

regione_lazioUn errore, invece, eliminare le Province, gestiscono un territorio più piccolo e sono la miglior forma di autonomia locale. Basta ridurne il numero, 110 sono effettivamente troppe. I piccoli Comuni con i centri abitati contigui e vicinissimi è, invece, economico unirli. I soldi non vanno sperperati in poltrone ed enti superflui, ma per difenderci dalle annuali alluvioni e dai frequenti terremoti. Il Giappone, per esempio, ‘balla’ molto più dell’Italia, ma le conseguenze non sono disastrose come da noi.

E quindi, meglio eliminare tutte le regioni ordinarie, speciali e specialissime. A cominciare da quella siciliana che fu estorta allo Stato col separatismo. L’iniziativa del Governo Centrale fu giusta per evitare il secessionismo. Con le elezioni politiche dell’aprile 1948 (maggioranza assoluta alla Democrazia Cristiana) finì la paura. La Regione avrebbe potuto essere un’opportunità per la Sicilia, invece così non è stato.

Nel 1896, i nostri bisnonni, pala piccone e senza dollari, costruirono in meno di un anno i 75 Km circa dell’acquedotto di Scillato, la sorgente d’acqua buonissima che ha dissetato Palermo per tanti anni. Ma che per una frana avvenuta cinque anni fa è tuttora inutilizzato. E ogni giorno buttiamo a mare 700 litri al secondo di acqua ‘minerale’.

diga_rosamarina_caccamo1_NPer costruire la diga Rosamarina, di Caccamo, ente finanziatore la Regione Siciliana, ci vollero 40 anni; i lavori venivano interrotti per mancanza di soldi che si trovavano per la cassa integrazione agli operai per non fare la diga. Completata finalmente la diga di Penelope, l’acqua veniva scaricata nel fiume S. Leonardo e finiva a mare.

Per fronteggiare l’emergenza idrica, il Comune di Palermo mise in diverse piazze degli enormi silos d’acciaio dai quali la gente prendeva l’acqua con dei bidoncini. Dopo 10 anni, e siamo a 50 anni dall’inizio dei lavori, in 45 giorni e una spesa irrisoria, l’acqua della diga arrivò a Palermo. Grazie al Governo di Roma che fece collocare la tubazione al Genio Militare! Roma ladrona? Roma sarà anche ladrona (630 Deputati e 315 Senatori sono troppi) ma tutte le 20 regioni mica coglioneggiano!

 

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