Antonio Bravetti per “la Stampa”
«La parola “centro” mi fa schifo», dice Carlo Calenda. Il leader di Azione è pronto a girare l’Italia, «da marzo fino alle prossime elezioni politiche» per riportare Draghi al governo nel 2023.
Calenda, è lei il nuovo centro?
«A me la parola centro fa schifo. Io voglio consolidare un grande movimento liberale, democratico, riformista, europeista e serio. Gli esperimenti centristi sono destinati a fallire».
Eppure al centro ci sono grandi manovre.
«Io detesto il centrismo, non vuol dire niente, l’Italia non ne ha bisogno. Il centrismo serve a movimento politici senza forza o autorevolezza per cercare una scialuppa di salvataggio. Azione è un’offerta liberal-democratica terza rispetto a quella di centrodestra e di sinistra».
Non è che parla così perché vuole essere corteggiato?
«Io sono molto netto, sembro arrogante, facessero quello che vogliono fare. La legge elettorale non cambierà, noi andremo lo stesso da soli, combattendo le nostre battaglie. Cesa, Renzi, Mastella, Toti, Lupi: tutti questi finiranno a destra».
Anche Renzi?
«Renzi è già a destra, ha scelto di stare da quella parte. Ha scelto il centrino, che finirà per essere un’appendice di Forza Italia».
Sicuro?
«Renzi ha molto talento, ma non lo riconosco più. Vuole fare la vita del pensionato pagato da chi gli pare, ammesso che sia etico e secondo me non lo è, o vuole fare il politico? Quella da premier riformista a un’alleanza con Mastella e Cesa a me sembra una traiettoria sbandata».
La sua traiettoria, invece, dove la porta?
«Il 19 e 20 febbraio faremo il congresso nazionale di Azione a Roma. Dal giorno dopo si apre la campagna elettorale: girerò tutta Italia, partendo dalla Calabria, fino alle prossime elezioni politiche».
Sogna di essere l’ago della bilancia?
«No, sarò il perno».
Spieghi, per favore.
«L’ago delle bilancia è quello che prende il 5% e fa prevalere destra o sinistra, a seconda di chi gli offre più sottosegretari. Il perno è quello che stacca gli estremi e, con una maggioranza Ursula, porta di nuovo Draghi al governo».
Quanto vale questo perno?
«L’ultimo sondaggio ci dà al 5,1%: siamo il sesto partito italiano. Con gli amici di +Europa possiamo arrivare al 10%, c’è uno spazio gigantesco».
Cosa pensa dei movimenti nel centrodestra?
«Finché c’è Berlusconi il leader sarà sempre lui. Meloni e Salvini sono molto capaci, ma non hanno statura né cultura di governo: le elezioni di Roma e Milano dimostrano che non hanno classe dirigente. Qualsiasi federazione durerà fino al giorno del voto, poi si spaccheranno. Io lavoro per riformare un largo governo Draghi con una maggioranza Ursula nella prossima legislatura, ma perché questo accada devono vincere partiti che hanno cultura di governo».
Quindi dialogo con Pd e Forza Italia?
«Ho ottimi rapporti con Letta, come con l’area più governista di Fi, ma devono fare attenzione a non farsi risucchiare da populisti».
Parla di Salvini e dei Cinquestelle?
«Nella Lega esiste una cultura di governo, che io mi auguro prevalga, ma oggi la leadership è ancora di Salvini».
Torniamo al Movimento.
«Milioni di italiani hanno creduto a delle persone che gli hanno raccontato una marea di balle, oggi ancora di più non capisco le ragioni della loro esistenza. A cosa servono? Per me non sono interlocutori, non hanno consistenza politica. Non capisco come sia passato per la testa a Giuseppe Conte, una persona che ha un profilo istituzionale e un certo prestigio, di mettersi in mezzo a quel branco di matti. A farsi logorare da Luigi Di Maio».
Non le piace il ministro degli Esteri?
«È come l’Udeur: zero ideali, tatticismo politico portato al massimo. Dopo quello che ha combinato al Mise è l’unica persona con cui non posso avere un rapporto politico. Non basta cominciare a comportarsi come un piccolo Ras democristiano di Pomigliano d’Arco per cambiare».
Nessun confronto con i Cinquestelle, quindi?
«Qualcuno rientrerà in Parlamento con il soccorso del Pd, ma al Nord non esistono più, non riescono nemmeno a fare le liste. Diciamocelo: prima scompaiono meglio stiamo tutti».