di Gian Franco Ferraris- 1 luglio 2018
In questi ultimi anni ho ascoltato molte banalità sulla sinistra e/o sul centrosinistra, anzi ad essere sincero da parte dei politici di professione – a parte gli esponenti della vecchia guardia; Massimo D’Alema, Aldo Tortorella, Salvatore Biasco – non ricordo nulla di quanto hanno detto e scritto. Di certo siamo di fronte a un cambiamento epocale del mondo, è in corso una vera rivoluzione e il mal architettato edificio istituzionale europeo traballa.
Questa volta la stessa sorte dell’umanità non ha un esito scontato e la sinistra si dimostra ogni giorno inadeguata ad affrontare i problemi del mondo attuale, eppure mi pare di ascoltare da parte del ceto politico di sinistra (come di centrosinistra) o la riproposizione simile e quindi poco utile dell’Ulivo o delle varie versioni di centrosinistra di questi ultimi 30 anni o la nostalgia di una sinistra dura e pura che non è mai esistita nei fatti in Italia, se non in fallimentari parentesi come il massimalismo socialista che ha agevolato la scalata di Mussolini al potere o un breve periodo di sudditanza all’internazionale comunista che accomunava le democrazie alle dittature nazi-fasciste.
Comunque la si pensi il risultato è che tutta la sinistra, moderata, radicale o antagonista è percepita dai cittadini italiani, “dalle masse” come un corpo estraneo e anch’io che ho votato e voterei convintamente Liberi e Uguali mi chiedo di quale utilità possiamo essere alle classi popolari con percentuali di consenso del tre o quattro per cento?
Da anni vado ripetendo che occorre ripensare tutto con umiltà e ritornare alla politica delle origini, un cambiamento simile a quello del Concilio Vaticano II che rivoltò l’altare da verso Dio (il potere, il ceto politico) a verso il popolo.
Penso anche che sarebbe importante costruire un’arca antipopulista per opporsi alle politiche di questo governo che non farà nulla di buono per l’Italia, solo che è da evitare un processo chimico di fusione che ha già prodotto l’abominio del Pd e che era già “in fieri” al tempo dell’Ulivo. Ognuno dovrebbe portarsi dietro la propria identità – se esiste.
Solo che è diventato tutto difficile perchè manca in Italia un partito moderato-popolare nello stile di Aldo Moro o del partito popolare di Mino Martinazzoli che prese il 9,6% nel 1993. Solo che allora i Poteri tramite il referendum ci fecero votare con un sistema maggioritario. Se avessimo votato con il proporzionale il partito di Martinazzoli avrebbe avuto un’altra storia e l’Italia non avrebbe avuto la zavorra della seconda Repubblica.
Penso anche che il linguaggio categorico, in molti casi estremista, di tanti compagni di oggi non aiuti a comprendere i problemi complessi e neanche le ragioni “dell’altro”.
I moderati poi sono più tagliati per il Governo e, a questo proposito, propongo una riflessione del mio più illustre concittadino:
di Norberto Bobbio
“Sono moderato, perché sono un convinto seguace dell’antica massima in medio stat virtus. Con questo non voglio dire che gli estremisti abbiano sempre torto. Non lo voglio dire perché affermare che i moderati hanno sempre ragione e gli estremisti sempre torto equivarrebbe a ragionare da estremista. Un empirista deve limitarsi a dire “per lo più”. La mia esperienza mi ha insegnato che nella maggior parte dei casi della vita pubblica e privata, “per lo più” le soluzioni, se non migliori, meno cattive sono quelle di chi rifugge dagli aut aut troppo netti, o di qua o di là. Io sono un democratico convinto. La democrazia è il luogo dove gli estremisti non prevalgono. La democrazia, e il riformismo suo alleato, possono permettersi di sbagliare, perché le stesse procedure democratiche consentono di correggere gli errori. L’estremista non può permettersi di sbagliare, perché non può tornare indietro. Gli errori del moderato democratico e riformista sono riparabili, quelli del estremista, no, o almeno sono riparabili solo passando da un estremismo all’altro. Il buon empirista, prima di pronunciarsi, deve voltare e rivoltare il problema… di qua nascono l’esigenza della cautela critica e…. la possibilità di sbagliare. Dalla possibilità dell’errore derivano due impegni da rispettare: quello di non perseverare nell’errore e quello di essere tolleranti degli errori altrui.”
(cfr. N. Bobbio, De senectute, Einaudi, Torino, 1996, p. 148).