Chagall, l’empatia e i concetti fascisti di arte e famiglia

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“Nel primo libro scritto su Marc Chagall nel 1918, si trova una considerazione particolarmente significativa: “Si può capire Chagall solo attraverso l’empatia”[1]Non stupisce che nel tentativo fascista di ridurre la famiglia ad una fucina di militanti sottomessi, i sentimenti e le loro rappresentazioni artistiche non fossero non solo compresi ma neppure tollerati”. (dal libro “VOLEREMO VIA. Con Marc Chagall trabellezza, amore, odio e indifferenza”)

“[…] La prospettiva nazista e il concetto totalitario dell’arte quale “potente arma di lotta” e mezzo per “educare le masse nello spirito”, fu rilanciata dal fascismo in Italia  e si diffuse parallelamente al progressivo affermarsi della violenza razzista, che esplose in tutta la sua virulenza nel 1938[2]. In quell’anno “nonostante l’ideologia del razzismo italiano fosse ancora in costruzione, il regime già la esibiva da una vetrina sfavillante: quella di un nuovo quindicinale, ‘La difesa della razza’”[3].

Il periodico fu pubblicato per la prima volta il 5 agosto 1938, poche settimane dopo la diffusione a mezzo stampa del documento sottoscritto da 10 “scienziati” fascisti intitolato Il fascismo e i problemi della razza, più comunemente noto come il Manifesto della razza.

La stretta continuità tra Il Manifesto e “La difesa della razza” era rilevabile già dall’editoriale al primo numero, scritto dal direttore Telesio Interlandi, in cui si affermava: “Questa rivista nasce al momento giusto. La prima fase della polemica razzista è chiusa, la scienza si è pronunciata, il Regime ha proclamato l’urgenza del problema”[4].

L’antropologo fascista Lido Cipriani, firmatario del Manifesto e redattore della rivista, in quei giorni ne spiegava nei seguenti termini la funzione al ministro della cultura popolare Dino Alfieri: “per agire sulle masse italiane in senso razzista occorrerà ricorrere a mezzi molto elementari, che parlino anche agli intelletti più semplici, colpendone la fantasia e possibilmente il cuore”[5].

Colpire, però, non bastava, bisognava, al contempo, anestetizzare la sensibilità individuale, eliminando ciò che facendo emozionare e sognare, poteva aprire spiragli su una società e un mondo diversi. 

Non stupisce, quindi, la condanna di tutte le espressioni artistiche non riducibili all’interno del disegno totalitario razzista che il periodico, in un articolo a firma G. Pensabene, così inquadrava: “Uno degli aspetti più caratteristici del disordine artistico al quale assistiamo è senza dubbio questo […] non solo l’arte staccata dalla nazione, non solo staccata dalla società: ma ormai apertamente contro di entrambe mirando a colpirle nella famiglia che ne è la base”[6]

Per mostrare, poi, ai lettori un esempio di quest’arte immorale che attaccava la società e la nazione, colpendone la base costitutiva, ossia la famiglia, fu scelto, tra gli altri, il quadro Il compleanno di Marc Chagall, accompagnato dalla seguente didascalia: “L’amore concepito da un ebreo educato in Francia alla pittura”.

Una rappresentazione tra le più poetiche del sentimento che unisce due persone, un’opera che parla di amore, di vita e di futuro, trasformata nello spauracchio di un rapporto che mina, perverte e colpisce la società.

[…]

Nel primo libro scritto su Marc Chagall nel 1918, si trova una considerazione particolarmente significativa: “Si può capire Chagall solo attraverso l’empatia”.

Non stupisce che nel tentativo fascista di ridurre la famiglia ad una fucina di militanti sottomessi, i sentimenti e le loro rappresentazioni artistiche non fossero non solo compresi ma neppure tollerati.

Al propagarsi del razzismo totalitario sembra essersi accompagnata una progressiva e generale atrofizzazione della capacità di vedere, sentire e comprendere.

L’indifferenza e il cinismo verso la sorte dell’altro sono alimentati, spesso, da una narrazione miseramente e strumentalmente manipolatoria e, inevitabilmente, determinano un impoverimento non solo della nostra dimensione umana e sociale, ma anche della nostra capacità di sognare e vedere la bellezza della vita, come quella di un quadro.

Discorsi d’odio, pregiudizi e logiche discriminatorie contribuiscono alla diffusione di quest’arida narrazione, cui è importante resistere e non rassegnarsi, ripartendo dalla capacità di sperare, di immaginare e di riscoprire un sentire e un’umanità comuni, in cui ritrovarsi e da cui cominciare a costruire insieme una società più libera, sicura e giusta per tutti”.

Qui la presentazione e il percorso per immagini del libro (dipinti e documenti).

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