di Alfredo Morganti da facebook
La prima cosa che viene da pensare è che non ci siano più i conservatori di una volta, se è vero che tutti vogliono le riforme e tutti invocano il cambiamento (appare secondario, per ora, che le riforme intanto non si facciano affatto). L’intero arco dello schieramento politico (e sociale) è proteso nell’immane compito di ‘cambiare’, come se questo stato di cose davvero non piacesse proprio più a nessuno, e anzi se ne scontassero tutti i limiti e i difetti obsoleti. È un mondo intero che vuole il ‘nuovo’, che mette l’innovazione al di sopra di tutto, come se, in tutto ciò che si ostinasse ancora a permanere, si annidasse davvero la nostra colpa più antica.
È vero, il mondo cambia anche se noi lo volessimo trattenere. In questi ultimi dieci, venti anni sono successe tante e tali cose da restare sbalorditi ad elencarle. E allora bisogna essere all’altezza dei cambiamenti, dicono tutti. Bene. Ma al cambiamento si deve necessariamente rispondere con un parallelo cambiamento indiscriminato, frettoloso, fugace? Un cambiamento ‘a specchio’? Oppure tentare di riequilibrare i sommovimenti indotti dalla storia, con misure che facciano anche da contrappeso? Il compito della politica è farsi trasportare dal vento dei cambiamenti sociali o reagire, dove serve, a questi cambiamenti, tutelando le povertà indotte, salvaguardando gli sconfitti, ridistribuendo le ricchezze a chi ne è stato ingiustamente spogliato per responsabilità non sue? La politica deve stare sempre dalla parte dei vincenti, di chi cavalca il cambiamento sociale, di chi sta sul carro dei vincitori? Oppure introdurre giustizia sociale, laddove questa viene dilapidata da chi controlla e impugna effettivamente la cloche dei cambiamenti?
La grande politica non è quella che innova pedissequamente e in parallelo alle innovazioni già introdotte dal sistema mondiale o da quelli locali. La grande politica non è codina. Semmai sale al timone e corregge laddove c’è da correggere, tutela dove c’è da tutelare, chiama tutti a porre rimedio alle ingiustizie palesi. E così facendo spinge per trasformare concretamente lo scenario, i rapporti di forza, l’apparente stabilità sociale. È la politica degli amministratori, invece, quella che chiede ‘riforme’ solo per essere più competitivi sui mercati mondiali. Solo per essere in ‘linea’ con le scelte già fatte altrove. Ma che, per fare ciò, sacrifica intelligenze, dignità, risorse, speranze dei più umili, degli ultimi, di coloro che sono destinati soltanto a ingigantire il pubblico dei media e a portare il loro contributo a perdere alla causa dei soliti vincenti. Il popolo a cui tutti inneggiano, in fondo, è quello disposto a portare diligentemente la borraccia dell’acqua al ciclista in fuga di turno. Senza nulla a pretendere.
Sarebbe il caso che al vento del cambiamento succedesse finalmente il vento della trasformazione. Che il cambiamento contemplasse anche un cambiamento di stato, di situazione, di rapporti di forza, l’introduzione di una maggiore giustizia sociale. Altrimenti il mondo ‘cambiato’ sarà sempre contrassegnato da una frattura verticale, insormontabile. Sarà sempre meno coeso, sfilacciato, frammentato. Meno giusto insomma, alla faccia di chi si schiera a sinistra. Dove scorgi buone ‘performance’ di questo o quel premier o ministro, ma mai un passo avanti effettivo, un’incrinatura dello stato di cose. Il punto è: se la trasformazione è un compito immane e complesso, così come sempre più vasto e articolato appare il mondo che cambia sotto i nostri occhi. E se si tratta di una sfida vera, non chiacchiere da talk show. Allora, questo personale politico ne sarebbe effettivamente all’altezza? Questa politica, dico, queste culture politiche. Oppure disponiamo soltanto di (bravi, in taluni casi) amministratori, comunicatori, narratori, performatori ai quali, però, non possiamo chiedere di più che tentare di stare al passo dei grandi ‘cambiamenti’ che non decidiamo, né siamo in gradi di supportare, talché oggi appare indiscutibile come siano la finanza, la tecnica, la comunicazione a impugnare la barra del comando e a indicare a tutti la strada, dal Pakistan alla California. Una strada, ovviamente, che non è la nostra. Ma quella di ‘lor signori’, come diceva Fortebraccio. Ecco il punto, ecco il cono di luce che indica con precisione da orafo lo stallo attuale della sinistra.