di Stefano Fassina – 18 settembre 2016
Caro Pisapia, il centrosinistra è morto
Sono preoccupanti le posizioni espresse da Giuliano Pisapia oggi nell’intervista a Repubblica. Sono preoccupanti nel merito del referendum costituzionale e lo sono anche per l’idea di politica espressa. E sono preoccupanti anche per la fase costituente di Sinistra Italiana di cui Giuliano Pisapia è considerato partecipe, almeno con il cuore, come ha detto a Pescara alla nostra Festa Nazionale qualche settimana fa. Come già emerso nella campagna elettorale per le elezioni amministrative di giugno scorso, Sinistra Italiana continua a esprimere un profilo contraddittorio, ambiguo, tra autonomia e subalternità al Pd, senza riuscire a definire le sue, specifiche, ragioni fondative.
Innanzitutto, Giuliano Pisapia dovrebbe informarsi meglio: non “è stato il Parlamento a chiedere la riforma” Renzi-Boschi. Il Parlamento è stato sistematicamente marginalizzato dal Governo nel percorso di approvazione delle revisioni costituzionali, grazie anche alla funzione svolta dal Presidente Napolitano. Ricordo che, nelle principali sedute di approvazione dei testi, le camere sono state abbandonate dalle opposizioni. Ricordo anche che, fatto senza precedenti, il Pd sostituì in Commissione Affari Costituzionali della Camera 10 componenti, tra i quali l’ex Segretario Nazionale Pier Luigi Bersani per evitare emendamenti al testo voluto dal Governo.
La revisione costituzionale non mette in pericolo la democrazia, dice l’ex Sindaco di Milano a Giovanna Casadio. A parte la valutazione discutibile, pongo una domanda: noi dobbiamo contrastare un intervento di manomissione della Costituzione soltanto quando vi è un conclamato pericolo per la democrazia? Neanche per Victor Orban in Ungheria vi è unanime lettura di pericolo per la democrazia. Oppure, nostro compito è respingere gli interventi che restringono gli spazi di partecipazione democratica? È un dato oggettivo la marginalizzazione dei cittadini nella scelta dei senatori. È un dato oggettivo l’indebolimento delle funzioni di garanzia determinato dalla revisione del Senato. È un dato oggettivo la moltiplicazione e la farraginosità delle procedure legislative previste.
Giuliano Pisapia, inoltre, si iscrive al club di quelli che “se cambia l’Italicum allora voto si”. Si rendono conto costoro del senso delle loro parole? Se oggi il Presidente del Consiglio cambia la legge elettorale nel senso desiderato, ma domani arriva qualcun altro al Governo che, sulla base del “precedente” offerto dal governo Renzi, con un voto di fiducia torna all’Italicum o simili? Il combinato disposto Italicum-revisione costituzionale rileva e aggrava i problemi, ma la revisione costituzionale merito un No in sè. E legge elettorale è una legge ordinaria.
Infine, in merito all’unità del centrosinistra. Giuliano Pisapia continua a minimizzare: “ci si può dividere su singole scelte, ma bisogna avere lo sguardo lungo” tra “persone che hanno la stessa storia e gli stessi valori”. “Singole scelte”? In quello che è stato il centrosinistra, vi sono posizioni opposte su tutti i punti cardine di cultura politica e di programma: dalla Costituzione alla rilevanza democratica del dialogo sociale, dal lavoro alla scuola pubblica, dalle tasse alle trivelle, dal servizio pubblico radiotelevisivo alla Sanità. Si pensa che gli elettori siano intendenza che segue? Segnalo che il problema non è mettere d’accordo un ceto politico terrorizzato dalla possibilità di perdere il posto di lavoro. Il problema è riconquistare il nostro popolo, quel popolo delle periferie che, ovunque, anche a Milano, ha rotto ogni legame con il centrosinistra, con trattino, come piace scrivere a Giuliano Pisapia, o senza. Il problema è che il centrosinistra o l’Ulivo, per i pochi cultori della materia sopravvissuti, è stato archiviato dagli elettori perché profondamente segnato, ovunque, in Europa e al di là dell’oceano, dalla impianto culturale e dalla fallita agenda liberista.
Caro Giuliano, il tuo elogio alla ragionevolezza dorotea è fuori tempo massimo. Il centrosinistra o centro-sinistra è morto. Dobbiamo ricominciare da capo. È ora di un confronto di merito serio, senza stanchi politicismi, per chi vuole davvero costruire le condizioni per una forza di governo capace di rispondere al popolo delle periferie.