Chiara Saraceno: Abusi nell’università, quei silenzi colpevoli

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Chiara Saraceno
Fonte: La stampa

Chiara Saraceno: Abusi nell’università, quei silenzi colpevoli

Può dispiacere, ma non stupire che anche l’università sia un luogo in cui avvengono molestie sessuali sia tra pari – tra studenti, tra colleghi/e – sia in rapporti di potere asimmetrici, come quelli tra professori e studenti, tra chi è alto in grado e chi è in posizione subordinata. Come documentano i dati, le molestie sessuali, come la violenza di genere, sono trasversali ai ceti, alle professioni, ai livelli di istruzione. Avvengono in fabbrica come in un ufficio, tra chi si occupa di pulizie come in una redazione di giornale o in università, possono perpetrarle braccianti, caposquadra, capufficio, come medici, giornalisti, psichiatri, professori universitari. Il fatto è che per troppi uomini, anche tra pensosi e rispettati intellettuali, prendersi qualche libertà sul corpo di una donna a parole o anche nei gesti, sembra cosa normale, un gesto di apprezzamento, o uno scherzo cui le donne dovrebbero sottostare con buona grazia o almeno con pazienza. È sempre successo, ahimè. La novità è che un numero crescente di donne non ha più voglia di essere paziente e di decodificare come gesto scherzoso o goliardia innocua ciò che le umilia e le offende.

È positivo, quindi, che da Torino e dalla sua università sia partita la protesta delle studentesse, allargandosi anche ad altre università, anche se è un po’ paradossale che l’elemento scatenante, la miccia che l’ha accesa, sia stata la coincidenza di due decisioni prese dall’autorità universitaria contro due professori dopo aver ricevuto e valutato le denunce nei loro confronti, quindi un atto di ascolto e presa in carico, non un atto di indifferenza o rifiuto. L’Università di Torino, infatti, ha una lunga tradizione si sensibilità a livello istituzionale rispetto alla questione delle molestie e della violenza sessuale stimolata da un lavoro capillare e continuo di molte docenti e di parte del personale amministrativo. È nato lì, tra i primi in Italia, . un centro universitario di studi sulle donne e sul genere, che oltre a sostenere l’attenzione per le differenze e diseguaglianze di genere nelle diverse discipline, ha anche promosso diverse iniziative sia di ricerca sia di sensibilizzazione sul tema delle molestie e della violenza. Per iniziativa del Compitato di Pari Opportunità, già da metà degli anni Novanta è stata istituita la figura della Consigliera di fiducia, cui può, rivolgersi chi si ritiene vittima di molestie o violenza, al fine di valutare insieme come procedere, nel pieno rispetto dell’anonimato e della decisione finale della vittima. È stata anche una delle prime università a istituire la possibilità di una “carriera alias” per chi si trova in situazione di transizione nell’appartenenza di genere. Nel 2019 è stato aperto in via sperimentale uno sportello anti-violenza, cui possono rivolgersi coloro che desiderano trovare un sostegno nell’affrontare anche psicologicamente la situazione. Ha anche messo a punto un piano per la parità di genere, di cui uno dei punti è il contrasto alla violenza di genere. Eppure tutto questo non basta né per contenere molestie e discriminazioni, né per rafforzare la fiducia delle studentesse (ma anche del personale amministrativo e delle docenti) nella capacità dell’istituzione di ascoltarle e proteggerle se decidono di denunciare.

Il numero di chi si rivolge alla consigliera di fiducia per denunciare è esiguo rispetto a ciò che si sussurra nel passa parola e all’ampiezza del fenomeno denunciata nella protesta. E senza denuncia, ovviamente fondata, non ci può essere intervento puntuale. Parlando con le varie persone responsabili dei diversi pezzetti del sistema si ha l’impressione di un coordinamento ancora imperfetto ed anche di un‘inadeguata informazione alla popolazione universitaria delle risorse disponibili, delle procedure che si possono mettere in atto, del livello di protezione che garantiscono. Inoltre, per quanto ciò possa irritare docenti di ogni livello che si credono adeguatamente formati e civili, appare sempre più necessaria anche all’università e tra i docenti, non solo a Torino naturalmente, un’opera di educazione ai rapporti uomo-donna rispettosi, qualunque sia la relazione gerarchica, anzi, tanto più quando questa è asimmetrica a sfavore della donna.

 

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