Fonte: Lucia Del Grosso
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Lucia Del Grosso – 24 novembre 2014
C’era una volta un Paese in cui i partiti prima di tutto esistevano e poi, ogni volta che si svolgevano le elezioni, subito dopo facevano l’analisi del voto. In caso di vittoria e di sconfitta, non aveva importanza, senza analisi del voto non si andava avanti. Si mettevano a confronto tutti i dati disaggregati per componente territoriale, sociale, anagrafica e poi si faceva “sintesi”. Per sintesi non si intendeva il racconto stringato delle elezioni, ma una lettura profonda per dare senso al responso delle urne.
Ora c’è twitter e l’analisi del voto è: “Male affluenza, bene risultati: 2-0 netto. 4 regioni su 4 strappate alla dx in 9 mesi. Lega asfalta forza Italia e Grillo. Pd sopra il 40%”.
Che non solo non è uno sforzo di cogliere un qualche senso da queste elezioni, ma contiene pure una colossale fesseria: non mi risulta che l’Emilia Romagna fosse governata dal centrodestra, Vasco Errani ha dovuto fare un telegramma a Renzi: “Socmel, là ci stavo io”.
Ma se la priorità è solo fare un tweet non importa quanto rispondente alla realtà, deve solo invogliare il retweet, figuriamoci se l’affluenza alle urne può essere un argomento di discussione.
E difatti, se lo si affronta proprio perché non se ne può fare a meno, tutto è tranne una discussione, con qualche fesso che arriva a dire che la colpa è della CGIL gufona.
Caro fesso che ti cimenti invano in quello sforzo di intelligenza che è l’analisi del voto, quel deterrente alle urne che attribuisci semplicisticamente al malocchio degli oppositori si chiama conflitto sociale e ha effetti sull’affluenza al voto in base a questo meccanismo: ci sono pezzi di società che sono in conflitto tra loro e chiedono rappresentanza nelle Istituzioni ai partiti. Se un pezzo di società non si sente rappresentato da nessun partito non va a votare. Semplice. Ed è esattamente quello che è successo: rispetto alle Europee il PD ha perso il 30% dei suoi voti, ha dilapidato in soli 6 mesi un bel pezzo di rappresentanza.
Non solo, c’è da chiededersi anche se per caso non si tratti per niente di un errore di sopravvalutazione del grado di fedeltà dell’elettorato, ma sia addirittura un effetto voluto: dato che comunque si vince, perché non liberarci di questa zavorra, emarginandola anche come base elettorale e limitandone di conseguenza la partecipazione alla vita politica? No, perché come si concilia la partecipazione delle masse con il modello autocratico del combinato disposto della Riforma del Senato e dell’Italicum? Come si accordano le istanze del lavoro, che sono necessariamente di parte e conflittuali, con il Partito della Nazione che pretende di inglobare ogni pezzo di società in uno spazio neutro tenuto assieme dalla retorica del fare e del futuro e della speranza?
Meglio astenersi dall’analisi del voto: si scoprisse che lo spazio del Partito della Nazione tanto neutro non è e che alla fine c’è sempre chi perde. E non va a votare.