Chiacchere, sfrappole e nacchere. Il lato barocco della decisione. Cioè la democrazia

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

Chiacchere, sfrappole e nacchere. Il lato barocco della decisione. Cioè la democrazia (con una postilla sul leninismo).

Lo dico con cognizione di causa, perchè per mestiere ho lavorato in tutti gli step che dirò.

Nei ’60 era il tempo dei ‘comitati per la programmazione’, spesso propedeutici alla riforma regionale. Nei ’70 si chiamavano ‘conferenze economiche’. Le facevano i comuni, le province, le regioni. Soprattutto dove era al potere il Pci, che le faceva anche di suo. Una vera e propria religione politico-culturale. Fare analisi, confrontare visioni strategiche, mobilitare attorno alle istituzioni le forze sociali e le categorie. Una grande e assidua ginnastica di piano. L’elaborazione-auscultazione propedeutica alla cd. ‘programmazione democratica’. Ultima configurazione democratica della filosofia della pianificazione della via italiana al socialismo.

Dagli ’80 ai ’90 è stata la volta della ‘pianificazione strategica’ ultimo aggiornamento della stessa filosofia, questa volta con l’ausilio di più sofisticate epistemologie della governance, con la mobilitazione non solo delle forze sociali e istituzionali ma anche della partecipazione spontanea e associativa. Patti sociali, schemi direttori (specie in campo urbanistico), piani strategici. Vasti e partecipati processi istruttori destinati a condensarsi in progetti di indirizzo attorno a idee condivise. Massimamente in occasione di crisi strutturali evidenziate dalla de-industrializzazione, grandi eventi (emblematico il caso delle Olimpiadi di Barcellona diventato caso di scuola), progetti di grandi opere. Il neo-corporativismo, cioè le triangolazioni fra governo e forze sociali, è stato il sedimento della fase finale dei ‘trenta gloriosi’, anche fatto segno di critiche perchè marginalizzava le istituzioni rappresentative (come i parlamenti). Sminuendo il lato politico della democrfazia a vantaggio di quella sociale degli interessi. Ovunque e comunque la sinistra al governo’, dagli enti locali all’Europa, passando per gli stati nazionali, ha fatto proprie queste procedure, facendone il modello di governance lungo il cammino della ‘terza via’. Fra il piano e il mercato. Fra la partecipazione democratica concorsuale e il management.

Utili, inutili, passerelle, barocchismi, idee evolute, potenziamento delle decisioni ? Ah saperlo. Certo ci sono le documentazioni agli atti, più spesso splendidi volumi (io ho partecipato, nel mio piccolo, alla stesura di un tot di questi tomi) la cui lettura permette di cogliere importanti informazioni in sede di analisi storica. Analisi, documenti, culture politiche, scenari d’epoca, pensieri applicati a modelli di società. In realtà le decisioni effettive raramente sono state l’applicazione degli indirizzi elaborati in sede consultiva e istruttoria. Perchè le decisioni concrete agiscono sempre sotto lo stato di necessità (se non d’eccezione), ex-post rispetto alle sfide, le crisi, le occasioni, non del progetto elaborato ex-ante. L’incrementalismo scollegato (nella disciplina il ‘disjointed incrementalism’) è la regola. Il pragmatismo obbligato. Cionondimeno l’accumulo di sapere che le procedure concorsuali mettono in moto non è insignificante. Qualcosa necessariamente si deposita nelle decisioni, quantomeno escludendone alcune. Una sorta di filtro con maglie molto larghe. Un faux frais del processo decisionale, un costo improduttivo, ma in qualche modo necessario per inscrivere le decisioni in un pensiero in qualche misura tracciabile.

Gli ‘Stati generali’ convocati da Conte, al di là dell’enfasi riposta nello slogan, sono un tentativo di rilancio di questa ‘tradizione’. Che nella povertà della politica cabaret e nella melassa demolitoria lasciata dal ciclo dell neo-liberismo è comunque qualcosa di nuovo (anzi d’antico). La crisi stessa richiede di mobilitare idee, confronti, posizioni. Arriveranno grandi finanziamenti, come nelle Olimpiadi di Barcellona. In questo contesto stupisce la refrattarietà di forze (come il Pd) che di quella tradizione dovrebbe essere l’erede naturale. Per non parlare della richiesta di decisione e fattività immediata ad opera delle marionette del teatrino politico. I chiaccheroni e i propagandisti in servizio permanente effettivo che imputano agli altri di non fare niente. Scioperati della politica. Tante piccate reazioni a una procedura in sè non meno che doverosa, non si spiegano altrimenti che così: non aver nulla da dire oppure non conoscere altro approccio che la potenza predatoria. Mettere le mani sul malloppo ex abrupto. Facendo del governo il proprio comitato d’affari.

In sintesi: le chiacchere servono. Sono i pensieri in forma vocale o documentale. Non c’è democrazia senza chiacchere. Il Piano Colao è una chiacchera utile. Perchè rivela un approccio e una filosofia: un surrettizio tentativo di riprendere la narrazione neo-liberista. Una chiacchera sul tavolo. Ne occorrono altre, ed è augurabile che le ‘decisioni’ ne tengano conto all’atto del ‘che fare’. Il leninismo, la soluzione concreta alla situazione concfreta, fu la forma suprema di una grande chiacchera. Quella della rivoluzione (e poi della NEP). Per quel che vedo in giro, per quanto pallida e incerta sia la figura, l’unico leninista che vedo chiaccherare come si deve, cioè non per dare aria alla bocca, è Giuseppe Conte.

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